Grande è ancora bello?

Un esperto di tecnologie e operatore finanziario si domanda se i tanto decantati laboratori aziendali di ricerca e sviluppo siano strumenti obsoleti sia di innovazione sia di invenzioni di valore.

Si sente spesso dire che l’invenzione più importante di Thomas Edison non è stata la lampadina o il giradischi, ma l’idea di un processo industriale di sviluppo e innovazione in continuo movimento. Le aziende, dalla General Electric dello stesso Edison a Ma Bell, Corning e Kodak hanno adottato questa linea, favorendo l’avvento dei moderni laboratori di R&S.

Mentre una volta gli inventori indipendenti erano la fonte principale dei brevetti, a partire dagli anni 1930 il loro posto è stato preso dai laboratori aziendali. Per decenni queste organizzazioni hanno guidato lo sviluppo aziendale e hanno realizzato gran parte delle invenzioni fondamentali che caratterizzano la vita moderna: Bell Labs e i transistor, RCA e la televisione a colori, GE e la tecnologia MRI. In questo processo la R&S è divenuta il dogma aziendale indiscusso. Fino a poco tempo fa, la dottrina industriale sosteneva che alti investimenti nella ricerca avrebbero significato una quantità considerevole di buoni prodotti che a loro volta avrebbero alzato il livello dell’azienda, con una parallela crescita dei profitti e una maggiore capacità di penetrazione sui mercati emergenti. Ma alcune domande importanti non sono più eludibili. La ricerca e sviluppo aziendali funzionano realmente? E se è così, perché alcune aziende prestigiose e apparentemente ben organizzate vengono scavalcate di continuo dalla concorrenza?

La risposta è che nel migliore dei casi la R&S non funziona bene o forse non funziona affatto. L’industria deve riesaminare l’organizzazione della ricerca interna. Stiamo entrando in una nuova era di invenzioni e le grandi aziende devono adattarsi e ottimizzare il processo di ricerca, mantenendo solo ciò che funziona, ponendosi obiettivi credibili e abbandonando tutto il resto.

Per decenni, i laboratori di R&S hanno fatto da traino alla crescita aziendale e hanno prodotto le invenzioni fondamentali della vita moderna.

Se la R&S aziendale è ancora valida perché tante aziende importanti sono in difficoltà con la concorrenza?

IBM, per esempio, impiega 3.000 ricercatori a tempo pieno, ma è riuscita raramente a essere protagonista sul mercato dell’innovazione. Ha speso 5 miliardi e 100 milioni di dollari in R&S nel 2003, vale a dire il 6 per cento delle sue entrate e un controvalore di 16.000 dollari per impiegato. è vero che Big Blue guadagna 1 miliardo di dollari l’anno con la concessione delle licenze che i suoi ricercatori hanno ceduto ad altre aziende, ma volgiamo lo sguardo a chi sta scalzando IBM: Cisco, EMC, Oracle e Sun tra le altre. Queste aziende investono molto meno di IBM nella ricerca. Oracle, che ha dominato per molto tempo il mercato delle banche dati relazionali, ha sfruttato l’intuizione di un ricercatore di IBM! Nella memoria esterna dei computer, EMC, una nuova entrata, ha una fetta del 19 per cento – contro il 15 per cento di IBM – del mercato attuale di 13 miliardi di dollari. Quindici anni fa IBM raggiungeva l’80 per cento. Ma non è solo IBM a presentare risultati insoddisfacenti nella sua R&S.

Prendiamo Apple. L’azienda ha inventato l’industria del personal computer con Apple II nel 1977, diffondendo l’interfaccia grafica utente e introducendo il software intuitivo. Apple è divenuta la prima azienda di personal computer a raggiungere il miliardo di dollari nelle vendite annue, ma a quel punto si è fermata. Oggi l’azienda copre solamente il 2 per cento di un mercato di personal che tocca i 180 miliardi di dollari. Apple investe 471 milioni di dollari l’anno in R&S, il 7,6 per cento delle sue entrate. Sfido chiunque a nominarmi un’altra azienda che investa nell’innovazione così tanto e ottenga così poco.

Xerox, per esempio! D’accordo, avete colpito nel segno. In effetti Xerox fa sembrare la storia di Apple la trama di un film di successo. Lo scenario si sposta agli inizi degli anni 1970. Xerox stava diventando sempre più ricca. Non vendeva fotocopiatrici: le affittava, facendo pagare ogni singola copia. I ricercatori più autorevoli convinsero la direzione aziendale a investire milioni di dollari nella ricerca, senza offrire alcuna garanzia che ne sarebbe uscito fuori qualcosa di valido. Xerox assunse i migliori talenti di allora e diede vita al Palo Alto Research Center. I ricercatori del PARC hanno inventato Ethernet, le applicazioni a finestre, le icone sullo schermo e le stampanti laser. Il lavoro del Xerox PARC è alla base di almeno metà delle novità decisive nello sviluppo dell’informatica.

