Come si accende il fuoco dell’invenzione

Una delle idee più originali del mondo imprenditoriale del XXI secolo potrebbe essere la creazione di un nuovo modo di inventare: individualistico, globale e svincolato dagli obiettivi delle grandi aziende.

di EVAN I. SCHWARTZ

A Nathan P. Myhrvold non interessa fare concorrenza a Microsoft. Il suo scopo è mettere completamente in discussione il metodo che l’azienda – da lui abbandonata quattro anni orsono – mette in pratica quando si tratta di innovare.A quarantaquattro anni il fondatore di Microsoft Research ed ex responsabile delle tecnologie sviluppate dal colosso di Seattle sostiene che tutte le grandi aziende, anche le più solide finanziariamente, non hanno le giuste motivazioni per investire ingenti somme di denaro in progetti che non riguardino le proprie linee di prodotto. Le grandi aziende, in altre parole, tendono a scoraggiare l’invenzione, lo sforzo, spesso rivoluzionario, di isolare nuovi problemi ed escogitare soluzioni del tutto inattese. «Nei laboratori aziendali le invenzioni sono un effetto collaterale, non un obiettivo primario», afferma Myhrvold. «Quasi tutte le grandi organizzazioni hanno una propria missione e spesso le invenzioni ti portano verso altre direzioni. Quando la missione si scontra con l’invenzione, vince la prima, in quasi tutti i casi». Anche le imprese più piccole, come le startup della Silicon Valley, non sono per nulla inclini a perseguire l’invenzione fuori dal proprio mercato di riferimento.

Eppure, ritiene Myhrvold, proprio questo tipo di riluttanza ha aperto un mondo di opportunità. «è impossibile battere Microsoft sul piano della programmazione, la si può battere su quello dell’invenzione».

E questo è esattamente quello che Myhrvold, insieme con l’ex responsabile delle architetture software di Microsoft Edward Jung, hanno deciso di fare con Invention Science di Bellevue, nello stato di Washington, un incubatore di idee il cui personale ha la piena libertà di rimescolare e «transfertilizzare» ogni contributo dai campi delle tecnologie dell’informazione, delle biotecnologie e delle nanotecnologie, le tre aree che Myhrvold vede convergere sempre più verso un futuro di nuove, potentissime tecnologie. Negli ultimi mesi, senza fare troppo rumore, l’organizzazione ha assunto una ventina di inventori, oltre ad alcuni avvocati specializzati in brevetti e licenze che li dovranno aiutare a portare sul mercato le loro idee. è il punto d’arrivo di un lungo biennio di viaggi, studi e progetti effettuati da Myhrvold e Jung dopo la costituzione della prima società di ricerche aperta, sempre a Bellevue, nell’anno 2000 e battezzata Intellectual Ventures. Oggi questa società funge da casa madre di Invention Science.

La nuova iniziativa, spiega Myhrvold, ha come unica missione quella di inventare ciò che gli inventori ritengono debba – e possa – essere inventato. «L’invenzione è l’ingrediente segreto», afferma Myhrvold. «Il suo valore intrinseco è il più elevato tra tutte le attività di un’azienda. Ma proprio perché è così rischiosa su di essa si concentrano meno sforzi». Dimostrare ciò che può succedere quando il livello di impegno cresce è la ragione per cui Myhrvold ha creato il suo laboratorio, finanziato in parte con le fortune accumulate lavorando per Microsoft.

Myhrvold non è il solo a percepire il valore della collaborazione interdisciplinare che ha l’invenzione come scopo principale. Sono anzi sempre più numerose negli ultimi anni le iniziative dedicate esclusivamente a perseguire l’invenzione di nuovi prodotti. Basti citare nomi come Walker Digital, sviluppatore di sistemi industriali di Stamford, in Connecticut, e Invent Resources, piccola società di consulenze di Lexington, in Massachusetts, il cui slogan è Invention on Demand (si veda Società fondate da inventori indipendenti a pag. 26) E il concetto si allarga anche al mondo delle grandi imprese: in aziende specializzate in ricerca come Generics Group, un serbatoio di cervelli di Cambridge, in Gran Bretagna, gli ingegneri percepiscono uno stipendio per trascorrere parte del loro tempo su progetti personali, del tutto slegati da ciò che i clienti – almeno per ora – stanno portando avanti. Anche aziende giovani come Google, di Mountain View in California, si muovono in questa direzione: il più importante motore di ricerca su Internet incoraggia i suoi dipendenti a dedicare un quinto del loro tempo allo sviluppo delle loro più esotiche idee personali. La convinzione è che le menti più creative si alimentino della libertà di perseguire le problematiche di proprio interesse. «Ai nostri dipendenti verrebbero comunque in mente nuove idee», afferma il co-fondatore di Google, Sergey Brin. «Noi ci limitiamo ad assicurare loro il tempo per sperimentarle».

