In vino veritas

Alcuni produttori di vino delusi dai metodi biologici hanno abbracciato la biodinamica come la strada più autentica per un vino che esprima appieno il suolo, l’uva e il clima.

di Corby Kummer

Per anni il cruccio dei produttori di vino �stato come la tecnologia potesse migliorare il vino. Se il vino era californiano poi la questione era particolarmente scottante. Quando il Cabernet Sauvignon della California superò il miglior vino Bordeaux – in una leggendaria degustazione cieca nota come il “Giudizio di Parigi”, organizzata dal mercante di vini inglese Steven Spurrier – si visse un momento di grande orgoglio nazionale, corrispondente anche al Bicentenario Americano, raggiunto in parte perché i viticoltori californiani avevano usato la tecnologia in modi avulsi dai viticoltori francesi, più legati alle tradizioni. Quando i vini della California guadagnarono considerazione, i milionari della Silicon Valley comprarono vigneti nelle contee di Napa e Sonoma. I vini e la tecnologia californiani festeggiarono così con fiori d’arancio la loro felice unione.

Due generazioni di viticoltori sono uscite dall’Università della California di Davis armate delle ultime conoscenze su cloni, viticoltura e gas-cromatografia. Con le loro cassette degli attrezzi chimiche potevano correggere qualsiasi difetto, un’annata secca, uve maturate eccessivamente lasciate sulla vite uno o due giorni di troppo, vino aspro. I discendenti degli originari immigrati ungheresi e italiani che per primi piantarono uva a Napa e Sonoma possono essere stati lenti nell’adottare i nuovi metodi, ma certo non i Paperoni super tecnologici che stavano vivendo il sogno californiano comprando terreni e mettendo i loro nomi sulle bottiglie di vino. Il denaro fresco è sempre attirato dai vigneti antichi (anche se quelli della California non sono poi così antichi).

Come gran parte delle attivit� verso le quali i grandi ricchi sono attratti, la viticoltura � fortemente soggetta alle mode. La moda attuale �una pratica poco impiegata anche 10 anni fa: l’agricoltura biodinamica, decisamente molto più autentica e rispettosa della natura rispetto alla semplice vecchia agricoltura biologica. Si tratta della realizzazione di ciò che una minoranza di viticoltori con sempre più voce in capitolo, specialmente in Francia, iniziò a declamare negli anni 1980, cioè vini assolutamente non trattati, senza correzioni, ritocchi, senza filtraggio e senza alcuna possibilità di rimediare a un errore commesso durante la coltivazione.

Il puro riflesso dell’aria, della pioggia, del sole e del suolo di un luogo �proprio quello che viene espresso col termine terroir, quella parola contornata da un’aura di prestigio e autenticità che al giorno d’oggi viene schiaffata su qualsiasi prodotto alimentare locale. L’agricoltura biodinamica, sostiene il volutamente eccentrico e sorprendentemente convincente Randall Grahm, viticoltore californiano, “è la strada diretta verso il terroir”.

Questo approccio �completamente in armonia con Slow Food, il movimento (su cui ho scritto un libro) che fin dagli anni 1980 ha sponsorizzato un ritorno a metodi di coltivazione e produzione dettati dalla natura, dal luogo e da un’economia di sussistenza. Questi sono i metodi che hanno dato origine ai magnifici prodotti alimentari e vini artigianali del mondo nei secoli prima che la parola artigianale fosse necessaria per indicare qualcosa di “non industriale”, quando il biologico era la normalità.

I principi biodinamici difatti sono antecedenti all’agricoltura biologica, sebbene entrambe fossero reazioni alla diffusione dei fertilizzanti azotati all’inizio del XX secolo. Nel 1924, il filosofo d’origine austriaca Rudolf Steiner tenne una serie di conferenze sull’agricoltura e i suoi collegamenti con l’antroposofia, il movimento che aveva fondato sulla base dei lavori scientifici di Goethe. L’antroposofia tenta di unire il mondo della scienza, quello dell’arte e quello della spiritualità e invariabilmente vede la parte nel contesto del tutto, cosmo compreso. Questa disciplina sopravvive oggi in “diramazioni”, che includono la scuola Waldorf, e nell’agricoltura biodinamica.

