Nella lotta al cambiamento climatico, gli Stati Uniti passano il testimone a un altro paese

La decisione del presidente Trump di cancellare gli obiettivi fissati dall’amministrazione Obama per le energie rinnovabili e il cambiamento climatico spianano la strada a un nuovo e inaspettato leader mondiale.

di Jamie Condliffe

Il presidente Trump ha ufficializzato il suo completo disinteresse nei confronti degli impegni presi dalla precedente amministrazione per la risoluzione del problema ambientale. Ora è tempo che un altro paese guidi uno sforzo internazionale per la riduzione delle emissioni.

Durante la sua campagna elettorale, Trump aveva disdegnato i timori ambientali e promesso di stracciare le limitazioni imposte da Obama sui combustibili fossili e sulle emissioni delle centrali elettriche, imputando a queste restrizioni la “distruzione di posti di lavoro”. Una volta salito al potere, il neo presidente non ha perso tempo a presentare “l’America First Energy Policy Plan” con cui, di fatto, ha rimosso il cambiamento climatico dalla lista delle priorità. Il primo budget dettagliato dell’amministrazione proponeva già sostanziosi tagli ai programmi ambientali che avrebbero privato l’EPA delle risorse necessarie a perseguire lo sviluppo di nuove e ambiziose fonti di energia pulita e posto fine ai contributi degli Stati Uniti ai programmi ambientali delle Nazioni Unite.

Questa settimana, Trump ha firmato l’ordine esecutivo che mira ad annullare molte delle iniziative ambientali allestite dall’amministrazione Obama indicando alle agenzie federali di rescindere tutte le normative che sono state valutate un “peso” per la produzione di energia – il Clean Power Plan in particolare.

Trump spera di rinvigorire l’industria americana del carbone. Durante la cerimonia di validazione dell’ordine esecutivo, ha spiegato che la sua amministrazione stava “ponendo fine alla guerra al carbone. Avremo del carbone, del carbone veramente pulito”. Questa dichiarazione è discutibile, e le probabilità che l’industria del carbone rinasca sono scarse.

È rincuorante il fatto che l’intero processo di revoca delle normative implementate dalla precedente amministrazione non sarà semplice quanto sperato da Trump: come precisato da Climate Central, prima che queste leggi vengano annullate, l’attuale amministrazione dovrà vincere una moltitudine di lunghe battaglie legali.

Sembrerà strano, ma Trump deve ancora annunciare il ritiro degli Stati Uniti dagli accordi climatici di Parigi. Le sue azioni, però, non sembrano indicare che questa azione sia plausibile. Persino il gigante petrolifero Exxon Mobil si è sentito in dovere di suggerire al presidente di non costringere il paese ad abbandonare questo patto.

Quel che è chiaro, è che gli Stati Uniti non potranno più guidare lo sforzo internazionale verso la riduzione delle emissioni. Come potrebbe, d’altronde, una volta rimosse le limitazioni alle emissioni delle centrali a combustibili fossili? Secondo Foreign Policy, sarà difficile rispettare il traguardo fissato per il 2025 con l’accordo di Parigi. Il paese dovrebbe infatti ridurre le proprie emissioni di gas serra fino a un valore inferiore del 26 percento rispetto alle rilevazioni del 2005.

Qualora l’accordo di Parigi non dovesse crollare, servirà un nuovo leader. Come spiegato in precedenza dal collega David Victor, uno degli aspetti più intriganti dell’accordo è che consente a tutti i paesi aderenti di fissare i propri traguardi e rivederli periodicamente – revisioni esaustive necessitano però di una forte leadership, una responsabilità che si pensava sarebbe spettata agli Stati Uniti.

Difficilmente l’Europa saprà ricoprire questo ruolo oneroso, vista la necessità di risolvere anzitutto i suoi problemi interni. Per quanto possa sembrare improbabile, la candidata più plausibile potrebbe essere la Cina – un’idea che il New York Times sembra condividere.

Pur essendo il più grande emettitore di gas serra al mondo, seguita dagli Stati Uniti, la Cina ha chiaramente dimostrato il proprio impegno per ripulire la propria aria. Ha investito pesantemente nell’energia solare e avviato il processo di riduzione delle centrali a carbone in uso. Negli ultimi anni, proprio come gli Stati Uniti, è riuscita a far crescere la propria economia riducendo allo stesso tempo le emissioni di CO2.

L’aspetto più importante, forse, è che questo suo trend sembra destinato a continuare. Lo scorso gennaio, il presidente Xi Jinping ha detto che “l’accordo di Parigi è stato vinto a fatica”, aggiungendo che si trattava di “una responsabilità che dobbiamo assumerci per le generazioni future”. In altre parole, la Cina sembra volta a mantenere la rotta che gli Stati Uniti stavano seguendo prima che Trump salisse al potere.

Gli Stati Uniti potrebbero così trovarsi in una situazione alquanto insolita, dove il presidente cerca di abbandonare gli sforzi per rallentare il cambiamento climatico, mentre la Cina richiede un maggiore impegno nella riduzione delle emissioni.

(MO)

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