Innovazione e creatività

Intervista con Alain Dumont

L’innovazione è una leva competitiva fondamentale per le aziende del terzo millennio costrette a misurarsi con sempre più complessi asset produttivi e nuove realtà del mercato globale. Si sa, alla capacità di innovare è strettamente connessa le possibilità di successo, l’esplorazione di nuove occasioni di business, l’aumento della ricchezza individuale e collettiva, il soddisfacimento massimo dei bisogni di un cliente che oggi dimostra di essere evoluto e informato. Qualunque manager, soprattutto nell’era della e-economy, di Internet e dell’azienda virtuale, sarebbe pronto a sottoscrivere il valore dell’innovazione. Eppure non c’è niente di scontato, su questo argomento. Non è facile definire il campo semantico di un concetto delicato e complesso, legato a una molteplicità di fattori: culturali, psicologici, professionali e talvolta ambientali.

Alain Dumont, docente di strategie internazionali e management dell’innovazione alla HEC (Hautes Etudes Commerciales) e alla Sorbona, faculty vicepresident di Cap Gemini Ernst & Young, autore di svariati saggi sul tema della competitività e del trasferimento tecnologico, basta ricordare La coopération industrielle: une opportunité de développement International e Technology competitiveness and cooperation in Europe, propone una chiave di lettura particolarmente interessante del fenomeno innovazione, fondata su alcune categorie di analisi poco battute dalla letteratura scientifica. Come spiega efficacemente Jean Jaques Damlamian, direttore esecutivo della Divisione Sviluppo di France Telecom nell’introduzione di Innovare nei servizi, opera di Dumont pubblicata in Italia da Franco Angeli, “lo studioso francese ha il merito di riuscire a dissodare un campo paradossalmente poco studiato dai manuali di management: l’innovazione applicata ai servizi”, riuscendo a offrire, oltre i percorsi a volte troppo astratti della teoria, la descrizione dell’esperienza concreta di alcune aziende europee e americane che hanno costruito il loro successo facendo dell’innovatività (è uno dei neologismi cari a Dumont in cui i suoi lettori spesso si imbattono) un must, un obiettivo, un imperativo perseguito con abilità strategica, chiarezza di idee, determinazione. In questa intervista realizzata per “Technology Review”, edizione italiana, si sofferma sui mutamenti profondi, in senso organizzativo e di processo, ma anche in senso ideologico e culturale che la seconda generazione di Internet sta introducendo nell’universo del “terziario avanzato”.

Professor Dumont, lei studia la società industriale nel suo divenire. Malgrado alcune evidenze storiche appaiano incontrovertibili, perché è stato sempre così difficile parlare di innovazione?

I “non luoghi” della Rete si ampliano. Nell’estensione degli spazi virtuali c’è il segno di un progresso che ha ristretto lo spazio, accelerato il tempo, individualizzato i destini. Il periodo della storia che ci aspetta, sarà caratterizzato dai social networks, dalle communities di attività e di interessi che si confrontano sul “filo” della Rete, da computer che dialogano, dalla diffusione di sofisticate tecniche di riconoscimento elettronico della scrittura, dal dominio del “web semantico”, per cui diventerà normale, direi addirittura intuitiva l’interazione uomo-macchina. Forse niente di sconvolgente, se si considera che la presenza dell’innovazione non è una nota che caratterizza solo la civiltà dei computer. La storia dell’uomo, fin dagli albori si è, infatti, sviluppata attorno a questo impegnativo e delicato concetto. Dall’invenzione della ruota all’avvento del motore a scoppio, dall’utilizzazione dei caratteri mobili fino alla prepotente concentrazione del lavoro in fabbrica, facilitata dall’avvento della catena di montaggio, che segna l’inizio dell’era industriale, l’innovazione tecnologica è stata motore di progresso e sovente generatrice di autentiche rivoluzioni scientifiche ed epistemologiche.

Innovazione e servizi, il suo lavoro di ricerca ha un focus ben preciso. Può spiegarci da quali presupposti è partita la sua riflessione?