I seguaci di Steiner sostengono che Sir Albert Howard, il botanico britannico che fu pioniere dell’agricoltura biologica dopo aver osservato le pratiche agricole indiane, Lord Northbourne, l’agronomo che coni�il termine “agricoltura biologica” nel suo libro del 1940 Look to the Land e l’editore J. I. Rodale, che lo diffuse negli Stati Uniti, non fecero altro che sviluppare e codificare le sue idee. Tuttavia, poiché ora l’agricoltura biologica è definita da standard governativi, le cose importanti sono quelle che non si possono fare: utilizzare pesticidi e fertilizzanti chimici su colture e terreno. Ma gli agricoltori possono attingere a una vasta gamma di surrogati non chimici per ogni correttivo chimico abbandonato. Ci vogliono tre anni per ottenere una certificazione biologica totale, il periodo necessario affinché la terra si depuri, e poi il percorso è relativamente semplice.

Gli insettari rappresentano l’habitat naturale per insetti benefici che controllano i parassiti. L’insettario principale della Benziger Family Winery �coltivato con oltre 50 specie di piante e fiori.

La biodinamica, però,�� davvero dura. Steiner, che tenne le sue conferenze nella fattoria di un conte che aveva una proprietà nell’odierna Polonia, vedeva le fattorie come organismi viventi, unificati, in teoria completamente autosufficienti. Per mantenere lo standard bisogna prestare attenzione continua a ciò che sta accadendo esattamente nel proprio vigneto e nella propria terra. Significa non comprare i fertilizzanti e i pesticidi che vengono ancora consegnati ogni stagione alle fattorie biologiche. Significa ricostruire costantemente il suolo per il futuro. Significa lasciare incolta una buona porzione della propria terra – e se vi trovate a Sonoma o Napa, si tratta di una delle terre agricole più costose al mondo – e allevare mucche, pecore, capre, polli e altri animali per rendere la fattoria indipendente e prospera.

Un’etichetta biodinamica può differenziare un vino dalla massa di quelli che sono già organici. Ma il termine non è ancora arrivato al punto di poter conferire diritti da vantare. A ostacolare il raggiungimento dello status c’è poi l’immagine hippy. L’agricoltura biodinamica contempla pratiche quali l’irrorazione di miscele per incoraggiare la crescita e tenere a bada i parassiti, la preparazione di compost addizionato di varie erbe in quantità omeopatiche e una serie di “preparati” sciamanici e apparentemente ridicoli basati su un’interpretazione troppo letterale di ciò che Steiner, il quale osservava la vita nelle fattorie dell’Europa centrale, menzionava nei suoi pochi scritti sull’agricoltura.

La Benziger Family Winery di Glen Ellen �un’azienda vinicola biodinamica da cartolina, e le persone che la gestiscono parlano con l’aria serena dei convertiti di lunga data, diversamente da svariati altri viticoltori coi quali ho parlato durante una mia recente visita a Sonoma e Napa, piuttosto inquietanti. Quando si tratta di ascoltare il racconto di alcune pratiche di biodinamica – sotterrare letame in corni di mucca durante l’autunno ed estrarli in primavera, sotterrare cortecce di quercia in teschi di capra, usare vesciche di cervo e intestini di mucca per avvolgere le erbe, seminare e raccogliere nei “giorni delle radici, delle foglie, dei fiori e dei frutti” indicati sui calendari lunari per l’agricoltura coperti di simboli zodiacali – può risultare difficile distinguere tra serenità e fanatismo.

Glen Ellen �un vestigio del passato in cui una famiglia con mezzi normali poteva comprare un bellissimo pezzo di terra e coltivare l’uva. Mike e Mary Benziger comprarono la proprietà nel 1980 con l’aiuto del padre di Mike, Bruno, un importatore di vini e liquori. Bruno e la moglie vi si trasferirono un anno dopo, seguiti poi da altri fratelli. Fu un vino “piuttosto mediocre”, dice Mike Benziger, a far cambiare loro i metodi di coltivazione: “Avevamo eliminato il lievito madre” – quegli organismi naturali tanto amati dai panettieri e ora anche dai viticoltori duri e puri – “usando per anni gli erbicidi, così dovevamo aggiungere lieviti di laboratorio”. Il terreno “somigliava a palle di cenere o talco”, ed era stranamente silenzioso: “Si sentiva solamente il vento tra le viti. Era un deserto verde”. Ora, aggiunge Mike, il terreno “sembra quasi una torta, somiglia ai brownies” (tortini al cioccolato).

Mentre Mike parla, la vista, che spazia da un vigneto sul pendio di una collina verso un altro colle, � un patchwork di uva Zinfandel, lavanda, rosmarino e olivi. Demeter, il programma di certificazione internazionale per l’agricoltura biodinamica (con filiali in 43 paesi), richiede che il 10 per cento della terra di un’azienda agricola sia incolto, non tanto come la percentuale di terra selvaggia o riservata al pascolo necessaria in una fattoria davvero autosufficiente, ma abbastanza da scoraggiare i coltivatori che traggono profitto da un’unica coltivazione, per quanto non amino la monocoltura.

