Politica: comunicazione vs relazione

Come superare la crisi di relazione tra partiti e società

di Mario Morcellini 

La politica italiana è stata altezzosamente grande, capace di scuotere la vita e il cuore di centinaia di migliaia di persone: ne deriva che, se oggi non ha più «presa» nella testa e nel cuore degli individui, devono essere avvenuti molti più cambiamenti di quelli che sono stati raccontati. Tra le variabili che è necessario chiamare in causa nel processo di riqualificazione della politica moderna, la comunicazione ha certamente un ruolo rilevante, sia sul piano storico sia su quello di una più avanzata lettura dei rapporti tra politica e comunicazione che è venuto il momento di avanzare: l’iperstimolazione e la sovraesposizione comunicativa della politica hanno finito per danneggiare una chiara percezione del valore intersoggettivo della politica stessa. La spalmatura di comunicazione sulla politica non ne ha fatto intravedere un’idea convincentemente nuova. Paradossalmente, ha reso più acuta quella crisi di relazione dei partiti che accompagna la modernità e che appare di consultazione in consultazione sempre più evidente: i numeri dell’astensionismo sono l’unico valore in costante crescita, in modo particolare all’interno dell’area di centrosinistra e presso i giovani. Si tratta di un problema di rappresentazione del valore della politica, da un lato, e dell’azione dei partiti, dall’altro. è possibile aderire all’ipotesi, un po’ consolatoria, per cui il centrosinistra è più debole nella comunicazione che nella società, ma la difficoltà a chiarire la propria offerta politica e la tentazione di intravedere nel «nuovo» e nelle tecnologie della comunicazione un salvacondotto per «rimettersi in sintonia» con i giovani riguarda tutte le forze in campo. Soprattutto quelle che si presentano come nuove.

La partita della comunicazione è sempre stata teoricamente generosa, giocata nei termini di aumento di trasparenza dei meccanismi democratici, di empowerment delle capacità e competenze da parte dei cittadini. Ma è difficile sottrarsi alla conclusione che questo processo è avvenuto solo secondariamente. Anche quanti si sono trovati sul finire degli anni 1980 a guardare con estremo ottimismo alla moltiplicazione delle chances comunicative dei soggetti, postulando che quel trend fosse destinato a tradursi inevitabilmente in aumento delle competenze comunicative e quindi anche di quelle politiche dei cittadini-spettatori, hanno dovuto ricredersi di fronte alle conseguenze impreviste di quell’aumento del volume di comunicazione. La trasformazione del mercato dei media sembra aver privilegiato le dimensioni del consumo rispetto alla funzione di formazione delle competenze sociali e politiche dei soggetti. L’eccesso di contenuti porta con sé una congerie complessa e confusa di stimoli, un’alluvione di input comunicativi che si traduce, da un lato, nella perdita di qualità della comunicazione politica e, dall’altro, nell’apatia informativa e partecipativa dei soggetti.

Sulla Rete qualcosa di diverso si intravede: è difficile non accorgersi che la figura di comunicazione che attiva la Rete è a matrice individuale, che può modificare drasticamente il campo delle relazioni partiti-media-cittadini, anche in senso positivo. Può aumentare una capacità di presa e di formazione della volontà che oggi i canali della comunicazione politica sembrano non alimentare, o addirittura occludere. Non bisogna però studiare il rapporto tra Rete e comunicazione solo con l’idea che lì cambi tutto: il transito dai «vecchi» ai «nuovi» media è sempre più elaborato di quanto appaia, e mentre si è in mezzo al guado è necessario concentrarsi sulle tecnologie e le forme culturali che ancora tendenzialmente parlano all’universalismo del pubblico.

L’uscita dalla crisi di relazione dei partiti, allora, passa per una riduzione della distanza tra il discorso della politica e quello dei media: occorre riavvicinare il linguaggio della politica all’espressività della partecipazione, o si parlerà solo alle minoranze; e questo è un ulteriore paradosso, perché la politica ha coraggiosamente parlato alla maggioranza perfino nell’età della penuria informativa. Bisogna formulare un ragionamento più chiaro e più forte su quanto la comunicazione è stata supplente di processi di educazione politica, di socializzazione e di cultura: solo da un’analisi di questi deficit può nascere una diversa capacità di mettere la politica al centro della vita degli uomini. Soprattutto, un soggetto che intenda presentarsi in modo innovativo all’opinione pubblica nella società della comunicazione deve dimostrare una diversa attenzione a una serie di fattori.

