7 aprile: guida te stesso

Quando, verso la fine dell’Ottocento, faceva la sua prima apparizione sulle strade di un pianeta assai più lento e silenzioso di quello di cui siamo preoccupati inquilini, l’automobile era, tanto nella forma, quanto nella sostanza, poco più di una carrozza senza cavalli. Da allora, è passato un tempo decisamente breve – poco più di un secolo – ma talmente ricco di rivoluzionarie innovazioni da corrispondere, sul piano della storia, a un vero e proprio salto epocale.

Per rendersi conto di quanto il balzo compiuto in questi cento anni sia stato grande, è sufficiente accostare l’immagine della prima FIAT (1899: 35 km/h) a quella di una supercar di oggi (Lamborghini Murcielago: 330 km/h). Una crescita impressionante, accompagnata da un’accelerazione sempre scandita dalla sperimentazione e applicazione di nuove tecnologie che hanno trovato nell’auto uno straordinario terreno di coltura.

Crescita della qualità, crescita delle prestazioni, crescita delle dotazioni, crescita della sicurezza. è proprio il fronte della sicurezza quello che ha subito la più recente accelerazione; ma che ha anche arrecato le più cocenti delusioni.

Che il livello della sicurezza sia migliorato costantemente, è un dato del tutto evidente. Che le risorse tecnologiche e finanziarie impegnate per fronteggiare questa emergenza siano state rilevanti, è altrettanto certo. Tuttavia, questo miglioramento a crescita esponenziale continua a registrare una sensibile contraddizione fra l’entità del suo sviluppo applicativo e i risultati che se ne colgono. Negli ultimi 30 anni, si può dire che non c’è organo o parte strutturale di un’automobile che non sia stata interessata da applicazioni o accorgimenti volti a migliorare la sicurezza del veicolo e dei suoi passeggeri.

Con i freni a disco e l’ABS si è influito sull’efficacia del sistema frenante, migliorando il rapporto fra crescita della potenza e apparati di arresto dei veicoli. Con sistemi di controllo elettronico quali l’ESP, l’EBD e le sospensioni autolivellanti, oltre che con lo sviluppo della trazione integrale, si sono affrontati i problemi di assetto e tenuta, consentendo alle vetture di mantenere una corretta traiettoria anche in condizioni limite. Con la segnalazione della pressione dei pneumatici nonché della presenza di ghiaccio sulla strada, in dotazione nelle centraline elettroniche di bordo, ci si è preoccupati di informare tempestivamente dei cambiamenti delle condizioni di stabilità indotte da fattori esterni. Con i congegni di interruzione automatica del flusso carburante si è cercato di evitare l’infiammabilità del veicolo in caso di urto. Con i fari alogeni, allo iodio e al bixeno e con i fanali posteriori antinebbia e di frenata si è ricercata una migliore visibilità notturna. Piantone dello sterzo deformabile, barre laterali anti-intrusione, poggiatesta, cinture di sicurezza pretensionate, airbag, windowsbag, seggiolini per bambini, sono tutti accorgimenti costruttivi introdotti per proteggere i passeggeri a bordo.

Le esperienze della Formula 1 – area di sperimentazione dell’eccellenza tecnologica – nonché i crash-test come quelli di Euro-N-cap degli Automobile Club europei, hanno ridisegnato e imposto le modalità costruttive delle cellule abitative.

Asfalti drenanti, nuove vernici fosforescenti, led luminosi antinebbia, sistemi di rilevazione e comunicazione dei flussi di mobilità, hanno cercato di finalizzare alla sicurezza anche il contesto ambientale in cui le auto si muovono.

Questo processo di sviluppo tecnologico non ha sosta. Ogni nuovo modello presenta e reclamizza qualche nuovo congegno che persegue la protezione di chi vi si troverà a bordo e sollecita un giudizio di affidabilità e sicurezza. Anche perché, in misura straordinariamente maggiore rispetto al passato, i fattori di sicurezza sono diventati una componente essenziale nelle scelte del mercato. Ebbene, dire che questo sforzo non abbia sortito effetto sarebbe errato e ingiusto.

Sempre negli ultimi trenta anni il volume globale del traffico stradale nell’UE è triplicato, e il numero dei morti si è dimezzato. Tuttavia la situazione resta così drammaticamente grave da far parlare di ecatombe e da giustificare persino gli interventi delle Nazioni Unite e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Nel mondo, ogni anno, muoiono sulle strade 1,26 milioni di persone (stima ONU 2000), il 2,2 per cento della mortalità globale e il 25 per cento di tutte le morti in seguito a ferita. Nel 2000, gli incidenti stradali hanno rappresentato la nona causa di mortalità e invalidità e, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, se non si interviene con determinazione e urgenza, nel 2020 potrebbero diventare la terza causa, davanti a flagelli quali malaria, tubercolosi e AIDS.

Nell’Unione Europea, ogni anno, muoiono più di 50 mila persone e 150 mila restano invalide per la vita. Un problema che colpisce, complessivamente, 200 mila famiglie, nella maggior parte dei casi private del cosiddetto breadwinner (il capofamiglia, quello che «porta i soldi a casa»). Queste famiglie, oltre al dolore, devono affrontare anche problemi economici derivanti dal mancato reddito e – spesso – dalla necessità di affrontare lunghe vicende giudiziarie. Nel nostro paese, nel solo 2002, si sono verificati più di 230 mila incidenti, con 6.700 morti e oltre 330 mila feriti, alla raccapricciante media di 651 incidenti, 18 morti e 925 feriti ogni giorno. Cifre, peraltro, false per difetto, in ragione di inesatte comunicazione dei dati.

Anche in termini economici la situazione è drammatica. Il costo dell’incidentalità stradale è di 518 miliardi di dollari all’anno, di cui 100 miliardi nei soli paesi in via di sviluppo: il doppio dell’ammontare degli aiuti internazionali stanziati per loro.

