Senza una guida l’AI crea disuguaglianza

Le nuove tecnologie digitali hanno prodotto una maggiore crescita economica, ma non hanno aiutato a diffondere la prosperità sociale. Un cambio di prospettiva è ancora possibile

di David Rotman

L’economia viene trasformata dalle tecnologie digitali, in particolare dall’intelligenza artificiale, che stanno cambiando rapidamente il modo in cui viviamo e lavoriamo. Ma questa trasformazione pone un inquietante enigma: queste tecnologie non hanno fatto molto per far crescere l’economia e le disuguaglianze di reddito peggiorano. La crescita della produttività, che gli economisti considerano essenziale per migliorare il tenore di vita, è stata in gran parte lenta almeno dalla metà degli anni 2000 in molti paesi. 

Perché queste tecnologie non riescono a produrre una maggiore crescita economica? Perché non alimentano una prosperità più diffusa? Per ottenere una risposta, alcuni importanti economisti ed esperti di politiche stanno esaminando dall’interno il mondo dell’AI e dell’automazione e identificano i modi in cui si possono fare scelte migliori.
 
In un saggio intitolato The Turing Trap: the Promise & Peril of Human Like Artificial Intelligence, Erik Brynjolfsson, il direttore dello Stanford Digital Economy Lab, scrive del modo in cui i ricercatori e le aziende di intelligenza artificiale si sono concentrati sulla costruzione di macchine per replicare l’intelligenza umana. Il titolo, ovviamente, è un riferimento ad Alan Turing e al suo famoso test del 1950 per verificare se una macchina è in grado di imitare il pensiero di una persona così bene da non far capire a un osservatore che si trova davanti a un robot.

Da allora, afferma Brynjolfsson, molti ricercatori hanno inseguito questo obiettivo. Ma, dice, l’ossessione di imitare l’intelligenza umana ha portato all’intelligenza artificiale e all’automazione che troppo spesso sostituiscono semplicemente i lavoratori, piuttosto che estendere le capacità umane e consentire alle persone di svolgere nuovi compiti

Per Brynjolfsson, un economista, la semplice automazione, pur producendo valore, può anche essere un percorso verso una maggiore disuguaglianza di reddito e ricchezza. L’eccessiva attenzione a un’AI simile a quella umana, scrive, riduce i salari per la maggior parte delle persone “anche se amplifica il potere di mercato di pochi” che possiedono e controllano le tecnologie. L’enfasi sull’automazione piuttosto che sulla giustizia redistributiva, sostiene nel saggio, rappresenta la “singola più grande spiegazione” per l’ascesa dei profitti di pochi in un momento in cui i salari reali medi per molti americani sono diminuiti.

Brynjolfsson non è un luddista. Nel suo libro del 2014, scritto in collaborazione con Andrew McAfee, The Second Machine Age: Work, Progress, and Prosperity in a Time of Brilliant Technologies, avanza una critica alla limitatezza del pensiero dei ricercatori di intelligenza artificiale. “Molti di loro dicono di voler creare una macchina che ragioni come un essere umano. È una visione chiara, ma è anche indice di pigrizia mentale”. 

A lungo termine, sostiene, si crea molto più valore utilizzando l’AI per produrre nuovi beni e servizi, invece di cercare semplicemente di sostituire i lavoratori. Ma per le aziende, spinte dal desiderio di tagliare i costi, spesso è più facile sostituire una macchina senza ripensare i processi e investire in tecnologie che sfruttano l’AI per migliorare la produttività dei suoi lavoratori. 

I recenti progressi nell’AI sono stati impressionanti, dalle auto senza conducente ai modelli linguistici simili a quelli umani. Tuttavia, guidare la traiettoria della tecnologia è fondamentale. A causa delle scelte che i ricercatori e le imprese hanno fatto finora, le nuove tecnologie digitali hanno creato un’enorme ricchezza per coloro che le possiedono e le inventano, mentre troppo spesso distruggono opportunità per coloro che occupano posti di lavoro esposti alla sostituzione. Queste innovazioni hanno generato buoni posti di lavoro nel settore tecnologico in poche città, come San Francisco e Seattle, mentre gran parte del resto della popolazione è rimasta indietro. Ma non deve essere così. 

