La disinformazione corre tra i più anziani

Secondo uno studio della Harvard University, sui social media le persone anziane condividono con maggiore frequenza, rispetto ad altre fasce d’età, notizie false e collegamenti poco affidabili.

di Abby Holheiser

Una nuova ricerca di Nadia Brashier, del dipartimento di psicologia della Harvard University, afferma che ci sono due spiegazioni popolari sul perché le persone più anziane condividono molta disinformazione online, ma entrambe si basano sull’intuizione e sugli stereotipi invece che sui dati. Il primo motivo spesso indicato è il declino cognitivo: l’età rende gli utenti più anziani meno capaci di fare scelte informate rispetto agli utenti più giovani. 

Il secondo è la solitudine: gli utenti più anziani sono inclini a condividere disinformazione mentre tentano di stabilire connessioni con altre persone. Ma, secondo l’analisi di Brashier, pubblicata in “Current Directions in Psychological Science”, nessuno dei due spiega completamente cosa sta succedendo. 

Per esempio, mentre è vero che il ricordo può diminuire con l’età, la nostra capacità di elaborare e comprendere le informazioni rimane la stessa man mano che invecchiamo e la conoscenza generale migliora. “Diverse abilità cognitive in realtà diminuiscono a velocità diverse, e alcune non calano affatto”, afferma Brashier. “Il mantenimento di queste abilità aiuta a compensare le nuove carenze“. Inoltre, per quanto riguarda la solitudine, a suo parere, gli anziani non sono la fascia d’età che soffre di più la solitudine e non ci sono neanche prove che le persone sole condividano più storie false delle altre“. 

Il lavoro di Brashier svela la mancanza di prove a supporto delle assunzioni comunemente condivise del rapporto tra età e disinformazione e osserva quali altri fattori, dalle relazioni interpersonali all’alfabetizzazione digitale, sembrano giocare un ruolo determinante. Non esiste un’unica spiegazione del fenomeno e la sua analisi mostra che potrebbero essere necessari approcci diversi per capire cosa effettivamente succede. 

Un buon esempio è costituito dalle verifiche dei fatti. Le piattaforme di social-media si basano spesso su facts check e caselle informative per contestualizzare informazioni fuorvianti o false condivise online. Ma per il pubblico più anziano, questo sistema potrebbe avere un effetto opposto a quello previsto. “Vedere ripetutamente un’affermazione associata a un’etichetta” falsa” aumenta paradossalmente la convinzione delle persone più anziane che l’affermazione sia vera”, ella afferma. 

Ma ciò non significa che siano meno capaci di capire se qualcosa è vero o no. In uno studio citato da Brashier, i più anziani erano effettivamente più bravi a valutare la veridicità dei titoli in un contesto di indagine. Pertanto, gli attuali approcci di verifica dei fatti non sono necessariamente la strada migliore per rallentare la diffusione di informazioni errate.

Invece, se le piattaforme vogliono contenere realmente la disinformazione in questa fascia d’età, dovranno esaminare più da vicino le relazioni interpersonali e l’alfabetizzazione digitale, sostiene Brashier. Oltre ad avere meno familiarità con le piattaforme sociali rispetto alle generazioni più giovani, i più anziani tendono ad avere meno contatti al di là delle loro sfere sociali e tendono a fidarsi delle persone che conoscono di più. 

 (rp)

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