Cervelli e imprenditori in Italia. Capitali dall’estero

di Alessandro Ovi

Ci si domanda spesso perché in Italia vi siano pochissimi casi di aziende operanti nei settori più avanzati della tecnologia che approdano alla borsa. La risposta chiama quasi sempre in causa il livello insufficiente di ricerca e di imprenditorialità per portare i risultati dai laboratori al mercato.

Ma i tre casi di cui vogliamo parlare sembrano portare a conclusioni diverse. Sono casi che possono già essere definiti di successo. Si tratta di tre aziende italiane, fondate da italiani e operanti in Italia: si tratta BioXell, NiCox e Gentium. E ne vogliamo parlare non solo perché le tre aziende e i loro fondatori sono molto interessanti, ma anche perché vorremmo mettere in evidenza, dopo averli presentati, un elemento rilevante, che tutti hanno in comune, molto utile per riflettere sul nostro sistema dell’innovazione.

BioXell

E’ una società biofarmaceutica, fondata come spin-off di Roche nel gennaio 2002, che possiede un know how particolare nella famiglia dei VD3, (vitamina D3), ormoni secosteroidi che hanno un ruolo molto importante nella regolazione del metabolismo del calcio, nella proliferazione e nella differenziazione delle cellule e in generale nel complesso della risposta immunitaria.

Grazie a queste proprietà gli analoghi VD3 possono essere utilizzati in un ampio spettro di indicazioni cliniche. Il prodotto destinato ad arrivare al mercato, Elocalcitol, che rappresenta un modo nuovo di affrontare il problema di gravi disturbi urologici grazie alle sue capacità antinfiammatorie, non androgeniche, antiproliferanti e proapoptoti (che favoriscono cioè una morte cellulare programmata). Il patrimonio di conoscenze di BioXell, generato dalla ricerca sui VD3, è universalmente riconosciuto e ha permesso di sviluppare un insieme di circa 300 VD3 con oltre 350 brevetti collegati. Oltre che con i VD3 l’azienda opera in altri tre settori:

, nella Piattaforma TREN (Triggering Receptors Expressed on Myeloid cells) che viene sviluppata in collaborazione con il grande gruppo americano Merck & Co. per il trattamento di condizioni infiammatorie quali lo shock settico, la sclerosi multipla e l’asma. All’origine di questo insieme di prodotti la scoperta di Marco Colonna, un ricercatore italiano che l’ha realizzata lavorando presso il Basel Institute of Immunology della Roche.

, nell’anticorpo MNAC13 contro TrkA (il recettore del nerve growth factor, il fattore di crescita delle cellule nervose) che offre un approccio innovativo e promettente nel trattamento del dolore.

MNAC13 è un anticorpo monoclonale umanizzato che è stato scoperto dal ricercatore italiano Antonio Cattaneo presso la Lay Line Genomics, che lo ha concesso a BioXell per lo sviluppo e la commercializzazione.

Il fondatore di BioXell è FrancescoSinigaglia, medico, laureato all’Università di Padova, che ha poi studiato come postdoc al Dipartimento di Farmacologia della Università di Milano, allo University College di Londra e al Basel Institute of Immunology della Roche. Dopo dieci anni passati a Basilea come ricercatore all’Istituto di Immunologia è rientrato a Milano come direttore scientifico a Milano Ricerche, un centro dedicato allo studio delle malattie infiammatorie croniche, e ha pubblicato sulle più prestigiose riviste scientifiche internazionali tra cui «Nature», «Science», «Cell», sia in campo immunologico sia in quello della medicina molecolare e della drug discovery.

Ha fondato BioXell nel 1992 e oggi impiega 60 ricercatori che operano a Milano e a Nutley nel New Jersey.

NiCox

E’ una società biofarmaceutica fondata nel 1996 e dedicata allo sviluppo di farmaci cosiddetti nitroxide-donating che hanno prospettive molto interessanti nelle malattie cardiovascolari e infiammatorie. Attualmente le risorse dell’azienda sono focalizzate su due prodotti in fase finale di sviluppo per il trattamento della osteoartrite e del PAOD (periferal arterial obstructive disease). Si tratta di:

, Naproxcinod, che si pensa possa sostituire senza effetti collaterali i farmaci attualmente utilizzati nei casi di osteoartrite, che presentano un certo grado dubbio sulla loro sicurezza cardiovascolare.

, NCX 4016, un prodotto che sembra offrire una buona soluzione ai casi di PAOD causati da diffusa aterosclerosi e da diabete e che provocano dolori tali da impedire di camminare.