Daron Acemoglu, un economista del MIT, fornisce prove convincenti del ruolo che l’automazione, i robot e gli algoritmi che sostituiscono i lavoratori umani hanno svolto nel rallentare la crescita salariale e nel peggiorare la disuguaglianza negli Stati Uniti. In realtà, afferma, dal 50 al 70 per cento della crescita della disuguaglianza salariale negli Stati Uniti tra il 1980 e il 2016 è stata causata dall’automazione.

Tutto ciò è accaduto in buona parte prima dell’impennata nell’uso delle tecnologie di intelligenza artificiale. Acemoglu teme che l’automazione basata sull’intelligenza artificiale possa peggiorare ulteriormente la situazione. All’inizio del XX secolo e durante i periodi precedenti, i cambiamenti tecnologici in genere producevano nuovi posti di lavoro di qualità superiore a quelli che distruggevano, ma non sembra più essere così. Uno dei motivi è che le aziende scelgono spesso di implementare quelle che lui e il suo collaboratore Pascual Restrepo chiamano “tecnologie mediocri”, che sostituiscono i lavoratori ma fanno poco per migliorare la produttività o creare nuove opportunità di business. 

Allo stesso tempo, le aziende e i ricercatori stanno in gran parte ignorando il potenziale delle tecnologie di intelligenza artificiale per espandere le capacità dei lavoratori fornendo al contempo servizi migliori. Acemoglu punta alle tecnologie digitali che potrebbero consentire al personale sanitario di diagnosticare le malattie in modo più accurato o aiutare gli insegnanti a fornire lezioni più personalizzate agli studenti.  

Governo, scienziati dell’AI e Big Tech sono tutti colpevoli di prendere decisioni che favoriscono un’automazione eccessiva, afferma Acemoglu. Le politiche fiscali federali favoriscono l’automazione. Sebbene il lavoro umano sia pesantemente tassato, non ci sono tasse sui robot o sull’automazione. E, dice, i ricercatori di intelligenza artificiale “non hanno alcun rimorso a lavorare su tecnologie che automatizzano il lavoro a spese di molte persone che perdono il lavoro”. 

Ma la sua critica più feroce è alle Big Tech, citando dati che indicano che i giganti tecnologici statunitensi e cinesi finanziano circa i due terzi del lavoro di intelligenza artificiale. “Non credo sia un caso”, spiega, “che si ponga così tanta enfasi all’automazione quando il futuro della tecnologia in questo paese è nelle mani di poche aziende come Google, Amazon, Facebook, Microsoft che hanno definito l’automazione algoritmica come il loro modello di business”.

Il risentimento si sta facendo strada

La consapevolezza crescente del ruolo svolto dall’AI nell’esacerbare la disuguaglianza potrebbe mettere in pericolo il futuro della tecnologia. Nel suo nuovo libro Cogs and Monsters: What Economics is, and What It Should Be, Diane Coyle, economista dell’Università di Cambridge, sostiene che l’economia digitale richiede nuovi modi di pensare al progresso. “Qualunque cosa si intenda per crescita economica, i profitti dovranno essere condivisi in modo più uniforme rispetto al recente passato”, scrive. “Un’economia che vede da una parte miliardari e dall’altra gig-lavoratori, con posti di lavoro a reddito medio ridotti dall’automazione, non appare politicamente sostenibile“. 

Il miglioramento del tenore di vita e l’aumento della prosperità per fasce più ampie di popolazione richiederanno un maggiore utilizzo delle tecnologie digitali per aumentare la produttività in vari settori, tra cui l’assistenza sanitaria e l’edilizia, afferma Coyle. Ma non ci si può aspettare che le persone accettino i cambiamenti se non vedono i vantaggi e assistono solo alla distruzione di buoni posti di lavoro.

In una recente intervista a “MIT Technology Review”, Coyle ha affermato di temere che il problema della disuguaglianza della tecnologia possa essere un ostacolo all’implementazione dell’AI. “Si tratta di tecnologie trasformative che cambiano il modo in cui trascorriamo il nostro tempo ogni giorno, che cambiano i modelli di business che hanno successo”. Per apportare le “ grandi modifiche necessario”, aggiunge, è indispensabile il consenso sociale. Invece, dice Coyle, il risentimento sta ribollendo tra molti poiché si percepisce che i benefici vanno alle élite

Negli Stati Uniti, per esempio, durante gran parte del XX secolo le varie aree del paese sono state – nel linguaggio degli economisti – “convergenti” e le disparità finanziarie sono diminuite. Poi, negli anni 1980, è arrivato l’assalto delle tecnologie digitali e la tendenza si è invertita. L’automazione ha spazzato via molte attività di produzione e vendita al dettaglio. Nuovi lavori tecnologici ben pagati sono stati raggruppati in alcune città.

