La sezione 230 su Internet va cambiata, ma non abolita

Donald Trump e Joe Biden vogliono entrambi eliminare questa legge che tutela i social network, senza affrontare il problema alla radice.

di Paul M. Barrett

Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il suo avversario democratico, Joe Biden, concordano su almeno una questione: l’abolizione dell’arcana legge federale nota come Sezione 230 del Communications Decency Act. L’8 settembre, Trump ha twittato che i legislatori repubblicani avrebbero dovuto immediatamente “abrogare la Sezione 230”. Con analoga urgenza, lo scorso dicembre, Biden aveva dichiarato al “New York Times” che “la sezione 230 dovrebbe essere rapidamente revocata”.

La Sezione 230, emanata nel 1996 per rafforzare la nascente rete Internet commerciale, protegge piattaforme e siti Web dalla maggior parte delle cause legali relative ai contenuti pubblicati dagli utenti. E garantisce questa immunità anche se le aziende controllano attivamente i contenuti che ospitano.

Proteggendo legalmente le attività online, la Sezione 230 ha incoraggiato l’innovazione e la crescita. Senza la legge, le nuove aziende Internet avrebbero più difficoltà a decollare, mentre le piattaforme consolidate avrebbero bloccato molti più post in risposta ai maggiori rischi di contenzioso. Il dibattito politico e la libertà di espressione sarebbero fortemente limitati.

Ma molte persone si sono chieste giustamente se le aziende Internet facciano abbastanza per contrastare i contenuti dannosi e se la Sezione 230 le lasci effettivamente fuori dai guai. A Capitol Hill sono state introdotte almeno una mezza dozzina di progetti di legge per ridurre la portata della legge in vari modi.

A guidare questo dibattito è la sensazione diffusa che le principali piattaforme di social media – Facebook e la sua sussidiaria Instagram, Twitter, YouTube, di proprietà di Google – non gestiscano adeguatamente i contenuti che ospitano. A sostegno di questa ipotesi viene portata la diffusione di false informazioni su elezioni e covid-19, teorie del complotto come  QAnon, cyberbullismo, revenge porn e molto altro. 

Ci sono problemi reali per l’attuale formulazione della Sezione 230, ma ciò non significa che i legislatori debbano eliminare la legge. Il suo nucleo dovrebbe essere preservato, principalmente per proteggere piattaforme e siti Web più piccoli da azioni legali. Allo stesso tempo, la legge dovrebbe essere aggiornata per spingere le aziende Internet ad accettare una maggiore responsabilità per i contenuti dei loro siti. 

Inoltre, gli Stati Uniti hanno bisogno di un ente governativo specializzato, per esempio una Digital Regulatory Agency, per garantire che questa responsabilità sia soddisfatta. Ho avuto modo di sostenere queste posizioni in un recente rapporto per il  NYU Stern Center for Business and Human Rights.

Revocare o riformare?

Redatta nel periodo d’oro di Internet, la Sezione 230 ha definito un ambiente decisamente laissez-faire per il business online. A metà degli anni 1990, pochi prevedevano la schiacciante pervasività dei colossi dei social media odierni, o il volume e la varietà di materiale deleterio che avrebbero diffuso. 

Ciò non significa che tutte le critiche alla Sezione 230 abbiano lo stesso valore. L’ostilità del presidente Trump nei confronti della legge deriva dalla sua tesi secondo cui le piattaforme censurano le proposte conservatrici. In un ordine esecutivo che  ha firmato a fine maggio, ha preso di mira Twitter per aver aggiunto etichette di avvertimento ad alcuni dei suoi tweet. 

L’ordine richiedeva un intervento congiunto sulla Sezione 230, con il coinvolgimento dei dipartimenti del commercio e della giustizia, la Federal Communications Commission e la Federal Trade Commission. Ciò sembra violare la Costituzione, poiché il presidente cerca di punire Twitter per aver esercitato il diritto dell’azienda, stabilito dal Primo Emendamento, di commentare i suoi tweet. 

Nel frattempo, il senatore Josh Hawley, un repubblicano del Missouri, ha avanzato una proposta di legge  che incoraggerebbe le persone a citare in giudizio le piattaforme per aver preso decisioni sui contenuti in “malafede”, un invito evidente ai conservatori che ritengono di essere stati bersaglio di offese motivate politicamente. In realtà, secondo due analisi di  “The Economist” e una terza di un ricercatore del think thank conservatore  “American Enterprise Institute”, ci sono scarse prove di sistematici pregiudizi anti-destra da parte delle piattaforme di social media.

Altri scettici affermano che la Sezione 230 consente alle piattaforme di trarre profitto dall’hosting di disinformazione e incitamento all’odio. Questa è la posizione di Biden, secondo il quale la legge, fornendo uno scudo contro le controversie legali, crea un disincentivo per le aziende a rimuovere contenuti dannosi.

