Smart Cities: la rivoluzione soft delle città intelligenti

Le città costituiscono i nodi della civiltà umana, gli agglomerati che gli esseri umani hanno costruito per rendere abitabile il pianeta, nel contempo soggetti di cultura e oggetti di natura, dove s’intrecciano il software e l’hardware della vita associata.

di Bruno Giorgini

Se pensiamo la civiltà umana e le dinamiche della civilizzazione come una rete cognitiva che si estende sulla Terra, una sorta di sistema nervoso planetario, le città assumono il ruolo di macroneuroni. Macroneuroni, perché a sua volta ogni città è un sistema complesso di flussi (cittadini, popolazioni, merci, denaro ecc..), d’informazioni e comunicazioni, di forme e di reti. è quindi del tutto naturale che in una situazione di crisi non solo economica, ma anche sociale, culturale, politica, del rapporto uomo-natura, le città diventino protagoniste di un possibile salto in avanti, che sia insieme risposta alla crisi e creazione/costruzione di un nuovo modello urbano, la città intelligente (e sostenibile), in gergo smart city, coniugata con, e resa possibile da, le nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione.

Attorno a questo nocciolo stanno lavorando in sinergia i ricercatori di molte università e centri scientifici europei all’interno di un progetto denominato FuturICT. Per l’Italia il gruppo fondatore vede in campo il CNR, l’ISI (Institute for Scientific Interchange Foundation), il Politecnico di Torino, l’Università di Genova, la Sapienza di Roma. Ai soci fondatori si sono aggiunti i soci sostenitori, circa altre quindici università, tra cui quelle di Bologna, Pisa, Palermo, il Politecnico di Milano ecc., nonchè tra le istituzioni politiche la Regione Toscana. Recentemente (ottobre 2012) in questo ambito è stato pubblicato on line (www.bartlett.ucl.ac.uk/casa/latest/publications), un documento di lavoro, Smart Cities of the Future, a firma di otto ricercatori guidati da M. Batty (UCL, London), tra cui gli italiani A. Bazzani (Unibo) e F. Giannotti (Unipi), che definisce il programma e gli obiettivi di ricerca, con alcune forti implicazioni sociali.

Per Smart City dobbiamo intendere una città in cui la ICT (Information and Communications Technology) è immersa, fusa con le infrastrutture tradizionali, mentre il tutto è coordinato e integrato usando le tecnologie digitali in funzione di una maggiore efficienza e, assai importante, una maggiore equità. Ma non si tratta semplicemente di strutturare una costellazione di strumenti su diverse scale, connessi attraverso una molteplicità di reti decisionali in grado di accumulare e analizzare in tempo reale dati sui flussi di cittadini, informazioni, merci, denaro, energia e quant’altro. Tutto ciò deve essere funzionale allo scopo d’incrementare insieme non solo efficienza ed equità, ma anche sostenibilità e qualità della vita. Soltanto così la città sarà “intelligente”.

Una intelligenza pluridimensionale e integrata

Bisogna lavorare alla progettazione e costruzione di un ambiente urbano sensibile alle mutazioni, capace di prevedere le crisi e di adattarsi alle nuove condizioni, anche le più difficili. Jared Diamond, in un libro dove racconta il collasso di alcune società (Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere, Einaudi, 2005), a un certo punto scrive che il fallimento di una società in genere avviene perchè “il gruppo non riesce a prevedere il sopraggiungere di un problema; non si accorge che il problema esiste; se ne accorge, ma non prova a risolverlo; cerca di risolverlo, ma non ci riesce”. Le smart cities dovrebbero mostrarsi sensibili ai problemi emergenti, provando a risolverli anche nei casi più difficili e complessi.

L’intelligenza di questa nuova città non sarà la somma lineare di tutte le intelligenze tecnologiche e umane presenti, ma qualcosa di più, un po’ come accade nel nostro cervello, la cui attività non è la somma della dinamica elettrochimica e fisica dei singoli neuroni, bensì produce quel che in genere chiamiamo la “mente”, con le sue facoltà di sintesi e di analisi, nonchè di comprensione e creazione. Non a caso in FuturICT è previsto un complesso sistema di acquisizione e analisi di dati, denominato “acceleratore della conoscenza”. Una conoscenza intrinsicamente pluri, inter e transdisciplinare, dove confluiscano tutte le scienze della città, dalla fisica alla computer science, dalla sociologia all’economia, dalla psicologia all’ingegneria, dall’ecologia alla matematica, dall’elettronica all’architettura, dal design all’urbanistica. Inoltre questo processo generatore di intelligenza implica una modificazione profonda delle forme di organizzazione sociale urbana e quindi va commisurato con una accurata governance dei processi che si mettono in moto.

