Ambiente, biglietto d’ingresso per le primarie USA 2020

Nella campagna elettorale per le elezioni statunitensi del 2016 nessuno parlava delle problematiche ambientali: oggi non c’è nessuno che non ne parli, anche se restano dubbi su chi saprà mettere in pratica le promesse.

di James Temple

Qualche settimana fa, Reuters ha pubblicato la notizia secondo cui la campagna elettorale di Joe Biden, candidato democratico alla presidenza, avrebbe presto definito una propria politica ambientale moderata, capace di riportare gli USA sulla rotta pre-Trump nella lotta alle emissioni.

Il piano pubblicato martedì, però, mira a fare molto di più di qualunque politica ambientale dell’era Obama, delineando l’intenzione di eliminare completamente le emissioni di gas serra. Il voltafaccia è la diretta conseguenza delle aspre critiche incontrate dall’idea di un piano ‘moderato’ contro i cambiamenti climatici ed è solo il più recente segnale della crescente importanza  dell’argomento per l’elettorato democratico.
Al confronto, durante la campagna elettorale per la presidenza del 2016, i cambiamenti climatici vennero a malapena presi in considerazione durante i dibattiti.
Secondo gli osservatori, diversi fattori alimentano questo interesse, dalle reazioni alle politiche dell’amministrazione Trump, al successo delle proteste giovanili, all’interesse generato dalla pubblicazione del Green New Deal, all’impatto sempre più reale degli effetti del cambiamento climatico, nonché la pubblicazione del recente rapporto ONU sulla possibilità che il pianeta possa superare gli 1.5 ˚C di riscaldamento globale entro il 2030. Gli effetti del cambiamento climatico si stanno facendo sempre più imminenti e personali, non più un’idea astratta, spiega Leah Stokes, assistant professor di scienze politiche della University of California, Santa Barbara, specializzata in politiche ambientali ed energetiche.

Il piano di Biden

I cinque punti del piano di Biden si pongono l’ambizioso obbiettivo di conseguire “un’economia alimentata al 100% da energia pulita e zero emissioni entro il 2050.” Per conseguire il risultato, il piano abbraccia un ampio portfolio di tecnologie promettenti e controverse come piccoli reattori nucleari modulari, sistemi per il sequestro delle emissioni e l’utilizzo di idrogeno per stoccare l’elettricità generata da solare ed eolico.
Il piano di Biden prevede l’investimento di $1.7 trilioni nelle energie pulite, in progetti di giustizia ambientale ed infrastrutture, ivi inclusi $400 miliardi per R&D. I
fondi necessari verrebbero da un’inversione dei tagli alle tasse voluti dall’amministrazione Trump, dal taglio delle sovvenzioni all’industria dei combustibili fossili e dalla risoluzione di altre scappatoie fiscali.

Stokes ed altri vedono nel piano di Biden una reazione frettolosa alle critiche ricevute, composta con i punti salienti dei progetti di altri candidati e noti attivisti.

Il “Green Manufacturing Plan” di Elizabeth Warren

Il “Green Manufacturing Plan” pubblicato da Elizabeth Warren, candidata presidenziale e senatrice del Massachusetts, prevede l’investimento di $2 trilioni in un decennio nella “ricerca, manifattura ed esportazione di energia verde,” con $400 miliardi dedicati alla sola R&D, in un progetto che prende il nome di “Green Apollo Program.”

La priorità definita da questo progetto è rendere gli USA il principale produttore ed esportatore di tecnologie green, con il vantaggio di creare posti di lavoro nel paese e favorire la riduzione di emissioni a livello globale. Il programma porrebbe gli USA in diretta competizione con il ruolo emergente della Cina in qualità di leader del settore, spiega David Hart, direttore del Center for Science, Technology, and Innovation Policy presso la George Mason University.

C’è chi dubita che una simile riorganizzazione delle economie globali sia possibile, in quanto il progetto sembra “ignorare completamente il fatto che questi prodotti fanno parte di una catena manifatturiera veramente globale,” spiega Jonas Nahm, assistant professor Johns Hopkins School of Advanced International Studies.

Warren è anche firmataria del Green New Deal, ed ha annunciato il progetto di utilizzare l’esercito USA per conseguire l’obbiettivo delle emissioni zero. Come nel caso del Green New Deal, il progetto della Warren non esclude l’utilizzo di energia nucleare e sequestro del carbonio, ma a differenza del progetto di Biden non promuove queste tecnologie.

Altri candidati hanno sostenuto il Green New Deal o pubblicato un proprio programma politico ambientale:

Beto O’Rourke, già rappresentante alla camera per il Texas, propone il conseguimento delle zero emissioni entro il 2050 con un investimento di $5 trilioni in un decennio, $250 miliardi dei quali da dedicarsi alla R&D. Il suo progetto si distingue da altri per l’interesse nello sviluppo della capacità di resilienza delle comunità USA, contro l’intensificarsi di incendi, alluvioni, siccità e uragani.

Jay Inslee, governatore dello stato di Washington, ha proposto uno dei piani più dettagliati ed aggressivi: l’obbiettivo delle zero emissioni è spostato al 2045, mentre entro il 2020, ogni nuovo prodotto, dalle auto alle costruzioni, dovrebbe essere a bilancio neutro di CO2. Il piano sarebbe finanziato con $3 trilioni in 10 anni.

Bernie Sanders, senatore del Vermont, sostiene a piena voce il Green New Deal, con l’aggiunta della messa al bando di tecniche come il fracking, delal costruzione di qualunque nuova infrastruttura dedicata ai carburanti fossili e delle esportazioni di petrolio, gas naturali e carbone. È inoltre uno dei principali avversari della produzione di energia nucleare.

La vera prova del nove sarà vedere se questi candiati sapranno rimanere fedeli al proprio messaggio non solo in campagna elettorale, ma anche nel corso della prossima amministrazione.

Immagine: Elizabeth Warren, senatrice USA e candidata democratica alla presidenza, ha pubblicato il proprio “Green Manufacturing Plan”. AP

(lo)

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