La libertà di inseguire le invenzioni per il semplice gusto di farlo è il marchio di fabbrica della situazione attuale. è stato detto che gli istanti in cui si inventa qualcosa non differiscono di molto dal resto della fase di ricerca e sviluppo. Che si tratta semplicemente di «applicare ai giusti spazi di problematicità la normale capacità di risoluzione dei problemi», sostiene David N. Perkins, capo ricercatore nell’ambito del Progetto Zero della Harvard University, una iniziativa che sull’arco di 35 anni si propone di capire i meccanismi della creatività umana. Ma un esame più approfondito dei processi alla base dell’invenzione rivela che alcuni problemi sono talmente complessi da sembrare «irragionevoli» nelle normali fasi delle attività di R&S, o peggio ancora da non apparire del tutto. Gli inventori più bravi «sono in grado di riconoscere le opportunità latenti, quei problemi che la gente normale non sa neppure di avere», osserva Perkins.

Nessuno meglio di Myhrvold interpreta questa forma mentis. Percorrendo i cieli di tutto il mondo a bordo del suo jet Gulfstream V, cercando di entrare nella testa dei giovani e vecchi inventori, l’affabile e barbuto fisico, fotografo e paleontologo, si è convinto che oggi è di nuovo possibile una globale rifioritura di nuove invenzioni. Innanzitutto, egli sottolinea, il Web e le altre tecnologie informatiche rendono più facile che mai condividere le conoscenze, consentendo a chi ha una grande idea di attirare più rapidamente capitali e capacità commerciali. D’altro canto, il ritmo del progresso tecnologico sta accelerando. Myhrvold immagina un’epoca che lui stesso definisce di crescita esponenziale, caratterizzata dalla convergenza tecnologica che porterà a mutamenti imprevedibili ma radicali, a ritmi paragonabili a quelli della miniaturizzazione dei microchip, descritti dall’ormai celebre Legge di Moore. Ciò di cui gli inventori hanno bisogno per generare una simile crescita, conclude Myhrvold, è un sostegno di lungo termine e molto focalizzato, esemplificato dalle risorse che egli e Jung mettono a disposizione dei loro dipendenti sotto forma di esperti in brevetti e licenze.

In definitiva, Myhrvold e tutti coloro che oggi stanno finanziando l’invenzione pura cercano di disinnescare la falsa percezione che giustifica i laboratori di ricerca solo all’interno di una grande struttura aziendale già esistente, che comprenda capacità di sviluppo, produzione, distribuzione e marketing. Fino agli anni 1980, osserva Myhrvold, le aziende avevano un atteggiamento del genere nei confronti del software, pensando che avesse senso solo se venduto insieme a un pezzo di hardware. Bill Gates e soci hanno definitivamente smentito questa teoria. Allo stesso modo, «noi siamo convinti che l’invenzione possa valere per se stessa», afferma Myhrvold. «L’invenzione è il nuovo software».

PIù POTERE AI PICCOLI

Il nuovo clima che circonda l’invenzione, dicono i nuovi imprenditori dell’idea, nasce da quattro precise tendenze. La prima è la rinascita dell’invenzione fuori dai confini delle grandi corporations. Per quasi un secolo, l’innovazione prodotta dai grandi centri di ricerca come i Bell Labs o la General Electric ha oscurato il lavoro degli inventori solitari o in piccoli gruppi. Oggi una costellazione di forze spinge nuovamente alla ribalta il singolo inventore e le piccole aziende tecnologiche, a volte anche piccoli team interni alle grandi aziende.

Il cambiamento segna il ritorno degli spiriti più iconoclasti, capaci di presentarsi come gli inventori che ai tempi di Thomas Edison, Alexander Graham Bell e dei fratelli Wright rappresentavano la forza di spinta dell’economia. A partire dagli anni 1920 e 1930, con lo sviluppo di colossi tecnologici come GE, AT&T e DuPont, l’invenzione venne progressivamente asservita ai laboratori aziendali inquadrati in una struttura gerarchica. Dentro a questi laboratori, gli inventori furono riclassificati come «ricercatori». Per la prima volta nel 1932, un anno dopo la morte di Edison, negli Stati Uniti furono concessi più brevetti alle aziende piuttosto che ai singoli individui e nel 1940 l’anagrafe americana eliminò la qualifica di «inventore» dal novero delle categorie lavorative.

