La lotta ai cambiamenti climatici richiede collaborazione

L’accordo di Parigi stabilisce quote nazionali per le emissioni di anidride carbonica, ma per le quote di rimozione della CO2 nessun paese può adempiere ai propri obblighi da solo.

di Lisa Ovi

Per quanto ai paesi firmatari dell’accordo di Parigi siano state assegnate quote individuali da rispettare in termini di mitigazione, non sono state concordate quote nazionali per la rimozione della CO2. Un gruppo internazionale di ricercatori dell’Imperial College London, della University of Girona, dell’ETH Zürich e della University of Cambridge, sostiene su Nature Climate Change, che per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi, le quote di rimozione della CO2 non possono essere assegnate individualmente a ciascun paese, ma richiedono uno sforzo collettivo tra i vari paesi.

L’Accordo di Parigi mirava a mantenere l’aumento della temperatura globale in questo secolo ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, nonché ad incentivare gli sforzi per limitarlo a 1,5 ° C. Raggiungere questi obiettivi richiede una riduzione delle emissioni di anidride carbonica (CO2) emessa grazie a politiche energetiche che favoriscano le fonti di energia rinnovabile e tecnologie per la rimozione di CO2 dall’atmosfera, attraverso misure come il rimboschimento e tecniche di cattura e sequestro del carbonio.

I ricercatori partono dal presupposto che la rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera è ormai resa necessaria dal fatto che abbiamo perso un altro decennio sul fronte della mitigazione delle emissioni di gas effetto serra. Anche nel 2019, infatti, le emissioni non hanno cessato di crescere, e nonostante il lockdown globale dovuto alla pandemia abbia portato un sollievo temporaneo all’atmosfera, si teme che la recessione economica globale possa minare i buoni propositi pubblici e privati.

Di fronte alla necessità di implementare tecniche di rimozione del carbonio dall’atmosfera, il ricercatori propongono un sistema che costringa i paesi a collaborare permettendo ai paesi che non possono adempiere ai propri obblighi di rimozione da soli di scambiare quote con paesi dotati di una maggiore capacità di rimuovere CO2. Un simile sistema permetterebbe di determinare quote eque e obiettivi realizzabili.

Assegnare a ciascun paese le proprie quote di rimozione in maniera equa richiederà trattative che spazieranno dalla capacità finanziaria di un paese e le sue responsabilità storiche (quanta CO2 ha emesso). La squadra di ricercatori ha realizzato un modello delle possibili quote per ciascun paese, arrivando così alla conclusione che pochi sarebbero in grado di rispettarle da soli.

Esistono diversi metodi per realizzare la rimozione dell’anidride carbonica dall’atmosfera. Il primo metodo è la riforestazione,  che prevede l’utilizzo della naturale capacità degli alberi di assorbire CO2 atmosferica, ma deve attendere la piena maturazione degli alberi per raggiungere il proprio pieno potenziale. La cattura e lo stoccaggio del carbonio (CCS) elimina la CO2 dall’atmosfera e la immagazzina in formazioni geologiche. I metodi di cattura e stoccaggio sono solitamente affiancati ad una centrale elettrica a combustibile fossile per eliminare le emissioni di CO2 prima che raggiungano l’atmosfera, ma possono essere anche abbinati a coltivazioni dedicate ai biocarburanti.

Il dilemma più comune può essere esemplificato dal Lussemburgo, un paese piccolo, ma ricco, dotato delle capacità finanziarie di implementare queste tecniche di rimozione, ma privo delle risorse territoriali sufficienti a condurre operazioni su larga scala, si tratti di piantare alberi o colture di biocarburanti. Secondo i ricercatori, un paese come il Regno Unito potrebbe ‘vendere’ al Lussemburgo o altri paesi in condizioni simili, parte della propria capacità territoriale nel Mare del Nord.

Con l’obiettivo europeo di raggiungere le zero emissioni entro il 2050, gli autori invitano le nazioni ad avviare il prima possibile le necessarie valutazioni e trattative.

(lo)

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