Nuova scoperta su come l’Alzheimer danneggia il cervello

La scoperta più significativa fatta finora in merito agli effetti dell’Alzheimer sul cervello è quella che ha condotto all’individuazione delle placche di amiloide.

di Lisa Ovi

Una squadra di ricercatori della UCLA, University of California – Los Angeles, descrive su Nature Communications come la proteina beta amiloide, nota per il suo ruolo chiave nel morbo di Alzheimer, si presenta anche in una versione normale potenzialmente meno dannosa di quanto si sia finora pensato.

L’Alzheimer, un processo neurodegenerativo irreversibile, è la causa più comune di demenza senile che distrugge gradualmente la memoria e compromette funzioni cognitive, comportamento e capacità di svolgere le attività quotidiane. Gli studiosi sanno da anni che nel cervello degli individui affetti da Alzheimer ed altre condizioni neurodegenerative si formano fibrille amiloidi, strutture dannose, allungate, simili a corde impermeabili. Nel 2005, il professor David Eisenberg dell’UCLA ed una squadra internazionale di chimici e biologi molecolari pubblicarono su Nature la scoperta che queste fibrille contengono proteine incastrate tra loro come a formare una cerniera molecolare.

Secondo Steven Clarke, professore di chimica e biochimica della UCLA, e Rebeccah Warmack, lead author del nuovo studio, queste proteine beta amiloidi si presenterebbero anche in una versione meno dannosa di quella danneggiata dall’età. Secondo Rebeccah Warmack una specifica versione della proteina conterrebbe una seconda cerniera molecolare che in precedenza non esisteva. Le proteine vivono nell’acqua, ma ogni traccia d’acqua viene espulsa dalla fibrilla quando si sigilla a cerniera.

Le proteine beta-amiloidi sono comunemente composte da 40-42 aminoacidi. Secondo i ricercatori, con l’avanzare dell’età, il 23mo amminoacido può formare un nodo. Proprio da questa versione attorcigliata della proteina si genera la seconda cerniera molecolare senza acqua. La forma normale di beta amiloide è dotata di sei molecole d’acqua che impediscono la formazione di una cerniera. È quindi dal nodo iniziale che porta alla rapida crescita delle fibrille tipiche dell’Alzheimer a cui 3 decenni di ricerca ancora non hanno trovato soluzione.

Clarke è convinto che questi nodi si generino comunemente anche nei primi decenni di vita, ma vengono risolti da un enzima riparatore proteico. È possibile che l’invecchiamentoc comprometta le funzioni di questo enzima, permettendo quindi un graduale accumulo di nodi rimasti senza riparazione. Per studiare il processo da vicino, Warmack ha prodotto cristalli, sia normali che annodati, in 15 aminoacidi beta-amiloidi, per poi osservarli con una variante di microscopia crioelettronica.

I risultati conseguiti possono rappresentare un punto di partenza per nuove ricerche sulla prevenzione e la cura dell’Alzheimer.

(lo)

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