NiCox tende a sviluppare internamente i suoi prodotti più importanti, ma sta anche allacciando alcune alleanze strategiche per la ricerca e lo sviluppo di nuove categorie di prodotti. Sono quindi state avviate ricerche congiunte con Merck&Co, con Pfizer e con Grupo Ferrer Internacional; sono stati definiti accordi di sviluppo con Axcam Pharma Inc, Bioliox AB e Topigen Pharmaceuticals Inc. NiCox oggi opera anche presso il parco tecnologico di Sophia Antipolis. Uno dei fondatori è Michele Garufi, laurato in chimica farmaceutica all’Università di Milano nel 1977, e oggi presidente e amministratore delegato di NiCox. Prima di fondare NiCox, Garufi ha lavorato per vent’anni nei settori delle licenze e del marketing internazionale di società farmaceutiche in Italia, Spagna e Germania (Recordati, Italfarmaco, Poli, Lipha Group).

Non è un ricercatore come Sinigaglia, ma un uomo con un solido progetto imprenditoriale che sa lavorare con i ricercatori di base delle università, senza strapparli dall’ambiente in cui amano lavorare, come dice la sua biografia su Internet. L’idea nuova sulla quale è fondata la linea di prodotti di NiCox non è sua, ma di Pietro Del Soldato, un biologo milane- se che, ben conoscendo le proprietà dell’ossido nitrico, già oggetto del premio Nobel per la medicina assegnato nel 1998 a Furchogott, Ignaro e Murad, aveva pensato di agganciarlo ad altremolecole con un ponte chimico di sua invenzione, per renderla abbastanza stabile per un uso terapeutico. Ma l’dea da sola non fa innovazione. L’innovazione è stata generata da Garufi tramite NiCox fondata e fatta crescere proprio per questo, assieme allo stesso Del Soldato ed Elisabeth Robinson, ricercatrice del MIT trapiantata a Milano, dopo aver fatto l’esperienza della start up Genzyme, una delle aziende biotecnologiche americane di maggior successo.

Gentium SpA

E’ una società biofarmaceutica che si è specializzata nella ricerca e nello sviluppo di principi attivi derivati da sorgenti naturali, focalizzandosi sulle terapie per malattie rare. La sua ttività di ricerca e produzione ha luogo a Villa Guardia vicino a Como. Gentium è stata fondata nel 2001 in seguito alla ristrutturazione della Crinos Industrie Farmaceutiche, fondata nel 1944 da Gianfranco Ferro. Nella ristrutturazione gli stabilimenti di ricerca assumono un’identità autonoma, generando Gentium SpA cui vengono trasferiti tutti i brevetti, mentre l’azienda di produzione vera e propria prende il nome di Sirton Pharmaceuticals.

Attualmente la ricerca di Gentium è concentrata sugli agenti polifarmacologici mirati alla protezione delle cellule endoteliali che, come risulta dagli studi più recenti, hanno un ruolo rilevante nella coagulazione, nelle patologie infiammatorie e nel cancro. Suo principale prodotto è il defibrotide che, grazie alla sua possibilità di impiego in patologie rare, ha ricevuto dalla OMS lo stato di orphan drug che permette di beneficiare di interessanti condizioni di esclusività commerciale.

La linea di crescita di Gentium comprende quattro nuovi prodotti candidati allo sviluppo per sette nuove indicazioni. La società detiene trenta brevetti in Europa e negli Stati Uniti e ha settanta domande pendenti. Sul fronte commerciale Gentium accede ai marcati globali grazie alla cooperazione con partner industriali, tra i quali Sigma Tau che ha la licenza esclusiva a distribuire il defibrotide nell’America del Nord, in America centrale e in quella meridionale. Fondatrice di Gentium è Laura Ferro, laureata in medicina all’Università di Milano nel 1981 e specializzata in farmacologia clinica nella stessa Università nel 1992. Dopo aver esercitato la professione medica per molti anni, è stata nominata presidente e amministratore delegato di Gentium nel 1991 e di Fisirton, suo principale azionista. Laura Ferro è anche presidente del Comitato per la Ricerca di Europharm, l’associazione europea delle piccole e medie imprese farmaceutiche, e della Fondazione Gianfranco Ferro, una istituzione non profit dedicata alla promozione della ricerca e della formazione sul corretto uso dei medicinali, sulla sorveglianza di eventi avversi conseguenti all’impiego di farmaci (farmacovigilanza) e di sostanze farmacologicamente attive usate in medicina alternativa sulla prevenzione e terapia dell’abuso e della dipendenza da sostanze psicoattive.

BioXell, Nicox e Gentium sono tre società diverse nelle loro linee di prodotto e nelle loro strategie. Tre sono i fondatori, tutti imprenditori nello spirito, ma con storie non certo simili: un ricercatore puro, un manager da sempre, un medico diventato manager nell’azienda di famiglia. Che hanno però due caratteristiche in comune. La prima è che sono tutti italiani e amano lavorare in Italia. La seconda è che le loro aziende hanno trovato i capitali per crescere e la via della borsa non a Milano, ma all’estero: allo Swiss Exchange di Zurigo, a Euronext di Parigi e al NASDAQ di New York.

