La bancarotta di Peabody Energy mostra i limiti del “carbone pulito”

Gli investimenti in tecnologie per la cattura e il sequestro di anidride carbonica sono stati prevalentemente inutili.

di Richard Martin

Dopo un lungo declino di prezzi e domanda di carbone negli Stati Uniti, Peabody Energy, il più grande produttore privato di carbone, ha avviato l’istanza per la dichiarazione di fallimento. Quando due anni fa avevo incontrato il CEO Greg Boyce (oggi presidente esecutivo) nel suo ufficio a St. Louis, la società stava entusiasticamente avventurandosi nello sviluppo di due strategie che avrebbero dovuto favorirne il futuro: l’invio di carbone in Cina e la costruzione delle cosiddette centrali a “carbone pulito”.

Il piano di esportare carbone in Cina attraverso enormi terminali sulla Costa Occidentale non ha mai preso forma, perché i gruppi ambientalisti e i governi locali si sono opposti alla loro costruzione e, nel frattempo, l’utilizzo di carbone in Cina è crollato drammaticamente. La seconda strategia, il cosiddetto “carbone pulito”, non è riuscita perché la cattura di anidride carbonica dalle ciminiere di una centrale a carbone, e il suo seppellimento in profondità si sono rivelati proibitivi in termini di costo, specialmente nell’era del gas naturale a basso costo.

La società aveva investito centinaia di milioni di dollari nella tecnologia per il carbone pulito, allestendo un centro ricerche presso l’Università del Wyoming, (il bacino del Powder River, nell’ovest del Wyoming, è sede della enorme miniera North Antelope-Rochelle della Peabody) http://www.scientificamerican.com/article/can-wyoming-s-biggest-coal-town-create-a-new-future/ e finanziando progetti di ricerca in Stati Uniti e Cina. Non è stata neppure la sola: nonostante $13 miliardi investiti in tutto il mondo nell’ultimo decennio, la tecnologia CCS (Carbon Capture and Storage) comporterebbe ugualmente un incremento di costi compreso fra il 30 e il 40 percento per la generazione di energia dalle centrali a carbone – un segnale di arresto, di fronte alla necessità di competere con il gas naturale.

Quei progetti per la cattura e il sequestro di anidride carbonica che sono riusciti a partire si sono prevalentemente rilevati dei fallimenti. Lo scorso anno, il Dipartimento per l’Energia degli Stati Uniti ha cancellato i fondi per il progetto FutureGen, una centrale a carbone con tecnologia CCS che sarebbe dovuta sorgere nell’Illinois e il cui sviluppo aveva richiesto oltre 12 anni. Il mese scorso, peraltro, il New York Times ha riportato che un analogo sforzo in Canada, conosciuto come il progetto per la Boundary Dam, “è stato tormentato da molteplici sospensioni, non ha raggiunto i suoi target per le emissioni, e si è imbattuto in un problema irrisolto con la sua tecnologia fondamentale”.

Nonostante tutto, il collasso della Peabody non vanificherà del tutto gli sforzi mirati alla pulitura del carbone: ad oggi, stando al Global Carbon Capture and Storage Institute14 progetti CCS su larga scala sono già in funzione, ed altri otto sono ancora in via di costruzione.

(MO)

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