Come si vede da questa premessa siamo di fronte a un programma molto ambizioso con un sguardo lungo sul futuro. Un programma destinato a non rimanere nel chiuso dell’Accademia, sia pure la migliore, ma che dall’inizio vuole e cerca partner nella società civile e politica, nonchè economica. L’intenzione è, per ogni passo programmato, di trovare intraprese che osino tentare l’innovazione e l’invenzione di nuovi prodotti funzionali alla costruzione di città intelligenti, coerenti con le attività che Smart City metterà in essere.

Se percorriamo in breve il progetto, la prima questione importante è l’esplorazione del concetto di città come laboratorio per l’innovazione, connessa a quella che negli Stati Uniti viene chiamata Citizens Science, la scienza dei cittadini. Scrivono gli autori di Smart Cities of the Future: “Nella nostra visione partecipazione e autorganizzazione sono le pietre miliari per costruire una sorgente di conoscenza globale che rappresenti un bene pubblico, accessibile a ogni cittadino, istituzione o business. Da una parte le persone devono essere completamente coscienti del tipo di infrastruttura della conoscenza pubblica che esse stanno contribuendo a costruire, e dei potenziali benefici che potranno trarne. Dall’altra le persone devono avere il pieno controllo dei loro contributi in termini di dati e profili: quanti dati sono stati acquisiti, trattati, analizzati e usati, quando e per quanto tempo”.

Soltanto una larga partecipazione democratica può assicurare la creazione di informazione fruibile, tempestiva e attendibile sui fenomeni collettivi In estrema sintesi a questo livello si tratta di misurare quanto gli individui e i gruppi consumano in energia, usano l’informazione, interagiscono con il denaro e le merci, nonchè con l’ambiente e tra loro. A questo proposito nella miriade di sensori e rivelatori che popolano ormai le nostre città, consideriamo i telefoni mobili. Si tratta di una tecnologia dell’informazione e comunicazione individuale che permette di tracciare i percorsi del singolo, almeno nel limite delle celle di trasmissione, e di valutare la quantità di connessioni con altri individui, accoppiando la rete di mobilità di ciascuno con la rete delle sue relazioni sociali. Questo intreccio può creare una nuova conoscenza che leghi la mobilità, per definizione osservabile e misurabile, alle dinamiche sociali che, in linea di principio, sono invece non osservabili.

Conoscenza, consapevolezza, controllo

Ciò testimonia come lo sviluppo delle tecnologie ICT sia un fatto di rilevanza sociale ad almeno due livelli: una conoscenza sempre più precisa dei fenomeni sociali e le dinamiche via via più complesse generate dalla crescita delle tecnologie, nel senso della diffusione, dell’uso e delle prestazioni. Insomma l’implementazione di ICT nel tessuto urbano aumenta la complessità del sistema, che a sua volta per essere governata richiede sviluppi tecnologici più performanti, nonchè azioni di governance più intelligenti e consapevolmente partecipate, in un circuito virtuoso che vorrebbe/dovrebbe essere la dinamica soggiacente di Smart City.

Non solo, ma l’informazione che ciascuno può ricevere sul suo telefono mobile dalla rete, e/o da altri singoli in contatto con lui, e/o dai social network, lo rende più autonomo e capace di azioni e scelte individuali per quanto attiene la fruizione e l’uso della città, dei suoi servizi, dei suoi sistemi di mobilità, e cognitivi. Insomma il singolo cittadino, in connessione con le infrastrutture ICT di Smart City, potrà decidere con cognizione di causa tra le diverse opzioni che si presentano, per la mobilità, per il consumo energetico, per visitare un museo, per scegliere un ospedale o una scuola.

Va aggiunto che, quando si dice Smart City, non si deve pensare a città nuove o nuovissime, di recente edificazione. Anche le città storiche e/o città d’arte possono e debbono essere coinvolte. Basti pensare a Venezia ogni giorno alle prese con flussi turistici in aumento, che possono produrre dinamiche di folla del tutto ingovernabili, entrando in rotta di collisione con i bisogni e i desideri degli abitanti e a volte con le bellezze della città. Inoltre Venezia deve vedersela con il problema della acque, accentuato dal cambiamento climatico globale ormai in atto. Smart City significa mettere mano a questi problemi (turismo e acque alte) con criteri, ricerche, tecnologie in grado di comprendere e trasformare la situazione, prima di tutto cercando una razionalità condivisa con la più ampia partecipazione dei cittadini, una intelligenza comune e collettiva, da iniettare nella città. Non a caso, il programma Smart Cities Futur ICT si articola in aree tematiche come la costruzione di database integrati, le reti di sensori e l’impatto dei nuovi social media, la modellazione delle reti di mobilità e dei comportamenti di viaggio, l’uso del suolo urbano, le interazioni economiche e il trasporto, le attività lavorative e il mercato delle abitazioni, le strutture di supporto alle decisioni e, last but not least, la governance partecipativa e la pianificazione di strutture per Smart City.

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