Pechino coglie l’attimo

Per il gigante asiatico il crollo delle quotazioni del petrolio è una potente leva di crescita economica interna e rafforza la cooperazione con la Russia. Ma a lungo termine servono strategie.

di Lifan Li (Fonte ABO/OIL)

Dal 28 gennaio 2015 il prezzo del Brent ha continuato a salire per un’intera settimana, passando da 48,46 dollari al barile a 57,28 dollari al barile il 3 febbraio. Le statistiche indicano che, fino al 31 gennaio 2015, gli Stati Uniti hanno chiuso 94 piattaforme estrattive, anticipando un calo della produzione petrolifera e innescando, di fatto, una rapida ripresa del prezzo del petrolio. Si può quindi presumere che saranno gli Stati Uniti a pagare il conto del crollo del prezzo del greggio.

La fluttuazione dei mercati e i trend futuri

Se consideriamo il greggio alla stregua di un investimento finanziario, è facile risalire alle cause della rovinosa caduta da 103 dollari al barile a metà 2014 ad appena 45 dollari all’inizio del 2015. In quanto prodotto finanziario, la fluttuazione del prezzo non si può spiegare con la legge della domanda e dell’offerta, né con i costi di produzione o la concorrenza di mercato. La causa principale sono le aspettative del mercato petrolifero. Dal 1970, il prezzo del petrolio è caduto rovinosamente, di almeno il 50%, per sei volte. Solo il crollo della metà degli anni Ottanta è paragonabile a quello attuale, generato dalle aspettative di un eccesso d’offerta sul lungo periodo. Nel 1985-1986, il prezzo del petrolio fece uno “scivolone” del 67% in soli 4 mesi. Se si ripeteranno le stesse dinamiche, il prezzo attuale è ben lontano dalla soglia minima, che era inferiore a 40 dollari al barile. La risalita a cui stiamo assistendo, quindi, è solo temporanea e il prezzo del petrolio si manterrà sottotono per molto tempo. Normalmente, la caduta del prezzo del petrolio ha ripercussioni sui mercati internazionali e sulle economie mondiali. Ne risentiranno per primi i Paesi produttori, come la Russia, il Venezuela, il Medio Oriente e l’Asia centrale. Essendo economie orientate all’esportazione delle risorse, la crescita interna di queste regioni è strettamente legata alle fluttuazioni del prezzo del petrolio. A fine 2014, la Banca centrale russa ha alzato il tasso di interesse dal 10,5% al 17% per contenere la svalutazione del rublo, l’inflazione e la fuoriuscita di capitali. Ma l’alto tasso di interesse aumenta la pressione sul sistema bancario e l’economia reale, portando a una recessione economica. Le economie avanzate – Stati Uniti ed Europa – saranno il secondo gruppo di Paesi a subire l’impatto. Il rischio di una recessione economica russa dovuta alle sanzioni di Stati Uniti e Ue sarà d’ostacolo alla ripresa del cosiddetto Primo mondo: il valore degli scambi tra Unione Europea e Russia ha sfiorato 300 miliardi di euro. La recessione economica in Russia comporterà quindi delle perdite per l’Europa, le cui attività commerciali subiranno una contrazione, contestualmente a un aumento del rischio di deflazione interna. Negli Stati Uniti, il perdurare del basso prezzo del petrolio si rifletterà anche sulla propensione agli investimenti in gas di scisto, petrolio di scisto e nei campi tradizionali, con contraccolpi sull’occupazione, dovuti ai licenziamenti nelle raffinerie petrolifere degli Stati centro-occidentali. L’onda d’urto, infine, colpirà i Paesi in via di sviluppo come Cina e India. A breve termine, il basso prezzo del petrolio in Cina stimolerà la crescita del Pil, eliderà l’inflazione e amplierà il raggio d’azione delle politiche finanziarie e monetarie. Ma, a lungo termine, la parabola discendente intaccherà gli interessi economici delle economie emergenti minando i commerci, il flusso di capitali internazionali e la fiducia economica. Le riforme energetiche strutturali troveranno meno spazio e i piani di risparmio e di riduzione delle emissioni in Cina e India subiranno una battuta d’arresto. Inoltre, diminuiranno gli utili oltreoceano delle grandi compagnie petrolifere cinesi e crescerà il passivo.

Cina-Russia: si rinsalda l’unione petrolifera

La caduta del prezzo del petrolio avvicinerà Cina e Russia, rafforzando l’intento di cooperazione sia nell’area upstream che downstream per facilitare le importazioni gas-petrolifere e aumentare le riserve strategiche. Nel dicembre del 2014, la Cina ha importato 3,72 milioni di tonnellate di greggio dalla Russia, con un incremento dell’86% rispetto al mese precedente, stando alle recenti dichiarazioni delle autorità doganali cinesi. Le importazioni dall’Arabia Saudita sono salite del 13% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, dopo due mesi al ribasso. Il regno saudita, primo fornitore di greggio della Cina, ha esportato 49,7 milioni di tonnellate in Cina nel 2014, mentre la Russia, con 33,1 milioni, è al terzo posto. Nel 2015, tuttavia, la Russia dovrebbe diventare – secondo le previsioni – il secondo fornitore di petrolio della Cina, esportando 45 milioni di tonnellate. L’unione petrolifera tra Cina e Russia sarà dunque ulteriormente rinsaldata. La Cina ha fatto una rara dichiarazione alla fine del 2014, affermando di aver centrato il primo obiettivo strategico per la costituzione delle proprie riserve petrolifere; e raggiungerà il secondo entro il 2020, con altri 170 milioni di barili. Se i prezzi scendono, si riducono anche i costi. Così, ad esempio, se la Cina importa greggio a 70 dollari al barile nel dicembre del 2014, risparmia il 30% rispetto al prezzo di giugno 2014, quando era a 103 dollari al barile. L’aumento delle importazioni cinesi di greggio non spinge in alto il prezzo internazionale del petrolio, che è influenzato dai dati statistici delle compagnie occidentali e da eventi come gli scioperi nel comparto petrolifero statunitense. La partecipazione cinese nelle aziende energetiche internazionali è relativamente piccola e, di conseguenza, il potere decisionale sui prezzi e la capacità di finanziarizzazione dei prodotti petroliferi sono deboli. La Cina dovrebbe quindi stimolare lo sviluppo e gli investimenti nei prodotti finanziari petroliferi. Trattare il petrolio come un investimento finanziario reciderebbe il legame tra la fluttuazione del rapporto domanda-offerta a breve termine e il prezzo del petrolio. Se aumentano le aspettative, il prezzo del petrolio sale; se le aspettative sono basse, il prezzo del petrolio scende.