I meccanismi dell’innovazione sono molto complessi. Una vasta letteratura ha cercato di illuminarli nel tempo, ma ancora troppo poco è stato scritto sul binomio innovazione e servizi. Questo è tanto più grave se si considera che i due terzi del prodotto nazionale lordo dei paesi sviluppati è dato dai servizi e l’80 per cento di questa quota già elevata è rappresentata dai servizi hi-tech. La nostra vita è stata fin dall’antichità costantemente segnata dai processi dell’innovazione, ma non è mai stato facile spiegare che cosa è l’innovazione, da che cosa nasce, cosa la fa maturare. Nell’uomo della strada questo termine evoca da sempre immagini di camici bianchi, un’icona classica legata al mondo dell’industria e dei prodotti. Fra innovazione e servizi sembra che ci sia stata una perenne, insanabile contraddizione. Nei miei studi ho cercato prima di tutto di superare questo “pregiudizio”, dando voce a quelle che definisco “grandi mute”, che sono quelle società che sui servizi, ma soprattutto sulla capacità continua e sistematica di trovare soluzioni e offerte originali, che risultino utili per la clientela. Cosa che spiega le ragione del successo. Ho per questo voluto orientare il fronte dell’analisi ai settori più svariati: dall’industria automobilistica (pensiamo al successo del caso Smart), all’industria alberghiera, alla finanza, al commercio, alla pubblica amministrazione, persino alla ristorazione per dimostrare che l’innovazione è una componente che può rafforzare la competitività anche e non solo dei settori ad alta tecnologia.

Tipologie innovative e “stati umani”


Il termine francese serduits da Lei coniato per esprimere l’originale fusione di prodotto e servizio, sottintende una trasformazione dei processi e un diverso approccio al mercato. Per quale ragione un tema così importante, che apre un capitolo nuovo per il marketing strategico, nel passato non aveva alcun peso ?

Il processo cui lei si riferisce ha una doppia valenza: culturale e produttivo. Intanto partirei da una convinzione di fondo. Molti prodotti non possono esistere senza servizi e molti servizi senza prodotti. Il telefonino è un esempio molto brillante: è infatti un apparato tecnologico e nello stesso tempo un potente servizio che ha radicalmente cambiato il nostro modo di comunicare. Quando fabbrico un prodotto trasformo la materia, questo fa si che l’industria sia il regno dei tecnici, cioè di professionisti che definisco esperti del rapporto uomo-materia. Quando volgiamo l’attenzione al mondo dei servizi entriamo nel regno delle competenze, occorrono in questo settore esperti che devono operare sulla trasformazione di “stati umani”, sulla sfera delle aspettative e perché no sull’immaginario della gente. Sui servizi, ed è forse questo l’aspetto più difficile da capire, l’innovazione si esercita in modo originale. Non basta cambiare un processo per conquistare il mercato, occorre intervenire sull’atteggiamento, sulla condizione emotiva, sulla sfera dell’intangibile per avere risposte positive dal pubblico e dai consumatori.

Il prodotto si caratterizza per la sua lontananza dal cliente a differenza dei servizi che in genere sono il risultato di una “coproduzione”, che coinvolge azienda e cliente. Perché la cultura industriale tradizionale ha trascurato per tanto tempo questo aspetto che ha delle ricadute molto importanti sulla qualità delle prestazioni e sull’offerta?

Nei casi aziendali che ho analizzato le innovazioni sono state originate dai clienti. L’intimità con il cliente fa sì che si possa dar vita alla coproduzione, che si traduce, nella maggior parte dei casi, in un processo di coinnovazione. Il cliente in un’azienda di servizi è una risorsa importantissima. La creazione di valore per chi è interessato ad acquistare un prodotto/servizio rimane una condizione necessaria per il successo di ogni iniziativa commerciale. L’alleanza azienda-cliente non fa altro che aumentare le percentuali di questo successo.

Di innovazione non si può parlare in maniera generica. Lei ha studiato in modo capillare le tipologie dell’innovazione. Ne può tracciare una sintesi?