Pare di capire dal loro esempio che in Italia non esiste tanto, o non solo, un problema di scarsità di ricerca o di imprenditorialità nel settore delle tecnologie innovative, quanto una situazione di carenze strutturali e culturali del nostro mercato dei capitali. In uno degli ultimi numeri della rivista on line «Nature Biotechnology» si fa proprio notare che la recente quotazione di BioXell con un IPO (initial public offering) allo Swiss Stock Exchange di Zurigo, vista assieme a quelle di NiCox a Parigi e di Gentium al NASDAQ, possono avere un significato importante per tutto il settore biotecnologico italiano. Intervistato, Sinigaglia sostiene: «Non abbiamo proprio preso in considerazione un IPO alla Borsa di Milano, perché Zurigo ha già varie esperienze di successo nel settore biotech e il sostegno di investitori che conoscono bene il settore».

Nel mondo internazionale della ricerca vi è un grande rsipetto per le nostre attività nel settore della oncologia, della immunologia e delle neuroscienze; ma, se guardiamo il rapporto 2006 di Ernst&Young sulle società operanti nelle biotecnologie beyond borders vediamo che l’Italia è solo all’ultimo posto tra quattordici paesi occidentali per quanto riguarda il peso del settore relativo al PIL.

I motivi purtroppo sono ben noti, ma forse non sono altrettanto chiari i rimedi. Manca il capitale di rischio, vi sono rigidità e ritardi nella politica dei brevetti e in quella del tesferimento tecnologico, vi è stata a lungo una mancanza di attenzione del governo al settore e anche un cronico disinteresse per le attività industriali da parte degli scienziati. Mancano soprattutto le figure intermedie tra università e imprese che portino i capitali dove esistono opportunità di crescita basata sulla innovazione. La capacità di ricerca è indubbia, ma per lo sviluppo si finisce sempre per ora oltre confine. E non solo perché si cerca la quotazione altrove, ma anche perché spesso si finisce per essere assorbiti da qualche grande gruppo internazionale, come è successo alle milanesi Novuspharma e Biosearch. Novuspharma è stata acquistata nel 1994 dalla società di Seattle Cell Terapeutics per un valore di 236 milioni di dollari in azioni, e Bio-Search si è fusa con Versicor americana, per essere poi acquistata da Pfizer per 1,9 miliardi di dollari in cash nel 2005. Una buona aspettativa genera Mol-Med, diretta da Marina Del Bue, nel Parco Tecnologico del San Raffaele, con una buona linea di sviluppo per terapie cell-based del cancro. MolMed ha finora raccolto 60 milioni di euro direttamente da istituzioni finanziarie e da investitori privati e conta di andare in borsa entro la prima metà del 2007. Diverso è il caso di Genextra di Francesco Micheli che però non si presenta come un incubatore, una start-up o un fondo di investimento, ma come un «gruppo biotecnologico».

Tutte queste società, comunque, sono dotate di linee di sviluppo clinico abbastanza ampie, di un management ispirato e di un certo accesso a fonti di venture capital e di finanziamento internazionale rilevanti. Il divario con la maggioranza delle altre aziende del settore è, da questo punto di vista, rilevante. L’eccessiva frammentazione e la sottocapitalizzazione del settore sono ben evidenti. Le regioni, in particolare Lombardia e Piemonte, dove sono localizzate la maggior parte delle 160 società gia operanti nel settore e delle attività di ricerca, sono impegnate ad affrontare il problema finanziando il trasferimento di tecnologie, offrendo incubatori di aziende e seed money (fondi di avviamento), ma chiaramente tutto ciò non basta a dare una vera svolta alla situazione.

Serve qualcosa di molto più radicale a livello di governo. Bisogna superare la avversione al rischio degli investitori italiani potenzialmente interessati al settore.

L’idea della Agenzia per l’Innovazione o comunque di un programma ad hoc che sostenga gli operatori all’inizio delle attività innovative potrebbe essere importante, così come lo potrebbe essere il concetto mutuato dalla Francia della «Giovane Società Innovativa» che offra benefici fiscali di lungo termine alle start up fondate sulla ricerca. Ma ci vuole soprattutto un forte segnale di cambiamento verso una economia basata sulla conoscenza che attiri l’attenzione e focalizzi le risorse. Come diceva Sinigaglia a «Nature Biotechnology»: «è indispensabile vedere chiaramente che il governo si è impegnato perché questo cambiamento abbia inizio».

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