Nelle grandi aziende, l’attenzione si spostò gradualmente dall’invenzione a ciò che il leggendario economista Joseph A. Schumpeter definiva come secondo e terzo stadio dell’evoluzione tecnologica: l’innovazione, in cui le idee vengono trasformate in prodotti e servizi commercializzabili, e la diffusione, che vede quegli stessi prodotti e servizi distribuiti attraverso diversi mercati. Le aziende adottarono un modo di pensare secondo cui l’invenzione in sé era solo una piccola parte del successo economico; per ogni dollaro speso in ricerca di base, era diventato normale spenderne cento in sviluppo e mille per la commercializzazione di un prodotto. Visto che spesso le grandi idee falliscono e sul mercato non vince necessariamente il prodotto migliore o più originale, l’inventore finì con l’essere percepito come un fattore trascurabile di quella equazione. Il boom delle dot-com della fine degli anni 1990 ha determinato l’estrema distorsione di questo modello e la gente scommise miliardi di dollari sulla mera convinzione che il Web avrebbe trasformato completamente il modo di vendere, senza avere in tasca granché in termini di invenzioni commercializzabili.

Ora che i laboratori aziendali sono focalizzati su cicli di prodotto sempre più brevi, molti ritengono possibile che le imprese più piccole, i ricercatori universitari e i singoli inventori riescano a escogitare innovazioni capaci di avere un impatto di più lungo termine. Anthony Breitzman, vice presidente di CHI Research, società specializzata nell’analisi dei brevetti con sede ad Haddon Heights nel New Jersey, riferisce che le grandi aziende hanno ancora un ampio vantaggio in termini di brevetti depositati, specialmente nei settori dell’aerospaziale, dei veicoli motorizzati, del petrolio e gas naturale, dell’informatica e delle materie plastiche, dove la ricerca è molto costosa e le piccole imprese non dispongono delle risorse necessarie per competere.

Per Breitzman «ci sono tuttavia aree in cui le piccole imprese sono davvero in grado di competere». Nelle biotecnologie, nel farmaceutico ed elettromedicale – campi in cui tutte le aziende possono attingere alle stesse conoscenze accumulate sul corpo e il genoma umano – circa il 25 per cento dei brevetti è appannaggio di piccole aziende e individui (si veda La reinvenzione virtuale della biologia a pagina 28). Un numero sproporzionato di questi sono «brevetti ad alto impatto», spiega Breitzman, invenzioni che finiscono per diventare importanti prodotti commerciali.

Seconda tendenza: bruciati da troppi progetti fumosi mascherati da idee rivoluzionarie negli anni 1990, gli investitori di rischio sono diventati assai più selettivi e spesso premono affinché le aziende da loro finanziate dispongano di invenzioni importanti, possibilmente coperte da un brevetto, capaci di salvaguardare i loro investimenti dalla concorrenza. L’attenzione nei confronti dell’invenzione diventa più elevata in tutti i settori tecnologici, riconosce David Staelin, docente di ingegneria al MIT.

Con i fondi del MIT Staelin ha co-fondato un programma di consulenza che al momento assiste una settantina di startup create da studenti e insegnanti; secondo l’esperto l’85 per cento di queste aziende si è formato intorno a invenzioni brevettabili, dalla mazza da golf intelligente, che spiega allo sportivo come migliorare il tiro, all’esoscheletro da utilizzare in fisioterapia.

L’enfasi sull’invenzione comincia a dare i suoi frutti. CHI Research spulcia gli archivi alla ricerca di brevetti premiati da un numero molto elevato di citazioni, il cui numero viene insomma riportato dagli articoli scientifici o da brevetti successivi. Secondo la società, i titoli delle aziende che posseggono una buona percentuale di questi brevetti hanno avuto un andamento nettamente superiore all’indice S&P 500 e alla media delle aziende che posseggono pochi brevetti «citati» (si veda Invenzioni: quando investire paga in questa pagina). «Il numero di citazioni di un brevetto è correlato al successo in borsa», afferma Breitzman.