Sebbene molti vigneti biodinamici non abbiamo abbastanza bovini da produrre tutto il letame di cui hanno bisogno (e non sono dunque un sistema realmente a s�stante che sarebbe alla base dell’ideale biodinamico), le tre mucche dei Benziger sono sufficienti per coprire i loro bisogni. Inoltre allevano anche pecore che tengono puliti i campi brucando le erbacce, e coltivano verdure che rinnovano il terreno e regalano magnifiche insalate come portulaca, farinaccio e piselli freschi che vengono venduti da Ubuntu, un ristorante vegetariano biologico del centro di Napa, attualmente sulla bocca di tutti nel settore alimentare. E trattandosi di una cartolina, l’agricoltore che consegna queste verdure è un fotogenico laureato con tanto di cappello di paglia, sposato con una ex cuoca di Chez Panisse (e che, per puro caso, aveva testato le ricette per il mio libro su Slow Food).

I Benziger si affrettano a sottolineare che si affidano a immagini satellitari, sofisticate analisi del suolo e tecnologie vitivinicole per certificare i loro metodi a basso impiego tecnologico. L’altalena di alta tecnologia-scarsa tecnologia che vantano – oltre al denaro proveniente dall’alta tecnologia che finanzia i metodi scarsamente tecnologici nel territorio di Sonoma e Napa – si può osservare sull’altrettanto scenico sfondo dell’azienda agricola Da Vero, appena fuori Healdsburg, la principale città della contea di Sonoma, che sta tentando di “napaficarsi” anche se non ci è ancora riuscita del tutto. Da Vero viene tenuta in piedi grazie al denaro che il proprietario, Ridgely Evers, ha incassato sviluppando il software QuickBooks. Il prodotto principale è l’olio d’oliva ed Evers sostiene di tenere incolto molto più del 10 per cento di terra richiesto, addirittura il 60 percento.

Evers d�almeno una ragione convincente della logica che sta dietro al pagare per essere certificato biodinamico e non biologico: �ottimo marketing. La biodinamica pu� rispettare la promessa fatta ma non rispettata dal biologico: come riassume brevemente Evers, cibo “coltivato in maniera sostenibile e responsabile vicino al luogo di consumo”. Questa, difatti, è l’idea che diede origine a Slow Food negli anni 1980, lo trasformò in un movimento internazionale negli anni 1990 e rese locavore la parola dell’anno del New Oxford American Dictionary 2007.1 Ed è la promessa che è stata seppellita negli anni che portarono al National Organic Program (NOP) dell’USDA, che impose finalmente uno standard nazionale per le certificazioni biologiche dopo anni di definizioni valide solo nei singoli stati. “Non hanno codificato le migliori pratiche”, sottolinea Evers mentre fa un riassunto poco diplomatico di ciò che molti agricoltori pensano dell’approccio dell’USDA. “Sono apparse delle lobby e ora il NOP è talmente lontano da ciò che la gente identifica con biologico da sembrare una barzelletta”.

Le corna bovine vengono riempite di letame e seppellite per tutto l’inverno per creare il preparato biodinamico 500, che promuove la crescita delle radici.

Molti degli agricoltori e dei viticoltori che ho incontrato parlavano della biodinamica come del nuovo biologico. E diversamente dalle prime associazioni di agricoltura biologica, Demeter si sta preoccupando che gli standard di cui si fregia non vengano ammorbiditi in futuro. Ha depositato un marchio di fabbrica negli Stati Uniti sulla parola “biodinamica”. Ora il lavoro consisterà nel far capire ai consumatori il significato dell’agricoltura biodinamica e le sue regole più severe rispetto a quella biologica.

L’interesse nell’agricoltura biodinamica sta crescendo, in particolare tra i viticoltori. La disillusione verso l’invasione delle grandi industrie nel biologico e il desiderio di un margine di marketing hanno triplicato le iscrizioni americane a Demeter negli ultimi cinque anni, stando a quanto afferma Elisabeth Candelario, direttore marketing di Demeter USA.