In Europa il costo, diretto e indiretto, è valutato in 160 miliardi di euro, pari al 2 per cento del PNL. E in Italia la stima supera, ormai, i 34 miliardi di euro, pari al 2,7 per cento del PIL. Cifre che giustificano, abbondantemente, qualunque stanziamento della ricerca in favore della sicurezza stradale.

Perché ci troviamo di fronte a un quadro così devastante quando la ricerca e la diffusione delle tecnologie ci assicura veicoli e strade sempre più sicure?

La risposta fornita dalle statistiche, univoca in tutto il mondo, ripropone uno dei temi esistenziali che maggiormente hanno interessato – ed interesseranno – l’umanità.

In più del 90 per cento dei casi, infatti, gli incidenti sono attribuiti al «fattore uomo». Per quanta evoluzione e sicurezza la tecnologia sia in grado di garantire, dipenderà sempre dal comportamento umano, dalla sua cultura, dalla sua testa, l’uso che di questa tecnologia egli vorrà e saprà fare.

In questi cento anni l’uomo ha ricevuto stimoli e strumenti che hanno certamente cambiato costume, atteggiamenti, valori. Alcune categorie mentali, tuttavia, non sembrano essere mutate e condizionano molti aspetti della nostra vita, compresi quelli legati alla sicurezza stradale. Pensiamo all’atteggiamento verso ciò che affascina, come la velocità – grande nemica della sicurezza – un «mito» che accompagna, da sempre, la storia dell’uomo, che lo inebria fino a perderne coscienza. O al concetto di limite, strettamente connesso alla capacità di capire fino a che punto assecondare istinti e passioni.

O al valore della responsabilità, all’idea stessa di regola e al rapporto di insofferenza con quanto ci viene imposto di fare o non fare, indipendentemente dal fatto che la regola sia dettata per tutelare la nostra e l’altrui incolumità.

Fascinazioni, istinti, passioni, regole, responsabilità, sono tutte categorie che l’uomo ha imparato ad amare e, soprattutto, tradire, molti secoli prima dell’avvento dell’automobile. Categorie con le quali ciascuno di noi sarà costretto a confrontarsi ancora molto tempo dopo che la «specie automobile» sarà scomparsa dal pianeta. Tutte categorie che hanno assai poco a che fare con la qualità delle tecnologie di cui disponiamo e sulle quali le stesse tecnologie potranno avere sempre un effetto molto limitato.

Se pensiamo, dunque, da un lato, alle pochissime cose che fanno appartenere la prima Fiat e l’ultima Lamborghini alla stessa «famiglia» e, dall’altro, alla sostanziale identità che c’è nella dotazione delle categorie della «macchina uomo» da allora a oggi, ci rendiamo conto che la forbice è enorme. Ed è proprio in questa forbice che si annida il problema centrale della sicurezza stradale. Che è, soprattutto, un problema di etica e cultura della mobilità in un mondo sempre più a due velocità, dove l’uomo fatica a tenere il passo con la crescita delle nuove tecnologie.

In questa forbice si inserisce l’iniziativa dell’Automobile Club d’Italia per il 7 Aprile, giornata mondiale della salute che l’ONU ha voluto quest’anno dedicare proprio alla sicurezza stradale: lanciare un appello-sfida agli italiani affinché, quel giorno, facendo premio sulle passioni e gli istinti e in virtù di un supplemento di coscienza, tengano sulle strade del nostro paese comportamenti tali da non far registrare né morti né feriti.

Una sfida di ogni uomo a se stesso, per il controllo non delle macchine e delle innovazioni, ma della propria natura e della propria intelligenza. Quindi, una sfida difficile, ma non impossibile.

Una sfida anche urgente. E non solo per l’insopportabilità di un tributo di sangue così imponente, ma anche perché lo sviluppo tecnologico applicato all’auto e alla mobilità evidenzia nuovi motivi di allarme sulla nostra capacità di controllare noi stessi, prima ancora delle macchine che realizziamo.

Un insieme di fattori concomitanti (congestione del traffico, mancanza di efficaci alternative al trasporto individuale, elevati livelli di comfort a bordo, sviluppo della telematica) va rapidamente trasformando l’auto in un prolungamento della casa e dell’ufficio. Non più solo radio, CD e aria condizionata, dunque, ma navigatore satellitare, un sistema di informazioni che aiuti ad affrontare traffico, incidenti e condizioni atmosferiche avverse, un sistema di comunicazione che consenta di telefonare, inviare e ricevere posta elettronica e fax; un monitor a cristalli liquidi sul quale seguire DVD, programmi TV o andamento di Borsa, un sedile che attivi massaggi e ginnastica rilassante. Per limitarci a parlare del presente, non del futuro. In un contesto di questo genere, non solo guidare non è più l’unica attività, ma rischia di non apparire nemmeno la più importante.

Uno scenario che introduce nuovi elementi di distrazione e di pericolo verso i quali rischiamo di farci cogliere impreparati; tanto più se accompagnati da tutti quegli accorgimenti introdotti proprio per accrescere il livello di sicurezza, ai quali la nuova frontiera della tecnologia si appresta ad associarne tanti altri: l’uomo rischierà di sentirsi talmente protetto e al sicuro da ritenersi legittimato a ridurre la soglia di attenzione alla guida.

Un pericoloso effetto boomerang che occorre assolutamente scongiurare, riportando l’accento sulla centralità dell’uomo e sul bisogno e l’urgenza di investire in comunicazione, cultura e formazione. Perché non spetti più a lui il triste primato di anello debole del sistema mobilità.

Franco Lucchesi è presidente di ACI – Automobile Club d’Italia.

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