INVENZIONE LOCALE, MARKETING GLOBALE

Terzo: Internet e gli altri pervasivi strumenti di comunicazione rendono possibili nuovi collegamenti su scala globale. In ogni dove, gli inventori sono in grado non solo di accedere alle banche dati dei brevetti, a sterminate raccolte informatizzate di specifiche tecniche e alle informazioni sui genomi, ma anche di mettere a frutto vantaggi come la posta elettronica e il software collaborativo per scambiarsi le idee a dispetto dei confini geopolitici, attingendo a mercati internazionali. La percentuale record del 49,9 per cento dei brevetti americani registrati nel 2003 è stata presentata da almeno un cittadino straniero in qualità di co-inventore. Individui e organizzazioni esteri, prevede Breitzman di CHI, saranno titolari della maggioranza dei brevetti americani a partire dal 2004. Oltre venti nazioni producono oggi pro capite un volume significativo di brevetti depositati negli Stati Uniti, cifre che risultano altamente correlate con PIL e tenori di vita più elevati (si veda La mappa globale dell’invenzione a pag. 52).

Per nazioni ad alto costo come gli Stati Uniti o la Gran Bretagna, questa competizione su scala mondiale – destinata ad aumentare con il rafforzamento dei sistemi educativi e delle leggi a tutela dei diritti intellettuali negli altri paesi e con un fenomeno come l’outsourcing di manodopera ad alta tecnologia nelle regioni con forza lavoro a basso costo – implica per i professionisti l’obbligo di dimostrare il proprio valore crescendo personalmente sulla scala di valore della proprietà intellettuale. Invece di limitarsi a portare a termine i compiti loro assegnati, gli impiegati dovranno essere più originali e indipendenti nel loro modo di pensare, cominciando proprio con l’individuare nuovi problemi da risolvere. L’ex ministro del lavoro americano Robert Reich, oggi docente presso la Brandeis University, identifica due categorie lavorative in forte espansione nell’attuale economia. La prima è quella definita della «analisi simbolica» e riguarda l’applicazione di conoscenze approfondite nei settori di Ricerca e Sviluppo, della progettazione e dell’ingegneria. La seconda è quella dei «servizi personali» come quelli offerti dai commessi sui punti vendita, le guardie di sicurezza e il personale paraospedaliero. «Solo la prima categoria attira stipendi e benefici più consistenti», osserva Reich. «Tale categoria di posti di lavoro richiede la capacità di identificare e risolvere nuovi problemi». In buona sostanza è ciò che deve fare l’inventore.

Il graduale livellamento delle piazze di mercato internazionali determina la crescita stabile del valore aggiunto associato al pensiero creativo e le aziende più furbe sono sempre più aperte all’acquisto di invenzioni realizzate da concorrenti più piccoli, ovunque essi si trovino. «Scrutiamo l’orizzonte alla ricerca di nuove idee esterne alla nostra azienda», dichiara Simon Beesley, responsabile marketing per la divisione audio professionale di Sony Professional Services Europe, una divisione del gruppo Sony che dà lavoro a 1.200 persone. «Non siamo più chiusi come lo eravamo dieci anni fa». Beesley cita come esempio la commercializzazione di Hypersonic Sound, un sistema per il sonoro direzionale messo appunto dall’inventore americano Elwood «Woody» Norris (si veda Suono a chi tocca a pag. 32). Sony offre il nuovo sistema insieme ai sistemi audiovisivi basati su schermi al plasma. Ma, precisa Beesley, Sony vende la stessa tecnologia a decine di catene di negozi, banche e musei di tutta Europa, interessatissimi alla realizzazione di prodotti, dispositivi ed esposizioni che prevedono la diffusione di commenti sonori o di annunci commerciali rivolti a un singolo cliente per volta. «Ogni volta che mi capita di offrire una dimostrazione del sistema», conclude Beesley, «a qualcuno viene in mente una nuova idea su come utilizzarlo».

UNO SGUARDO DENTRO L’INVENZIONE

Tutto questo combacia con la quarta e ultima tendenza, che va in direzione di una nuova valutazione di come funziona esattamente il processo cognitivo dell’invenzione. Intorno all’invenzione domina ancora il mito della scoperta accidentale, che spinge a considerarla come una sorta di lotteria. Ci sono storie come quella di Percy Spencer, ricercatore della Raytheon di Waltham, nel Massachusetts, che secondo la leggenda osservò come il tubo elettronico del radar nel suo laboratorio fosse in grado di sciogliere una barretta di cioccolato, aprendo la strada alla realizzazione del forno a microonde. Il caso può essere un elemento chiave dell’invenzione. Ma gli studi di Myhrvold e altri dimostrano che le invenzioni puramente accidentali sono molto rare e tendono a essere amplificate sul piano dell’intuizione, a volte per giustificare le deviazioni dagli obiettivi originariamente assegnati ai ricercatori. Molte di queste storie tralasciano di menzionare il fatto che questi stessi ricercatori non smettono mai di osservare acutamente e cercano continuamente di escogitare qualcosa di nuovo.