Una ragione per cui i viticoltori sono più�attratti dall’etichetta del biodinamico piuttosto che del biologico �che scartano fermamente i metodi di viticoltura biologici (sebbene non sia lo stesso per i metodi di agricoltura biologici). “La legge sul biologico negli Stati Uniti non è applicabile alla viticoltura”, afferma Larry Stone, un sommelier leggendario che sta inseguendo il suo sogno di gioventù di produrre vino lavorando come general manager della rinomata cantina Rubicon a Napa, di proprietà di Francis Ford Coppola. Il problema, spiega, è che gli standard per il vino biologico sono stati scritti nello stesso periodo in cui alti livelli di solfiti nei salad bars causarono problemi di salute. Così i livelli di solfiti permessi nei vini – 10 parti per milione – sono molto più bassi rispetto allo standard europeo di circa 50 parti per milione. Buona notizia per chi soffre di emicrania e pensa che la causa siano i solfiti. Cattiva notizia per i produttori di vino rosso: “è quasi impossibile produrre vini, in particolare rossi, che possano resistere agli attacchi dell’ossidazione dopo un anno”, sostiene Stone. Da qui la grande disparità tra il numero di vigneti biologici e il numero di vini biologici. Gli standard biodinamici riguardanti i solfiti sono in linea con quelli europei per i vini biologici, il che dà a Demeter una grande opportunità di mercato.

Ma in realt��possibile dire che un vino �biodinamico? Più�specificamente, il vino biodinamico �più�buono?

Non troverete ragione di pensarlo per quanto riguarda la produzione. I certificatori biodinamici non dettano metodi assurdi per la produzione del vino, sebbene il calendario con i periodi propizi -�i giorni delle foglie e dei frutti – paia una superstizione a molti viticoltori. L’abilità di un viticoltore, o la sua mediocrità, determina il sapore di qualsiasi vino. Proprio come la qualità dell’uva.

Ma è facile sostenere che l’agricoltura biodinamica produce uve più buone, così come testare la veridicità di questa affermazione. Chef tra cui Jeremy Fox, del ristorante Ubuntu, dicono che la frutta e la verdura coltivate biodinamicamente tendono a sprigionare il loro gusto più di quelle biologiche, per raggiungere quell’inafferrabile sapore puro e intenso che i cuochi ricercano sempre. Quando Jim Fetzer, membro di una famiglia che ha adottato lo slogan “Il vino amico della Terra”, convertì i suoi 160 acri alle pratiche biodinamiche per vendere gli acini alle cantine Fetzer (ora proprietà di una società conglomerata), Benziger e altri li indicarono come gli acini più belli che avessero mai visto.

I vini prodotti da Benziger a partire da uve coltivate nei suoi vigneti biodinamici sono molto rinomati, in particolare il Benziger Estate Sonoma Mountain V.2006 Tribute, una miscela di cabernet che la cantina ha introdotto cinque anni fa come “tributo” all’agricoltura biodinamica. Ha un naso sorprendentemente timido per un vino che, com’è abitudine in California, ha una percentuale di alcool del 14,5. è anche delicato al palato, perché include Cabernet Franc, Merlot e Petit Verdot, ed è nettamente più pulito e ha meno sentori di quercia rispetto alla media californiana. Il Tribute è ingannevolmente dolce; è così pulito al naso e leggero sulla lingua che solo dopo alcuni attimi la frutta di fondo si fa sentire e ti fa venir voglia di berne ancora, e ancora, a differenza del tipico Cabernet californiano forte, pesante e troppo maturo. Non è economico (circa 80 dollari in negozio), ma lo stile francese farà gola persino ai timidi bevitori di Merlot. Ma il Tribute è così buono grazie alla splendida proprietà di questa famiglia collaborativa e agli encomiabili metodi di agricoltura? Forse. Senza dubbio lo è perché queste persone sanno come si produce il vino.

Molti viticoltori di entrambe le valli sono venduti. David Bos, un giovane agricoltore originario del Midwest con l’aria evangelica che tradisce un passato da studente di religione, loda i vantaggi della biodinamica; tutti e cinque i vigneti di Grgich Hills, l’azienda vinicola di Napa per la quale lavora, sono certificati da Demeter. “La gente chiede se ne vale la pena dal punto di vista economico”, mi ha detto quando mi ha portato a visitarne uno vicino a Yountville (diversi agricoltori hanno detto che l’iniziale passaggio alla biodinamica è costato alcune migliaia di dollari l’acro per diversi anni). “Ma abbiamo visto la biodinamica guarire i nostri vigneti”: utilizzando i metodi biodinamici, ha salvato una vigna appassita che gli altri coltivatori avrebbero sradicato. Ora i grappoli di quella vigna sono una parte del suo stimato Cabernet Yountville. “Ne stiamo producendo 300-400 casse l’anno”, racconta. “Lo vendiamo solo attraverso la nostra sala degustazione, e costa 135 dollari a bottiglia”.

