Segnalare i messaggi d’odio aiuta a sconfiggerli

Chattanooga, nel Tennessee, ha il record negativo per incidenti a sfondo razziale e sta cercando di intervenire sul problema con la diffusione di moduli online per monitorare i discorsi che invitano all’odio.

di Charlotte Jee

Quasi 180.000 persone vivono a Chattanooga, la quarta città più grande del Tennessee. Famosa per i suoi paesaggi e lo stile di vita all’aria aperta, la città si trova sulle rive del fiume Tennessee, ai piedi dei Monti Appalachi. Nel 2010 è stata la prima città degli Stati Uniti a lanciare Internet gigabit. Il “New York Times” l’ha definita “la gemma sconosciuta del Tennessee”.

Il 26 luglio 2015, Chattanooga è diventata tristemente famosa. Muhammad Youssef Abdulazeez ha fatto esplodere la sua follia omicida, sparando a sette persone in due strutture militari statunitensi. Quattro di loro, tutti marines, sono morti sul posto. L’FBI ha stabilito in seguito che il terrorista di 24 anni si era “auto-radicalizzato” seguendo la propaganda di Al Qaeda online.

Chattanooga ha una piccola comunità musulmana molto unita al suo interno. Sulla scia dell’attacco sono comparsi online commenti rabbiosi e razzisti. Diversi politici, tra cui Donald Trump, allora candidato alla presidenza repubblicana, hanno “sfruttato” il tragico evento a fini elettorali. I residenti musulmani della città temevano attacchi di vendetta.

Da allora la situazione è peggiorata. Secondo l’FBI, i crimini d’odio aumentano a livello nazionale e il Tennessee è al nono posto tra tutti gli stati americani per il numero complessivo di tali reati. Nel 2017, Chattanooga ha registrato più incidenti a sfondo religioso di qualsiasi altra città del Tennessee.

Il mese scorso la città ha lanciato un’iniziativa per affrontare il problema facendo in modo che i residenti segnalassero la presenza di discorsi di odio online. È la prima città degli Stati Uniti a registrare informazioni di questo tipo. La speranza è che questo sia un passo importante nel rendere la città un posto più tollerante in cui vivere.

Come funziona il nuovo sistema

L’amministrazione comunale di Chattanooga ha pubblicato un modulo online, di semplice compilazione, che i cittadini possono riempire se vedono o vengono a conoscenza di discorsi di odio, sia di persona sia online. Si deve solo spiegare che termini sono stati usati, chi riguardavano e in quale lingua sono stati espressi. Il modulo è anonimo nel senso che non vengono raccolte informazioni sulla persona che lo compila.

Tutti i dati arrivano istantaneamente a Hatebase, un’azienda con sede a Toronto che collabora strettamente con Sentinel Project, un’organizzazione canadese senza scopo di lucro. Hatebase ha creato il più grande database al mondo di parole d’odio in oltre 200 paesi. Al suo interno sono presenti insulti razzisti, termini omofobi, frasi sessiste e altre forme di discorsi sprezzanti rivolti a un determinato gruppo. La ricerca è finanziata dal lavoro dell’azienda con clienti commerciali, ma è gratuita per qualsiasi ente governativo locale che vuole utilizzare il servizio.

Una volta che Hatebase ha raccolto i dati, questi vengono automaticamente ordinati e annotati. Queste annotazioni possono spiegare, per esempio, i molteplici significati dei termini usati o il loro livello di offensività. I dati risultanti possono anche essere visualizzati in una dashboard per facilitare la conoscenza del problema da parte dei funzionari della città.

A caccia di segnali premonitori

Una volta raccolti abbastanza dati, la città utilizzerà il sistema di Hatebase per verificare la presenza di schemi ripetuti tra le parole usate contro determinati gruppi. Spesso, la violenza contro un determinato gruppo è preceduta da un aumento del linguaggio offensivo usato contro quel gruppo. Project Sentinel ha già utilizzato con successo questo tipo di monitoraggio linguistico come sistema di allarme per prevenire conflitti etnici armati in Kenya, Uganda, Birmania e Iraq.

Il contesto di Chattanooga è diverso, ma l’obiettivo è lo stesso: monitorare i discorsi d’odio e stroncarli sul nascere prima che si trasformino in comportamenti violenti. Avere tutti questi dati in un unico posto consente alla città di identificare istantaneamente specifiche aree di tensione tra le comunità, registrando un eventuale incremento della frequenza e il luogo di origine dei discorsi.

La partnership di Chattanooga con Hatebase ha anche lo scopo di affrontare un problema persistente per la città: la scarsa e incoerente segnalazione dei discorsi di incitamento all’odio alle forze dell’ordine, che ha reso difficile individuare i responsabili.

Hayes spera che la rapidità e l’anonimato del nuovo sistema permetterà a chi è diffidente nei confronti della polizia di riferire il tipo di insulti diffusi nei punti caldi della città e fornire anche un indicatore precoce delle possibili violenze.

I funzionari di Chattanooga intendono utilizzare i dati per intraprendere delle iniziative politiche. Per esempio, potrebbero aumentare le misure di sicurezza nelle moschee o nelle chiese locali, istituire programmi per riunire gruppi o aprire centri comunitari, afferma Hayes: “Si tratta di ridurre l’isolamento e sviluppare legami sociali più forti tra le comunità”.

I singoli episodi di discorsi d’odio possono sembrare poca cosa, ma è alta la probabilità che si trasformino in un problema molto più grande, dice Neil Johnson, un professore di fisica della George Washington University che studia i modelli sottostanti ai discorsi d’odio.

“Questa iniziativa è fantastica”, egli afferma. “È basata sui dati, il che è fondamentale, e non solo sugli aneddoti. Ma ci si deve concentrare sul passaggio dall’individuo al gruppo organizzato. Inoltre, non ci si deve limitare a registrare questi discorsi, ma è necessario contrastarli”.

Il piano presenta degli svantaggi. Non include alcun monitoraggio proattivo dei post sui social media pubblici, il che sarebbe per alcuni aspetti discutibile, ma utile per chiunque cerchi di tenere sotto controllo l’odio razziale e le sue conseguenze nel mondo reale. Spetta ai cittadini locali riferire se vedono o sentono discorsi di odio. “È utile solo se i cittadini si impegnano in prima persona”, ammette Hayes.

Purtroppo, secondo Timothy Quinn, co-fondatore di Hatebase, la stragrande maggioranza delle città non controlla affatto i discorsi d’odio. Al momento, se si vogliono individuare politiche per superare le divisioni tra le comunità, tutto ciò che si può fare è tirare a indovinare.

(rp)

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