La classificazione che ho proposto rispecchia gli orientamenti scientifici prevalenti in materia. Sostanzialmente sono tre le tipologie di interesse: l’innovazione incrementale, si tratta di un meccanismo che ha la caratteristica di migliorare senza molti rischi un processo interno, creando un vantaggio competitivo, anche se molto limitato. Il livello di innovazione in questo caso è facilmente imitabile; l’innovazione radicale o dirompente rappresenta la seconda tipologia. Ha una natura tecnica o di marketing e si presenta abbastanza forte da differenziare nettamente un’offerta, l’azienda che la pratica è, infatti, in grado di aprire un nuovo segmento di mercato; in ultimo l’innovazione totale, quella che in genere più entusiasma. In questo caso ci troviamo di fronte a un’offerta “mai vista”, “inaudita”, “impensabile”. L’impresa protagonista può aprire un nuovo business, aspirando anche al monopolio della nicchia individuata per un determinato lasso di tempo.

Il valore degli asset intangibili


è evidente che l’innovazione trova il suo carburante naturale nella creatività. Esiste un metodo efficace per alimentare la sfera della fantasia e della creatività in contesti aziendali dominati dal paradigma del Web 2.0 ?

La creatività è la condizione necessaria, anche se non sufficiente per generare un processo di innovazione. Senza creatività non può esserci innovazione. Il management deve lasciare spazio e libertà ai dipendenti, che devono imparare a coltivare le capacità di creazione e di immaginazione che ognuno di noi ha nel suo bagaglio, anche quando sono sul posto di lavoro. Oggi circa il 50 per cento dei casi aziendali che ho riportato nel saggio Innovare nei servizi dimostra l’importanza strategica degli intangibles nei contesti produttivi. Il direttore generale di un’azienda americana di grande successo, di cui non faccio il nome, non si è solo preoccupato di effettuare un intervento di natura tecnico-manageriale sui processi di innovazione per migliorare i rendimenti, ha soprattutto esercitato un’azione di carattere culturale, cercando di bilanciare quei meccanismi utili a togliere la paura e a rigenerare fiducia e creatività nei dipendenti e nei clienti. I risultati della ricetta si sono visti. In quindici anni questa azienda è diventata, non a caso, da una piccola agenzia di viaggio, a un colosso che oggi occupa il terzo posto nel mondo.

L’informatizzazione, l’industria della telematica, lo sviluppo dei nuovi mezzi di comunicazione possono aiutare a sviluppare la creatività ?

L’information technology è un ingrediente che assicura un’accessibilità più diretta alle leve del valore, permette inoltre di far circolare e moltiplicare il know-how aziendale. Concordo con Peter Drucker, che nel saggio Post Capitalist Society sostiene come la risorsa fondamentale per l’impresa non è rappresentata semplicemente dal capitale né dalle risorse naturali e neppure dal lavoro in sé, quanto dalla conoscenza e dai soggetti che la generano. è dunque evidente che strumenti che aumentano le potenzialità di comunicazione diventano automaticamente un punto chiave per la gestione della conoscenza. Per questo risulta fondamentale l’impegno a diffondere la cultura tecnologica. I non luoghi della rete si ampliano. Nell’estensione degli spazi virtuali c’è il segno di un progresso che ha ristretto lo spazio, accelerato il tempo, individualizzato i destini. Ritorno, come all’inizio, a sfruttare un’immagine del grande antropologo francese Marc Augé, perché fotografa con efficacia l’eccezionale boom dei nuovi servizi e degli applicativi IT che hanno scandito una nuova tappa della rivoluzione di Internet, trasformando anche l’impresa in un soggetto creativo e la Rete in una agorà virtuale, attraversata da scambi di relazioni e di informazioni, nel passato inimmaginabili. Se vissuta nel modo giusto credo proprio che la rivoluzione della telematica, che ci sta portando verso traguardi di confronto e interazione sempre più sofisticati, può essere una leva adatta a rafforzare i processi creativi, aprendoci al futuro.

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