I coltivatori degli anni 1970 passano rapidamente dal mondo della pratica a quello spirituale. Michael Sipiora, per esempio, lavora a Quintessa, una spettacolare tenuta sulla Silverado Trail. è un grande conoscitore di vino, difatti prima di unirsi alla tradizionalista coppia di proprietari di Quintessa, Valeria e Agustin Huneeus, coltivava i vigneti di Stag’s Leap. La differenza tra biologico e biodinamico, mi ha detto, sta nell'”energia”. Ha proseguito poi parlando dei livelli di consapevolezza di Steiner: il livello “eterico” del mondo vegetale, quello “astrale” del regno animale, i livelli di energia cosmico e tellurico che condividiamo con gli animali e il livello dell'”aquila” raggiunto dagli umani.

Sipiora sotterra cristalli e li carica di “intenzione”. L’acqua – “il grande messaggero” – è il suo argomento prediletto. Va fiero della “forma del flusso”, una fontana a cascata con doppie vasche su ogni livello che fa girare l’acqua in “vortici” opposti, caricandola di energia; l’acqua viene poi distribuita in tutta la tenuta. Sipiora si occupa personalmente di molti dei preparati di Steiner, e quello che non può coltivare all’interno della proprietà lo compra dal Josephine Porter Institute della Virginia: vescica di cervo e corteccia di quercia da sotterrare in teschi.

Questo tipo di culto settario fa impazzire Aaron Pott. Pott è un produttore di vini e consulente (in passato per Quintessa) che sta fondando il suo vigneto personale. Ha studiato sia all’Università della California di Davis che alla Università della Burgundia e ha lavorato in due chateaux di Bordeaux, acquisendo così conoscenze sia del Vecchio che del Nuovo Mondo. Venne a contatto con l’agricoltura biodinamica per la prima volta in Francia e approfondì la materia quando Quintessa estese il suo programma di biodinamica. Definisce molti preparati biodinamici “ridicoli” e ” medievali”.

Il problema, afferma, �che Steiner scrisse poco sull’uva (solo mezza pagina delle sue lezioni sull’agricoltura), e la sua conoscenza di coltivazione si basava sulle sue esperienze nella fredda Europa centrale, un luogo totalmente estraneo rispetto al clima di Napa e Sonoma. Molti preparati puntano a stimolare la maturazione delle uve, mentre in California uno dei problemi principali è l’eccessiva maturazione.

Pott per�non boccia la biodinamica al 100 per cento. “I principi che apprezzo”, spiega, “sono quelli che dicono – con le parole di Steiner – “Osserva tutto ciò che hai intorno. Impiega preparati che funzionino. Queste sono cose che hanno funzionato nella Germania centrale.” Ciascuno veda cosa sta succedendo nella propria tenuta e impieghi quelle tecniche”. Pott ha premuto foglie di agave, la cui parte interna mantiene l’umidità nel deserto, e ha spruzzato il composto sulle viti per evitare gli effetti di una eccessiva esposizione al sole, e “guarda un po’, ha funzionato”. Perché altri non adattano la filosofia di Steiner per ottenerne simili effetti pragmatici e scartano ciò che è palesemente inadatto al loro clima? Alza le spalle. “Perché i cristiani non seguono gli insegnamenti di Cristo?”.

Alla fine, tutto sta nella fede. Studi scientifici che hanno messo a confronto fattorie biologiche e tradizionali hanno mostrato che le fattorie biologiche hanno un suolo di qualit� migliore, secondo John Reganold, scienziato del suolo presso la Washington State University. Ma studi che mettono a confronto il suolo di fattorie biologiche e biodinamiche mostrano “risultati contrastanti”, afferma. Lo scienziato ha confrontato il suolo di vigneti biodinamici e biologici confinanti e non ha riscontrato differenze. E sebbene un’analisi chimica dell’uva abbia sottolineato alcune differenze, in una degustazione cieca di Merlot provenienti da quei vigneti gli assaggiatori non hanno saputo pronunciarsi. Nonostante tutto, Reganold è un sostenitore del metodo: “I coltivatori biodinamici osservano la coltivazione e sono in contatto con essa più spesso rispetto ai coltivatori tradizionali”. E, ovviamente, è compiaciuto dal fatto che gli agricoltori biodinamici si curino così tanto del suolo.

Se biodinamica significa soltanto che il suolo su cui l’uva viene coltivata sarà migliore per le generazioni future, siamo tutti d’accordo. “Non si diventa ricchi producendo vino, glielo assicuro”, dice Jim Fetzer, la cui famiglia è rimasta nel campo dello sviluppo edilizio e nella coltivazione dell’uva dopo aver venduto la cantina vinicola di proprietà. I soldi stanno nel terreno. Visti gli indiscutibili benefici che l’agricoltura biodinamica ha per la vita del suolo, forse dopotutto è un buon investimento.

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