Nuove frontiere della tecnologia musicale 2. Un benchmark all’infinito

Dopo il primo articolo dedicato alla transizione tra i suoni artificiali e i suoni prelevati dalla realtà, il prof. Massimo Negrotti, docente di metodologia nella Università di Urbino e studioso delle relazioni tra naturale e artificiale, nonché musicologo e compositore, si sofferma in questo secondo articolo sul problema delle “librerie” di suoni.

di Massimo Negrotti

Pare che Marvin Minsky, uno dei pionieri dell’Intelligenza Artificiale, a proposito della difficoltà di scrivere programmi capaci di adattarsi all’estrema variabilità delle situazioni (per esempio in tema di common sense understanding) abbia rilevato con disappunto come il pericolo fosse quello di inseguire tale ricchezza per mezzo di decine di migliaia di routine ad hoc. Nonostante le migliorie indicate, anche nel caso del sampling ci si può chiedere fino a che punto si possa arrivare adottando la strategia dell’arricchimento crescente delle librerie con articolazioni, dinamiche e colori sempre più dettagliati e diversificati per rispondere alle infinite esigenze estetiche dell’esecutore o del compositore.

Va innanzitutto ricordato che l’ambizione di riprodurre il suono di uno strumento per mezzo di un altro ha precedenti illustri. L’organo a canne, per esempio, nel tempo ha portato alla simulazione, tramite appositi “registri”, di strumenti quali il flauto o l’oboe, ma anche dei violini e della stessa voce umana e persino dell’usignolo. Tuttavia, come già segnalato nell’articolo precedente in merito ai sintetizzatori, anche per questo genere di suoni l’ambizione di riprodurre artificialmente i suoni di strumenti esistenti ha finito per venire sostituita dall’apprezzamento dei suoni artificialmente generati “in quanto tali”.

Sicché si prende atto della fisionomia autonoma del suono, poniamo, dell’oboe generato da un organo, come prodotto tipicamente organistico con la sua semplice allusione all’oboe vera e propria e non certo come tentativo di perseguire una riproduzione realistica. Infatti, la bellezza del suono dell’oboe organistico è garantita da se stessa e non dal fatto che la riproduzione costituisca l’inizio di una ricerca tesa ad approssimare sempre di più, nell’organo, le qualità dell’oboe “naturale”.

Al contrario, la tecnologia dei suoni sampled ha aperto una strada di ricerca decisamente orientata a un obiettivo finale che, anche se non confessato, si pone di per sé oggettivamente sullo sfondo: il raggiungimento di un’approssimazione tale da rendere indistinguibile a ogni possibile livello acustico umano, lo strumento virtuale da quello reale. Una sorta di Test di Turing del suono, si potrebbe dire.

Ma qui sorge il muro, secondo chi scrive invalicabile, della quantità letteralmente infinita che definisce lo spazio sonoro strumentale. L’esemplificazione più persuasiva sarebbe, quasi ovviamente, l’infinita quantità di suoni possibili a un violoncello o a un violino, ma anche quella possibile con un pianoforte, del resto esso stesso cordofono sebbene a corde percosse. I primissimi pianoforti virtuali basati su sample erano costituiti da 88 file ognuno dei quali riproduceva una nota con una intensità media, né troppo forte né troppo piano. Chiunque riconosceva di trovarsi di fronte a un pianoforte, ma qualsiasi interpretazione esecutiva era ovviamente impedita.

Sempre grazie all’aumentata potenza complessiva dei computer, le cose sono cambiate. Oggi sono disponibili pianoforti virtuali che offrono una certa versatilità dinamica, come il pianoforte Hammersmith della Soniccouture, in grado di generare ben 21 colori diversi a seconda della forza della pressione su una tastiera elettronica (la velocity). Sicuramente si arriverà più in là, ma la questione dell’infinito, irraggiungibile per definizione, rimane.

Piuttosto, ci si può chiedere se possa immaginarsi la realizzazione di strumenti virtuali capaci di fornire una quantità finita di intensità sonore o colori, che renda impossibile a una persona di media cultura musicale cogliere la differenza fra lo strumento sampled e quello reale, posto ovviamente che ambedue vengano ascoltati attraverso un dispositivo riproduttore e relativo amplificatore elettronico.

Forse l’approssimazione è possibile per l’organo a canne o per il clavicembalo, casi nei quali la fedele riproduzione della timbrica potrebbe essere considerata sufficiente per conseguire l’indistinguibilità a causa della mancanza, da parte dell’esecutore, della possibilità di deciderne la dinamica. Ma per ogni altro strumento le cose si pongono in modo assai diverso.