La direzione dell’azienda come ha sfruttato questo colpo di fortuna? Lo ha buttato al vento. Forse il più grande insuccesso della storia della tecnologia. Quasi tutte le altre aziende di Silicon Valley hanno tratto vantaggio dalle innovazioni del PARC, mentre Xerox ha saputo fare cassa soltanto con le stampanti laser. Comunque, anche se le stampanti costituiscono ancora una bella fetta del giro d’affari dell’azienda, Hewlett-Packard è riuscita ugualmente a conquistare il primato. Annualmente Xerox spende ancora circa 900 milioni di dollari in R&S, quasi il 6 per cento delle sue entrate. Hanno forse qualche prodotto di cui essere orgogliosi? No. Negli ultimi 20 anni è difficile trovare qualcuno che abbia ottenuto risultati peggiori di Xerox, un’azienda che ha fatto tutto quello che poteva per favorire l’innovazione interna e ha fallito clamorosamente.

Quale deve essere quindi il criterio per capire se i dollari in R&S sono spesi bene? Il numero di brevetti? Brevetti per dollari di ricerca? Quote di mercato? O quote di mercato della tecnologia sviluppata nell’ambito del gruppo? è come una squadra del campionato di calcio che verifica la percentuale di goal segnati da giovani del suo vivaio. Una misura del successo: una crescita dei ricavi del 15-20 per cento l’anno, guidata dai prodotti sviluppati internamente.

Ma poche aziende possono vantare simili risultati. Negli ultimi decenni abbiamo assistito al cattivo funzionamento della R&S aziendale. I motivi sono essenzialmente tre.

Clayton Christensen ha delineato il primo in modo brillante in The Innovator’s Dilemma. Qualsiasi nuova tecnologia minaccia di tagliare i margini di profitto dei prodotti a larga diffusione che garantiscono il primato sul mercato. Perché RCA o GE avrebbero dovuto premere sulla tecnologia a stato solido quando i profitti delle valvole elettroniche erano così alti? Perché Kodak avrebbe dovuto investire nelle macchine fotografiche digitali quando il denaro contante le arrivava dalle pellicole? Alla fine, naturalmente, tutti sono entrati in questi mercati, ma tardi e solo quando il cambiamento era ormai inevitabile. Le aziende maggiori preferiscono l’innovazione just-in-time, che interviene appena i vecchi prodotti sono nella seconda metà del loro ciclo di vita. Ma l’innovazione non ha uno sviluppo lineare; arriva a sbalzi, mescolando insuccessi con improvvisi balzi in avanti.

Il secondo motivo: noi fornitori di capitale di rischio. Abbiamo circa 100 miliardi di dollari pronti a essere usati. Spesso scegliamo i migliori gruppi di ricerca e li finanziamo come aziende indipendenti, un percorso che la grande industria è poco incline a seguire. Possiamo anche determinare il successo finanziario dei fondatori dell’azienda (almeno è quello che diciamo loro). Ci appropriamo dei ricercatori più capaci – quelli che capiscono le situazioni e hanno un buon curriculum – e arriviamo sul mercato prima delle grandi aziende. Questo è il nostro lavoro e sappiamo farlo bene.

La terza ragione per cui siamo alla ricerca di un nuovo modello di invenzione aziendale è il processo decisionale. Tutte le azienda vogliono innovare, ma poche mettono in atto un progetto per conseguire uno sviluppo e renderlo produttivo. Si tratta di un impegno serio. Parte del problema è costituito dalle barriere interne innalzate dalle aziende, ma non rappresenta il nodo chiave. Mostratemi il sistema interno di retribuzione per i direttori aziendali generali e vi dirò perché la fase esecutiva raggiunge a stento la sufficienza. Le aziende remunerano i dirigenti per sfornare cifre, non per dar vita a nuove attività. Chi vuole rischiare la propria gratifica per una tecnologia agli esordi che minaccia la «mucca da soldi»?

La R&S aziendale investe l’80 per cento del suo tempo e talento per «miglioramenti di prodotto» e il 20 per cento per cose realmente nuove. Lo scorso anno il mio amico Kenan Sahin, ex vicepresidente della tecnologia del software ai Bell Labs di Lucent Technologies, ha affrontato questo problema da un punto di vista differente (si veda Dall’innovazione all’implementazione di Kenan Sahin in «Technology Review», edizione italiana, n.3/2004). Kenan si lamentava dello scarso incremento della ricerca – e ancor più della commercializzazione della ricerca – realizzato dalle nostre maggiori aziende e proponeva di intervenire per rovesciare questa tendenza. Cambiamo ancora prospettiva: dato che i dipartimenti aziendali di R&S ottengono così pochi risultati con tutti i soldi che hanno già a disposizione, non dovrebbero le aziende spendere meno in ricerca?