In questo modo si possono risparmiare ingenti somme di valuta estera nell’importazione di greggio. In sintesi, il calo del prezzo del petrolio dà alla Cina delle carte da giocare nei negoziati con i Paesi produttori ed è una potente leva di crescita economica interna. Il governo è stato costretto a definire una serie di sistemi integrati. Indipendentemente dai negoziati sui prezzi delle importazioni petrolifere o dalla ripartizione degli interessi nazionali, il governo dovrebbe stabilire dei sistemi di partecipazione per i cittadini, per favorire i consumi e la crescita economica.

Quali risposte possibili per la Cina?

La ripresa del dollaro e il calo dei prezzi del petrolio e di altre materie prime sono un enorme vantaggio per i giganti della produzione come la Cina, che detengono immense riserve di valuta estera. L’analisi retrospettiva della relazione storica tra dollaro e prezzo del petrolio rivela però che questo vantaggio è solo temporaneo. Nell’ultimo decennio, la svalutazione del dollaro ha causato gravi perdite alle riserve cinesi di valuta estera. La Cina dovrebbe imparare dalla Russia e sapere che il prezzo del petrolio manterrà un basso profilo: il rialzo è solo a breve termine. La gestione del rischio energetico deve mirare a rafforzare il portafoglio di prodotti finanziari energetici e capire le fluttuazioni del mercato per ampliare le riserve energetiche. Per il prossimo futuro, si possono configurare le seguenti strategie:

– Consolidare l’unione petrolifera tra Cina e Russia, con la creazione di un forte “patto energetico” tra Cina, Russia, Iran e Asia centrale. La cooperazione sino-russa può prendere molte strade: fra queste, il mercato delle contrattazioni energetiche e la produzione upstream/downstream. Dopo le sanzioni alla Russia imposte dai Paesi occidentali, la quota di attrezzature e servizi delle aziende occidentali nel mercato russo si è drasticamente ridotta, aprendo nuove opportunità alle piccole e medie imprese cinesi, che andrebbero incoraggiate a scendere in campo.

– Mantenere la diversificazione del mix energetico e favorire lo sviluppo delle energie non convenzionali. La caduta del prezzo del petrolio impone un’enorme pressione sui tre giganti del settore (Cnpc, Sinopec e Snooc), che devono incrementare le performance. Gli enormi investimenti nelle attività esplorative oltreoceano non porteranno i frutti auspicati. Il prezzo basso incentiverà i consumi e il Paese potrà valutare un potenziamento delle misure gestionali, usando l’imposta sui consumi per finanziare lo sviluppo delle energie nuove e non convenzionali. La diffusione delle auto elettriche può essere un’ottima leva per la diversificazione energetica.

– La gestione del rischio del mercato deve essere ottimizzata. Con la contrattazione dei future del greggio nello Shanghai International Energy Trade Center, il ventaglio dei prodotti di gestione del rischio nel comparto delle bulk commodities si può dire completo. Tuttavia, a causa dell’insufficiente sviluppo del mercato della gestione del rischio in relazione agli investimenti finanziari, andrebbero aggiunti anche i future sui tassi di interesse e i future del mercato dei cambi, consolidando il mercato per i soggetti che devono far fronte ai rischi di copertura.

-Migliorare la formazione in materia di teorie e tecniche di copertura per evitare fraintendimenti nella gestione dei rischi di copertura. Le esperienze internazionali dimostrano che le grandi aziende sfruttano i vantaggi dei derivati nella gestione quotidiana dei rischi di business. Le misure di risk management come l’hedging sono fondamentali per mantenere un adeguato livello di competenze. Nel comparto dei future, sarà utile lanciare iniziative di formazione di ampio respiro per istruire in materia di copertura.

– Esplorare nuove aree di crescita economica per favorire lo sviluppo dell’industria petrolifera. Per le società petrolifere, si deve puntare su nuove aspettative di sviluppo delle aree di crescita sulla base delle risposte al calo del prezzo del petrolio – e non su iniziative ancorate a strategie immutabili. Le prospettive per il futuro del settore gas-petrolifero sono ottimistiche. Nei prossimi decenni, le energie convenzionali, compresi gas e petrolio, resteranno tra le prime voci del consumo energetico. Nel contesto della lotta all’inquinamento e del parallelo miglioramento della qualità e degli effetti economici, non ci sarà sovrapproduzione di gas e petrolio – il che è a vantaggio dell’energia pulita. Gli investimenti andranno quindi orientati in maniera tale da stimolare nuove aree di crescita. Per i settori senza un futuro adeguato né sovrapproduzione, la strategia va intrapresa con cautela, gestendo con attenzione la portata degli interventi.

Quest’articolo è disponibile su abo.net

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