Tanto che oggi l’invenzione viene riconosciuta come un processo assai più focalizzato e intenzionale, messo in atto da persone particolarmente abili nell’individuare nuovi problemi e che molto spesso lavorano e pensano in modo diverso dai normali ricercatori e tecnici. Quello di Sarcos Research, di Salt Lake City, è un caso particolarmente calzante. Questa fucina dell’invenzione, con una cinquantina di dipendenti che l’amministratore delegato Stephen Jacobsen definisce «squadra d’assalto in affitto», sviluppa prodotti e li offre in licenza ad aziende come Merck, Pfizer, Disney, Sony, Lucent e il Palo Alto Research Center.

Mescolando i concetti presi in prestito dalla biologia e dall’ingegneria, i ricercatori di Sarcos hanno costruito di tutto, dai cateteri ad altissima precisione usati per operare nei vasi sanguigni ai dinosauri robot dei film di Hollywood. Jacobsen in persona – inventore del cosiddetto Braccio Utah, la protesi per arti umani più avanzata al mondo – è forse il pensatore più «non convenzionale» di tutta l’azienda. La rappresentazione visiva ossessiona Jacobsen al punto da fargli ammettere di non riuscire praticamente a ricordare informazioni non visuali, come una data del calendario. L’inventore visualizza lo stato di avanzamento delle centinaia di invenzioni su cui ha lavorato solo pensando a come le loro intricate sagome si sono evolute e formate nel corso del tempo. Dopo aver ingrandito mentalmente un microchip o un nanosensore e averne fatto ruotare l’immagine, Jacobsen è in grado di costruirlo o di programmarne il software. «Ricordo solo le geometrie», egli afferma.

Pochi individui sono capaci di pensare visivamente come Jacobsen, ma tutti, dicono gli esperti, possono essere più inventivi. «La corteccia prefrontale del nostro cervello funziona come un simulatore di esperienze», dice lo psicologo di Harvard Daniel Gilbert. «Possiamo vivere le esperienze nella nostra testa prima ancora di verificarle sul campo». Con la pratica, ciascuno di noi o quasi è in grado di apprendere tecniche di visualizzazione e di pensiero ad alto livello che aiutano a creare nuovi concetti e a tradurli in tecnologie di uso pratico, prosegue Gilbert. L’inventore Jay Walker – fondatore di Walker Digital, creatore di priceline.com e detentore di oltre duecento brevetti per altrettanti processi industriali in settori che vanno dalla grande distribuzione ai videogiochi fino alla sanità – concorda con questa opinione. «Tutti possono imparare a fare bene una cosa, suonare il piano, cucinare, fare il sommelier?», egli si chiede. «Certo. Chiunque con una intelligenza sopra la media può fare queste cose, ma ci vogliono anni e anni per addestrare il cervello a farle bene. Con l’invenzione è la stessa cosa.

Oltre a saltabeccare da una disciplina all’altra e a mettere in discussione la conoscenza acquisita, l’inventore è capace di visualizzare i risultati e vivere nell’incertezza, un’altra ragione per cui una maggior percentuale di invenzioni avviene esternamente alle grandi strutture aziendali. «Il senso comune in generale lavora contro l’invenzione», sostiene Walker. «Nel campo del management si lavora per ridurre i rischi di cattivi risultati associati a una squadra di persone; l’ingegneria serve per ridurre gli stessi rischi associati alle tecnologie. Nell’invenzione si affrontano i rischi con la quasi certezza di fallire, con il solo obiettivo di azzeccare la più improbabile delle intuizioni».

In questa logica, un laboratorio delle idee come Invention Science è quasi certamente destinato a produrre molti insuccessi. Ma anche l’occasionale grande idea capace di cambiare il mondo… Per essere poi chiamata «accidentale».

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PIETRE MILIARI

1940

Il Census Bureau americano abolisce la categoria di lavoro degli «inventori».

PIETRE MILIARI

1981

Nella causa Diamond contro Diehr la Corte Suprema degli Stati Uniti stabilisce la brevettabilità del software.

PIETRE MILIARI

2004

Si prevede che i brevetti depositati negli USA da entità estere superino per la prima volta quelli registrati da soggetti americani.

Evan I Schwartz, collaboratore di «Technology Review» e autore di Juice: The Creative Fuel Driving Today’s World-Class Inventors, in uscita a settembre.

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