Sognando il Pc di Google

di Eric Hellweg

NEI GIORNI SCORSI, al Consumer Electronics Show di Las Vegas, si vociferava che Larry Page, cofondatore e presidente della divisione Prodotti di Google, fosse in procinto di annunciare pubblicamente il lancio di un Pc a basso costo collegabile in Rete e marchiato Google. Il dispositivo aveva già un soprannome: “Google Cube”. La notizia, messa in circolazione dallo studioso Robert X. Cringely, e successivamente ripresa dal Los Angeles Times, sottolineava l’innovatività dell’introduzione di un computer con sistema operativo non Microsoft e dotato solo del minimo indispensabile di applicazioni da desktop, che per la maggior parte delle sue attività avrebbe fatto affidamento su programmi e servizi disponibili in Internet. Funzionalità e applicazioni della nuova unità (word processing, fogli di calcolo elettronico, navigazione) sarebbero state gestite pressoché interamente online. Il gossip è stato però smentito dall’azienda, che attraverso il Wall Street Journal e altre fonti ha dichiarato di voler piuttosto prossimamente lanciare un servizio di download video e il “Google Pack”, un set di applicazioni multimediali.

Malgrado la delusione delle aspettative, comunque, molti continuano a credere che qualcosa di simile al “Google Cube” arriverà un giorno, che sia grazie a Google o a un’altra società. E nonostante il senso comune insegni che lanciare un Pc a basso costo, quasi a prezzo di fabbrica, sia un’impresa da folli, l’idea di un computer economico a base network ha una sua logica, a prescindere che si tratti di un prodotto Google o meno. La strategia che prevede la distribuzione di elaboratori a basso costo – se non addirittura gratis – come primo passo per attirare l’interesse dei consumatori su iniziative che in seguito punteranno a un profitto non è affatto una novità. E comunque finora non ha mai mietuto particolare successo. A metà anni Novanta il Net Pc di Larry Ellison è stato il primo tentativo ufficiale di rimettere le funzionalità dei dispositivi informatici al network ponendo fine all’era dei terminali a sé stanti. Successivamente, a fine anni Novanta, alcuni service provider Internet come Empire.net iniziarono a regalare Pc in cambio della sottoscrizione di abbonamenti di una certa durata. E nel 1999 Free-Pc, operazione lanciata dall’incubatrice del dotcom IdeaLab, dava computer gratis agli utenti che accettavano che sui margini del proprio monitor comparissero banner pubblicitari. Nessuna di queste iniziative è sopravvissuta allo scoppio della bolla dotcom. Intervistato nel 2002 da Wired, alla domanda su quale fosse stato il suo errore più madornale, Bill Gross, ex amministratore delegato di IdeaLab, non ha esitato a rispondere: “Il FreePc è stato una delle mie idee peggiori”. Ma all’apice della disillusione post-dotcom, Gross in quell’occasione mostrò comunque una certa preveggenza, predicendo che “sarebbe arrivato un momento in cui l’accesso alla Rete sarebbe stato vincolato da una qualche forma di supporto pubblicitario”.

Beh, quel momento potrebbe essere ora. I recenti progressi nel settore software, accompagnati dalla rinascita della pubblicità online e dall’adozione sempre più diffusa della banda larga, lo rendono possibile. Oggi la pubblicità più proficua, in puri termini di costo per migliaia (che è l’unità di riferimento con cui solitamente si calcola il costo di un singolo banner) è quella a margine dei videostreaming. Questa forma di pubblicità non era praticabile fino a fine anni Novanta, perché le connessioni a banda larga non raggiungevano abbastanza abitazioni. Oltretutto, fino a tre anni fa il mercato della pubblicità online stava ancora lottando per cercare di raggiungere i livelli di qualità che lo caratterizzavano prima dello scoppio della bolla. Il fattore più importante, però, resta il recente e rapidissimo perfezionamento dei software Web. Grazie a tali innovative applicazioni, un qualsiasi computer non Microsoft o non Mac può tranquillamente funzionare almeno in due modi.

Per dirne una, può fungere da “dispositivo network” puro, facendo totale affidamento su applicazioni Web senza ricorrere a un sistema operativo multifunzionale. Del resto oggi le alternative ai browser tradizionali, come Firefox, e le applicazioni Web come Writeboard (videoscrittura) e Basecamp (progettazione) dimostrano che un programma può funzionare altrettanto bene a prescindere che sia disponibile online o su desktop. In Rete si sta diffondendo tutta una nuova generazione di software, che si avvale di tecnologie come l’Ajax (Asynchronous Javascript e Xml) capaci di garantire alle applicazioni via Internet nuove funzionalità e prestazioni analoghe a quelle dei programmi da desktop. Gmail di Google, in questo senso, è un esempio emblematico di tale trend. Si tratta di un programma di posta elettronico gestito via Web, solo che al contrario di Hotmail, che impone di aggiornare la pagina ogni volta che si chiude un messaggio o si vuole rispondere, grazie alla tecnologia Ajax consente di veder comparire le nuove mail in automatico, come se si stesse utilizzando un client da desktop.

Oppure, come seconda opzione, si potrebbe utilizzare un sistema operativo alternativo, per esempio una versione desktop Linux, e farci girare sopra applicazioni non Microsoft come lo Star Office di Sun Microsystem, equivalente dell’Office di Microsoft. Anche questa è una possibilità divenuta molto più reale da un paio d’anni a questa parte. Ciò non significa negare il fatto che Microsoft detenga ancora il monopolio dei pacchetti di software da ufficio, né che il suo browser, Internet Explorer, non sia il leader nel settore della navigazione in Rete. La sfida più grande per i prodotti alternativi che si avventurano sul mercato – spiega Kevin Carmony, amministratore delegato di Linspire, azienda collegata a Linux – è la “domanda”. “Dopo vent’anni di egemonia Microsoft è molto difficile far prendere coscienza ai consumatori che esiste un’alternativa. Hanno subito una specie di lavaggio del cervello, sono convinti che ci sia una sola scelta possibile”. Prendete Google. Se c’è un’azienda di manica larga e con una fama tale da poter sperare di cambiare le abitudini informatiche del pubblico, è quella. Google è una gallina dalle uova d’oro che fa gola a ingegneri, investitori, utenti medi. Ma la storia insegna: un allineamento di fattori così favorevole non durerà per sempre. Quindi per ora niente annuncio del Google Cube, ma attenzione a non far sfumare il proprio momento magico per reinventare il P

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