L’Italia a caccia della vita su Marte

Exomars: un Rover europeo con tecnologia Eni sul Pianeta Rosso

di Luca Longo

Scoprire se esiste o se è mai esistita vita al di fuori del nostro Pianeta – e in particolare sul vicino Marte – rappresenta una delle più grandi sfide scientifiche contemporanee. Solo dopo aver risposto a questa domanda potremo chiederci dove ha avuto origine la vita, se siamo un caso unico nell’Universo, se possiamo colonizzare altri pianeti o incontrare civiltà aliene.

Per tentare di rispondere a questa prima domanda, l’Italia diventerà protagonista nell’esplorazione del Pianeta Rosso con la missione Exomars – organizzata dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e da quella Russa (RosCosmos).

La missione è divisa in due fasi: fra il 14 ed il 25 marzo 2016 decollerà dal cosmodromo di Baikonur in Kazakhstan un vettore russo Proton che in sette mesi di volo porterà in orbita marziana il satellite Trace Gas Orbiter (TGO). Quest’ultimo, per cinque anni campionerà l’atmosfera ricercando metano e altri gas atmosferici caratteristici della presenza di attività biologiche presenti o passate. A bordo del TGO si trova un modulo di discesa di 600 kg battezzato Schiaparelli in onore dell’astronomo Italiano pioniere nello studio scientifico del Pianeta Rosso. Schiaparelli abbandonerà l’Orbiter tre giorni prima del suo arrivo in orbita marziana e ne attraverserà l’atmosfera a 21000 km/h. Quindi inizierà una fase di aerofrenata seguita dall’apertura di un paracadute e, infine, dall’accensione di retrorazzi a combustibile liquido che lo porteranno ad una velocità di soli 5 km/h a circa 2 m dalla superficie. A questo punto i retrorazzi verranno spenti e Schiaparelli tenterà un atterraggio (ammartaggio?) morbido sul Pianeta assistito da uno speciale sistema di ammortizzatori collassabili. Questa fase ad alto rischio durerà in tutto 8 minuti e lo porterà a prendere contatto col suolo marziano in una regione conosciuta come Planum Meridiani.

Schiaparelli raccoglierà dati atmosferici nell’intera fase di penetrazione atmosferica e poi al suolo trasmettendoli a Terra grazie a TGO che fungerà da ponte radio. Grazie al riflettore di bordo, il Lander resterà bersaglio di future accurate misurazioni di telemetria laser. L’obiettivo principale di Schiaparelli, però, sarà la dimostrazione della validità delle originali tecnologie di atterraggio morbido messe a punto dall’ESA in preparazione di future missioni.

Ma Exomars entrerà nel vivo con la seconda parte della missione: nel 2018 un secondo razzo Proton porterà in nove mesi di volo un satellite ESA, a bordo del quale si troverà un modulo di discesa con piattaforma di superficie (Lander). Questo a sua volta calerà sul suolo marziano un Rover destinato ad esplorare il suolo a caccia di segni di vita.

Il Lander, fornito da RosCosmos, si sgancerà dal satellite ESA al di sopra dell’atmosfera ad un’altitudine di 120 km e la attraverserà protetto da uno scudo termico. Il sistema combinato di paracadute, retrorazzi e ammortizzatori già collaudato nella fase precedente permetterà un secondo atterraggio controllato sulla superficie di Marte.

Il punto esatto di atterraggio verrà scelto proprio questo 21 ottobre fra i quattro attuali candidati: Mawrth Vallis oppure Oxia Planum, dove si trova uno dei più ampi affioramenti di rocce marziane vecchie di 3.8 miliardi di anni e ricche di argilla prodotta della presenza di acqua liquida in passato, oppure Hypanis Vallis al centro di un antico delta al confine di una rete di valli fluviali, o infine Aram Dorsum, attraversato dall’omonimo canale e cosparso di antichi depositi alluvionali di rocce sedimentarie depositatesi con un processo analogo a quello che si osserva sul Nilo terrestre.

Dopo l’atterraggio, il Rover scenderà dal Lander e inizierà la sua missione scientifica nel sito che sarà stato individuato proprio sulla base delle probabilità di trovarvi materiale organico, o addirittura biologico, risalente all’antica storia del Pianeta. Il Rover analizzerà le proprietà chimico fisiche di campioni di Marte prelevati non dalla superficie ma dal sottosuolo. Infatti, la tenue atmosfera marziana offre pochissima protezione dalle reazioni fotochimiche innescate dalla radiazione solare; questo provoca una rapida ossidazione di eventuali prodotti organici complessi che si trovassero sulla superficie.

E soprattutto in questa fase originale e critica per il successo dell’intera missione che entra in gioco la tecnologia italiana, leader mondiale nelle trivellazioni estreme.

L’ESA, infatti, ha assegnato all’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e all’industria italiana la leadership principale di entrambe le missioni. Oltre alla responsabilità complessiva di sistema per tutti i componenti, è sempre italiana la responsabilità diretta dello sviluppo di Schiaparelli, il modulo di discesa di Exomars 2016, del centro di controllo Rover Operations Control Centre (ROCC) di Torino da cui il Rover verrà operato e, soprattutto, del sistema di scavo che perforerà il suolo marziano per il prelievo di campioni.

Per questo, l’ESA ha affidato a Eni il compito di realizzare il sistema robotizzato di perforazione a bordo del Rover. Tecnomare – società controllata al 100% da Eni – nell’affrontare questa nuova sfida si è basata sull’esperienza accumulata durante la realizzazione del perforatore che, a bordo della sonda Rosetta, ha campionato la superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko.

Ma a differenza di Rosetta, questo braccio meccanico sarà modulare perché dovrà arrivare fino a 2 metri di profondità. Sarà costituito da tre aste che verranno progressivamente montate sull’asta che termina con la punta di perforazione e campionamento. In caso di danneggiamento della prima punta, sarà possibile estrarre una per una le aste impiegate, sostituirla con una punta di scorta e calare nuovamente il sistema nel foro rimontando progressivamente le singole aste.

Tutto il robot dovrà entrare in operazione dopo un salto termico di 140 °C fra la temperatura dello spazio e quella sulla superficie e dopo aver subito l’accelerazione al lancio di 50 g. I test effettuati sulla Terra hanno simulato le condizioni di lavoro marziane, portando i meccanismi sotto stress per valutare i loro margini di operatività.

Il perforatore raccoglierà campioni della dimensione approssimativa di 3×1 cm che saranno trasferiti al Rover Payload Module per essere frammentati ed analizzati. Il sistema è anche dotato di uno spettrometro a infrarossi miniaturizzato (Ma-Miss) con il quale verranno osservate le pareti del terreno perforato per ricavarne i primi dati che verranno trasmessi all’Orbiter TGO perché questo li invii sulla Terra.

Essendo impossibile prevedere a priori la tipologia e la consistenza del terreno, il robot è progettato per compiere in sequenza protocollata una serie di operazioni che prevedono l’estrazione di almeno 17 campioni per 7 cicli di esperimenti e 2 perforazioni in profondità.

L’impegno di Eni nella ricerca, anche in ambiti tecnologicamente innovativi diversi dal settore petrolifero, le ha permesso di trasferire tecnologie sviluppate nell’attività oil & gas in aree di frontiera quali l’Oceano Artico, l’esplorazione degli abissi e – a bordo di Rosetta e di Exomars – lo spazio.

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