In una conversazione del dicembre 2019 con il comitato editoriale del “New York Times”, Biden ha risposto alle domande sulla Sezione 230 con irritazione nei confronti di Facebook per non aver verificato le falsificazioni della campagna di Trump nei suoi confronti. La legge “dovrebbe essere revocata perché [Facebook] non è solo un’azienda di Internet”, ha detto, “ma diffonde falsità sapendo che sono bugie”.

L’errore di Biden, tuttavia, è sollecitare la revoca della Sezione 230 per punire Facebook, quando ciò che sembra davvero desiderare è che l’azienda controlli la pubblicità politica. Non ha detto nulla pubblicamente nei mesi successivi indicando di aver cambiato questa posizione. Diverse proposte di riforma bipartisan più sfumate contengono ingredienti che vale la pena considerare. 

Un  disegno di legge co-sponsorizzato dai senatori John Thune, un repubblicano del Sud Dakota, e Brian Schatz, un democratico delle Hawaii, richiede alle aziende di Internet di spiegare le loro politiche di moderazione sui contenuti agli utenti e fornire statistiche trimestrali dettagliate su quali elementi sono stati rimossi, o classificati con bassi punteggi o demonetizzati.

Il disegno di legge modificherà la sezione 230 per dare alle piattaforme più grandi solo 24 ore per rimuovere i contenuti ritenuti illegali da un tribunale. Le piattaforme dovrebbero inoltre creare sistemi di reclamo che informino gli utenti entro 14 giorni dalla rimozione dei loro contenuti e prevedano ricorsi. 

Idee più interessanti provengono da esperti esterni al governo. Un rapporto del 2019  pubblicato da studiosi della Booth School of Business dell’Università di Chicago suggerisce di trasformare la Sezione 230 in un “vantaggio reciproco”. Le piattaforme avrebbero una scelta: adottare doveri aggiuntivi relativi alla moderazione dei contenuti o rinunciare ad alcune o tutte le protezioni offerte dalla Sezione 230.

Uno scambio vantaggioso

A mio avviso, i legislatori dovrebbero adottare l’approccio quid pro quo per la sezione 230 in quanto fornisce un principio organizzativo attuabile a cui potrebbe essere associato qualsiasi obbligo per la piattaforma. Il rapporto Booth fornisce esempi di “quid” che le piattaforme più grandi potrebbero offrire per ricevere il “quo” dell’immunità continua. 

In primo luogo, si potrebbe “richiedere alle piattaforme di garantire che i loro algoritmi non siano inclini ad accettare materiale estremo e inaffidabile per aumentare il coinvolgimento degli utenti”. In secondo luogo, le piattaforme dovrebbero divulgare i dati sui metodi di moderazione dei contenuti, le pratiche pubblicitarie e quali contenuti vengono promossi e a chi.

Una riorganizzazione della sezione 230 non è l’unico modo per migliorare la condotta delle piattaforme di social media. Varrebbe anche la pena creare un’agenzia federale specializzata dedicata all’obiettivo. La nuova Agenzia di regolamentazione digitale si concentrerà sul rendere le piattaforme più trasparenti e responsabili, e non si incentrerà sulla discussione di particolari contenuti. 

Per esempio, la revisione della Sezione 230 potrebbe prevedere che l’agenzia verifichi le piattaforme che affermano che i loro algoritmi non promuovono materiale sensazionale per aumentare il coinvolgimento degli utenti. Un’altra potenziale responsabilità per questo nuovo ente governativo potrebbe essere quella di sorvegliare la presenza costante di contenuti dannosi su varie piattaforme, una proposta che Facebook ha presentato all’inizio di quest’anno in un  libro bianco.

Facebook definisce “prevalenza” la frequenza con cui il materiale dannoso viene effettivamente visualizzato dagli utenti di una piattaforma. Il governo degli Stati Uniti stabilirà standard di prevalenza per piattaforme comparabili. Se la metrica di prevalenza di un’aziendasale al di sopra di una soglia preimpostata, Facebook suggerisce che l’azienda “potrebbe essere soggetta a maggiore supervisione, piani di miglioramento specifici o, in caso di fallimenti sistematici, multe”.

Facebook, che sta già stimando i livelli di prevalenza per alcune categorie di contenuti dannosi sul suo sito, ammette che la misurazione potrebbe essere manipolata. Ecco perché sarebbe importante per la nuova agenzia avere uno staff tecnicamente di alto livello e un accesso significativo ai dati aziendali.

La riforma della Sezione 230 e la creazione di un nuovo ente regolatore potrebbero dipendere, come tante altre cose, dall’esito delle elezioni di novembre. Ma indipendentemente da chi vince, queste e altre idee sono disponibili e potrebbero rivelarsi utili per spingere le piattaforme ad assumersi maggiori responsabilità per ciò che viene pubblicato e condiviso online. 

Paul M. Barrett è il vicedirettore del  NYU Stern Center for Business and Human Rights.

(rp)

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