Secondo la Brookings Institution, nel 2019 otto città americane, tra cui San Francisco, San Jose, Boston e Seattle, detenevano circa il 38 per cento di tutti i posti di lavoro nel settore tecnologico. Le nuove tecnologie di intelligenza artificiale sono particolarmente concentrate: le stime di Mark Muro e Sifan Liu di Brookings valutano che solo 15 città rappresentano i due terzi delle risorse e delle capacità dell’AI negli Stati Uniti (San Francisco e San Jose da sole rappresentano circa un quarto).

Il predominio di alcune città nell’invenzione e commercializzazione dell’AI significa che le disparità geografiche in termini di ricchezza continueranno a crescere. Questo non solo favorirà disordini politici e sociali, ma potrebbe, come suggerisce Coyle, frenare il tipo di tecnologie di intelligenza artificiale necessarie per la crescita delle economie regionali. 

Parte della soluzione potrebbe risiedere nell’allentare in qualche modo la morsa che le Big Tech hanno sulla definizione dell’agenda dell’AI. Ciò richiederà probabilmente maggiori finanziamenti federali per la ricerca indipendente dai giganti della tecnologia. Muro e altri hanno suggerito, per esempio, l’adozione di ingenti finanziamenti federali per aiutare a creare centri di innovazione regionali statunitensi

Cambiare modo di pensare

Il tentativo dei ricercatori di intelligenza artificiale e robotica di replicare le capacità degli esseri umani spesso significa cercare di convincere una macchina a svolgere un compito facile per le persone e complesso per la tecnologia. Vedere un’auto a guida autonoma percorrere le strade di una città o un robot fare il barista colpisce la fantasia, ma troppo spesso le persone che sviluppano e implementano queste tecnologie non riflettono sul potenziale impatto sui posti di lavoro e sui mercati del lavoro.  

Anton Korinek, economista dell’Università della Virginia e Rubenstein Fellow di Brookings, afferma che le decine di miliardi di dollari che sono stati destinati alla costruzione di auto a guida autonoma avranno inevitabilmente un effetto negativo sul mercato del lavoro una volta che tali veicoli saranno su strada. E se, si chiede, quei miliardi fossero stati investiti in strumenti di intelligenza artificiale con maggiori probabilità di espandere le opportunità di lavoro? 

“Se si guarda alla ricerca sull’intelligenza artificiale e ai parametri di riferimento che vengono utilizzati, fanno tutti riferimento al confronto con le prestazioni umane”, afferma. “Non sorprende che si sia affermata con sempre più forza l’automazione”, aggiunge. “I benchmark sono estremamente importanti per gli sviluppatori di intelligenza artificiale, in particolare per i giovani scienziati”.
 
Ma mancano parametri di riferimento per le prestazioni delle collaborazioni uomo-macchina, spiega Klinova. Collaborando con Korinek, lei e il suo team di Partnership for AI stanno definendo una guida utente per gli sviluppatori di intelligenza artificiale che non hanno esperienza in economia per aiutarli a capire in che modo i lavoratori potrebbero essere influenzati dalla ricerca che stanno facendo. 

La pandemia ha accelerato la transizione digitale. Le aziende si sono comprensibilmente rivolte all’automazione per sostituire i lavoratori. Ma la pandemia ha anche evidenziato il potenziale delle tecnologie digitali per espandere le nostre capacità. Sono stati prodotti strumenti di ricerca per aiutare a creare nuovi vaccini e si è trovato un sistema efficace per lavorare da casa. Dato che l’AI espanderà inevitabilmente il suo impatto, varrà la pena guardare agli sviluppi futuri. “Sono ottimista sul fatto che possiamo guidare la tecnologia nel modo giusto”, conclude Brynjolfsson, “ma ciò significherà fare scelte deliberate sulle tecnologie che creiamo e in cui investiamo.

Immagine: Ian Grandjean

(rp)

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