Anzitutto, deve puntare a definire, anche con fatica, anche attraverso un percorso lungo e apparentemente tortuoso, fatto di prove ed errori, un’identità netta e riconoscibile, un pacchetto di valori, che renda possibile uno smarcamento rispetto agli altri soggetti presenti sul bancone dell’offerta politica.

In secondo luogo, deve essere in grado di presentare tale costruzione identitaria, ponendo una particolare attenzione alla comunicazione e alle tecnologie. Muovere insieme i due elementi appena menzionati è una sfida di notevoli proporzioni, ma la politica italiana non può non riconoscere la necessità di cimentarsi in un progetto così ambizioso. Si tratta di riformulare la stessa forma partito, che nelle sue declinazioni apparentemente più vincenti nasconde i segni di un inesorabile decadimento. I soggetti politici collettivi, che si caratterizzano per un forte e costante investimento nelle leve più tradizionali del marketing, ottengono risultati lusinghieri nel periodo di iperstimolazione comunicativa in corrispondenza della campagna elettorale, e nell’apice dell’effervescenza che coincide con il momento del voto, ma entrano in difficoltà nel momento in cui sono costretti a misurarsi con la manutenzione dei successi ottenuti. I «partiti di plastica» vincono, ma non riescono a costruire cultura politica e a sottrarsi a periodici e laceranti momenti di crisi interna, che più o meno prontamente rientrano, ma i cui annunci non fanno bene né alla politica tout court né all’immagine del partito. Le formazioni che possono invece vantare una solida penetrazione territoriale, come la Lega, sembrano mancare della capacità di padroneggiare fino in fondo tanto le «classiche» tecnologie della videosfera, quanto le più innovative possibilità offerte dal cyberspazio. La sfida, allora, si pone nei termini della costruzione di un’identità forte che al tempo stesso risulti veicolabile o almeno non estranea ai media e alle tecnologie.

In terzo luogo, è necessario riuscire a identificare le caratteristiche di un nuovo modello di partecipazione, che riesca a sopperire al progressivo e apparentemente inarrestabile distacco tra i cittadini e la politica attraverso l’investimento su tre pilastri fortemente innovativi nella semplicità della loro formulazione: la possibilità di elaborazione critica e partecipazione «dal basso» a un progetto che sia percepito come autenticamente condiviso, lontano quindi tanto dalle dichiarazioni spot quanto dalla formulazione di programmi elettorali che risultino essere in buona parte «contratti prematrimoniali» tra i soggetti politici contraenti, ma in grado di liberarsi degli eccessi di retorica del passato, e di giocare su poche parole-chiave riconoscibili e condivisibili; la possibilità di verificare periodicamente che le posizioni richieste siano considerate nel programma e nella linea politica, attraverso l’introduzione di reali meccanismi di «verifica intermedia» che consentano di andare oltre la «delega in bianco» concessa ai soggetti politici in occasione della scadenza elettorale; la ricerca, l’annuncio e la difesa del lavoro di un gruppo di sostegno composto di intellettuali e giovani, una specie di consulta, un pensatoio aperto a tutti, una fondazione, ma non nel senso canonico, un organismo che sostenga la politica senza pretendere di sostituirla.

Per uscire dal cortocircuito che si è creato tra politica e comunicazione, occorre concentrarsi sul format dell’offerta, non sulle caratteristiche della domanda; abbandonare l’ottica del marketing tradizionale, per cui sulla base della propria identità il soggetto imposta un’offerta con la quale deve persuadere i destinatari; perseguire un modello che coinvolga i soggetti nella fase di formazione dell’offerta, non solo in quanto rappresentanti di una domanda.

Fare della raccolta d’idee il baricentro comunicativo, strategico, emotivo della politica sarebbe la svolta comunicativa. Diventare domanda.

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