Il caso del violino è assolutamente centrale. La registrazione delle singole note in tutta la loro estensione, adottando anche qui una pressione media dell’arco sulle corde, non presenta, di per sé, difficoltà particolari anche se le caratteristiche fisiche dei dispositivi di registrazione introducono ovviamente qualche modificazione più o meno avvertibile. A creare problemi aggiuntivi rispetto al pianoforte è, semmai, da un lato la dinamica e dall’altro la legatura fra le note, nonché il “vibrato”.

Trattandosi di uno strumento in cui il timbro è caratterizzato da una notevole ricchezza di armonici e di risonanza, la sua “personalità” è decisamente irripetibile e l’esecuzione presenta una variabilità acustica notevolissima. Per questo, in linea di massima, i sample di un violino tendono a essere meno realistici rispetto a quelli di una sezione di violini nella quale la sovrapposizione acustica di più strumenti produce una sorta di compensazione reciproca. Le legature, il portamento e il vibrato, da parte loro, se generati da algoritmi e dunque non registrati, possono presentarsi come innaturali proprio a causa dei parametri introdotti e delle perdite dovute a digitalizzazioni successive che si rendono necessarie per uniformare i volumi e perfezionare l’intonazione.

D’altra parte, il violino solistico è fra gli strumenti virtuali più richiesti dal mercato e i produttori, molto numerosi, offrono soluzioni molto diverse fra loro. In generale, nonostante l’accuratezza della registrazione iniziale, l’inevitabile manipolazione dei sample in sede di programmazione delle librerie modifica notevolmente la purezza del suono.

Un caso di encomiabile sforzo algoritmico è stato sicuramente, qualche anno fa, quello posto in essere dall’italiano Giorgio Tommasini, il quale, in collaborazione con l’americano Gary Garritan, ha registrato un violino Stradivari provvedendo poi alla rielaborazione per mezzo di una tecnologia denominata sonic morphing, in grado di simulare la graduale trasformazione di un suono in un altro e, attraverso un modello chiamato harmonic alignment, di garantire una fluida modificazione della dinamica. In questo caso i file registrati sono relativamente poco numerosi. Essi sono persino del tutto assenti in un ulteriore prodotto, il violino della Swam Engine, in cui riappare la sintesi del suono sulla base dei modelli sopra accennati. Lo stesso produttore offre peraltro numerosi altri strumenti basati sulla combinazione di suoni sampled e sintetizzati.

Diversa strategia è stata recentemente attuata, invece, dalla Embertone, la quale, affidandosi alla tecnologia standard corrente basata su librerie di file, propone un altro Stradivari, affidando l’esecuzione delle note nella loro varia dinamica e le articolazioni a Joshua Bell, violinista di livello internazionale.

Infine, assieme a ottimi prodotti di Case come l’inglese Spitfire Audio, va ricordato un prodotto, lo Studio Violin della ditta americana 8Dio, che costituisce un punto chiave per capire come il sampling del violino sia allo stesso tempo cruciale e difficile. Lo Studio Volin offre al compositore non già singole note del violino bensì brevissime frasi, che includono da due a tre o quattro note, tratte da composizioni classiche (da Bach a Prokofiev, da Mozart a Beethoven e molti altri) e ovviamente eseguite da un violinista. Il compositore può eventualmente intervenire ulteriormente sui sample “estraendone” una parte.

Il punto di forza di questa tecnica – nonostante la laboriosità che richiede al compositore – sta nel fatto che la timbrica e il colore del suono è inalterata, poiché i sample non sono rielaborati, e si presenta così come è udibile nella normale registrazione di un solista su CD. Inoltre, l’esecuzione è caratterizzata da un’intonazione non perfetta, come sempre accade nelle esecuzioni reali, mentre nel caso dei suoni sampled essa è normalizzata alla perfezione, al punto che, per renderla più realistica, molti prodotti offrono un’opzione, detta di humanizing, che introduce vari livelli di micro-distorsione più o meno randomizzata.

Le considerazioni fatte sopra in merito al violino valgono, inutile dirlo, per qualsiasi altro strumento musicale assunto come solistico. Come regola generale, si può affermare che gli strumenti percussivi, a parte il pianoforte, sono i più semplici da campionare garantendo al prodotto finale un buon realismo. Nel caso degli archi, mentre le sezioni (violini, viole, violoncelli e contrabbassi) forniscono un realismo accettabile, la loro versione solistica, sebbene di qualità crescente, pone problemi forse irrisolvibili.

Immagine: A sinistra, le note sono introdotte graficamente come segmenti che ne indicano l’altezza e la durata. Sotto, in un’ottava esterna all’estensione dello strumento, vengono indicate le articolazioni (nell’esempio il Fa, il Sol e il Mi potrebbero indicare uno staccato, un marcato e un legato) secondo una codificazione per ora non standardizzata. A destra, le tre curve determinano rispettivamente l’espressione, la modulazione dinamica e il sustain della progressione melodica.

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