Gli amministratori delegati sono vittime di amletici dubbi. Appaltare l’R&S esternamente o portarla avanti internamente all’azienda? Investire in fondi di capitale di rischio per avere una «finestra sulla tecnologia» o prosciugare le maggiori università di ricerca? Ottenere la tecnologia acquistando le nuove aziende o fare investimenti strategici nelle aziende più giovani? Stipulare un contratto di sviluppo comune o stabilire un accordo per la distribuzione? Sono tutti tentativi per far sì che l’R&S funzioni. Quando mai l’ingegneria finanziaria ha sostituito l’ingegneria reale?

Un modo di guardare all’universo della R&S è dividere il mondo in due gruppi: attaccanti e difensori. I difensori sono aziende famose: AT&T, IBM, Wal-Mart. Una volta questi giganti erano attaccanti giovani e aggressivi, e allora i difensori si chiamavano Western Union, National Cash Register e Woolworth. Ora sono loro ad avere il primato. I difensori hanno mercati, clienti, capitali ed esperti a loro disposizione. Credono in un processo ordinato di R&S e sono in genere condizionati da preoccupazioni di ordine finanziario. In ogni mercato, chi si difende deve proteggere i suoi prodotti e clienti migliori e deve anche andare all’attacco dei mercati vicini. Può decidere se prendere i prodotti a disposizione e rinnovarli per i nuovi mercati o prendere i suoi attuali clienti e trovare nuovi prodotti o servizi da vendere loro. O entrambe le cose.

Ciò che gli innovatori dal punto di vista difensivo vogliono fare è garantire lo status quo, anche se lo negano recisamente. Comunque se riescono a mantenere i loro margini e le loro quote di mercato relativamente stabili, i risultati sono buoni. Le azioni si rivalutano del 10 o 15 per cento l’anno e i diritti di opzione garantiranno una ricca pensione ai dirigenti più anziani. è vero che parlano spesso di strategie di «attacco» e che fanno uso di espressioni mutuate dal calcio e dalla guerra. Ma sono solo parole e in realtà il loro obiettivo è riposare tranquilli.

Gli attaccanti sono aziende di cui probabilmente pochi hanno sentito parlare: Alkermes e A123Systems e Kubi Software (YankeeTek Ventures di Anderson ha investito in A123 Systems). Il modo migliore per descriverle è paragonarle ai samurai, a guerrieri aggressivi. Gli attaccanti non hanno quote di mercato, né clienti e talvolta neanche conoscenze. Ciò che serve loro è un campo di battaglia aperto. Gli innovatori d’attacco vogliono far crollare le grandi aziende e prendere il loro posto in difesa, o almeno realizzare una versione di successo di un prodotto da vendere a chi si difende. Tutte le loro energie sono impiegate nel tentativo di inventare nuove tecnologie per conseguire questi obiettivi.

I difensori si rendono conto dell’esistenza di queste nuove tecnologie e passano attraverso una serie di fasi prevedibili, non molto differenti da quelle in genere associate con il lutto.

Rifiuto. «Questa nuova tecnologia non funzionerà (o è pericolosa o non è conforme agli standard) e i nostri clienti la rifiuteranno!»

Rabbia. «Come è possibile che i nostri fedeli clienti affidino anche solo una piccola parte delle loro risorse a simili contrabbandieri! Come hanno potuto dimenticare tutto il sostegno e i servizi che abbiamo loro offerto finora?»

Accettazione riluttante. «In effetti qualche vantaggio questa tecnologia lo offre. Mettiamola a disposizione di quei clienti che la vogliono e che avremmo in ogni caso perso. Lasciamo che siano loro a dire infine perché non la vogliono, anche se pensavano di non poterne fare a meno; nel frattempo proviamo a vendere la maggior quantità possibile del vecchio prodotto».

Resa. «Accidenti! Stiamo perdendo fette di mercato più rapidamente di quanto pensavamo! La nostra R&S è terribilmente in ritardo; quando il prodotto sarà pronto non avrà praticamente valore. è meglio investire sul nostro concorrente (o comprarlo), prima che diventi troppo grande».

Tutto ciò mi riporta a Edison. Il suo modello è dispendioso e probabilmente era valido nel periodo in cui le aziende detenevano monopoli virtuali nei loro settori. Ma con l’avvento del capitale di rischio, il modello è cominciato a cambiare. Ora “la concorrente” non è più una grande azienda, ma una piccola e specializzata. Aziende come Motorola, Kodak e Boeing sono state scavalcate da giovani aziende con tecnologie specializzate e con maggiore rapidità di cambiamento.

Il tradizionale modello dei laboratori aziendali di R&S come motore dell’invenzione è durato 70 anni. Ciò di cui ha ora bisogno ogni azienda, a prescindere dalle dimensioni, è della capacità decisionale e della consapevolezza dei tempi dei veri imprenditori.

Il vecchio modello è superato. è venuto il momento di costruirne uno nuovo.

Howard Anderson è fondatore e dirigente senior di YankeeTek Ventures e William Porter Distinguished Lecturer alla Sloan School of Management del MIT.

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