MARIA JESUS CONTRERAS

La startup che vuole scoprire se gli esseri umani possono avere figli nello spazio

SpaceBorn United conduce un esperimento di fecondazione assistita nell’orbita terrestre per aprire la strada a missioni spaziali a lungo termine.

Egbert Edelbroek era un donatore di sperma quando si è chiesto per la prima volta se fosse possibile avere figli nello spazio.

Incuriosito dai vari modi in cui lo sperma donato può essere utilizzato, Edelbroek, un imprenditore olandese, ha iniziato a ipotizzare se la tecnologia della fecondazione in vitro fosse possibile al di là della Terra o se potesse addirittura essere migliorata dalle condizioni che si trovano lì. L’assenza di peso nello spazio potrebbe essere migliore di una piastra di Petri da laboratorio?

Ora Edelbroek è amministratore delegato di SpaceBorn United, una startup biotecnologica che vuole essere pioniera nello studio della riproduzione umana fuori dalla Terra. L’anno prossimo intende inviare un mini-laboratorio su un razzo nell’orbita terrestre bassa, dove avverrà la fecondazione in vitro. Se avrà successo, Edelbroek spera che il suo lavoro possa aprire la strada a futuri insediamenti spaziali.

“L’umanità ha bisogno di un piano di riserva”, dice. “Se vogliamo essere una specie sostenibile, è necessario essere una specie multiplanetaria”.

Oltre alle future colonie spaziali, c’è anche il bisogno più urgente di capire gli effetti dello spazio sul sistema riproduttivo umano. Nessuno è mai rimasto incinta nello spazio, per ora. Ma con l’aumento del turismo spaziale, è probabile che un giorno possa accadere. Edelbroek ritiene che dovremmo essere preparati.

Nonostante il crescente interesse per l’esplorazione e l’insediamento nello spazio profondo, sostenuto in parte da miliardari come Elon Musk e Jeff Bezos, sappiamo ancora molto poco su ciò che accade alla nostra biologia riproduttiva quando siamo in orbita. Un rapporto pubblicato a settembre dalle National Academies of Science, Engineering, and Medicine statunitensi sottolinea che non è stata condotta quasi nessuna ricerca sulla riproduzione umana nello spazio, aggiungendo che la comprensione di come lo spazio influisca sulla riproduzione è “vitale per l’esplorazione spaziale a lungo termine, e tuttavia finora largamente inesplorata”.

Alcuni studi sugli animali hanno suggerito che le varie fasi della riproduzione – dall’accoppiamento e dalla fecondazione allo sviluppo dell’embrione, all’impianto, alla gravidanza e alla nascita – possono funzionare normalmente nello spazio. Per esempio, nel primo esperimento di questo tipo, otto pesci medaka giapponesi si sono sviluppati dall’uovo alla schiusa a bordo dello Space Shuttle Columbia nel 1994. Tutti e otto sono sopravvissuti al ritorno sulla Terra e sembravano comportarsi normalmente.

Passo dopo passo

Tuttavia, altri studi hanno trovato prove che indicano potenziali problemi. Nel 1983, i topi incinta che hanno trascorso gran parte del terzo trimestre – per un totale di cinque giorni – su un satellite sovietico hanno avuto complicazioni durante il travaglio e il parto. Come tutti gli astronauti che tornano sulla Terra, i topi erano esausti e deboli. I loro parti sono durati più a lungo del solito, probabilmente a causa dell’atrofizzazione dei muscoli uterini. Tutti i cuccioli di una delle cucciolate sono morti durante il parto, a causa di un’ostruzione che si pensa sia dovuta in parte allo stato di debolezza della madre. Per Edelbroek, questi risultati inconcludenti indicano la necessità di isolare sistematicamente ogni fase del processo riproduttivo per capire meglio come viene influenzato da condizioni come la bassa gravità e la maggiore esposizione alle radiazioni. Il mini-laboratorio sviluppato dalla sua azienda è stato progettato proprio per questo. Ha le dimensioni di una scatola di scarpe e utilizza la microfluidica per collegare una camera contenente lo sperma a una camera contenente l’ovulo. Può anche ruotare a diverse velocità per replicare l’ambiente gravitazionale della Terra, della Luna o di Marte. È sufficientemente piccolo da poter essere inserito in una capsula che può essere collocata in cima a un razzo e lanciata nello spazio.

Il mini disco da laboratorio utilizzerà la microfluidica per fecondare un ovulo.
MARTA FERRAZ

Dopo che l’ovulo è stato fecondato nel dispositivo, si divide in due cellule, ognuna delle quali si divide nuovamente per formare quattro cellule e così via. Dopo cinque o sei giorni, l’embrione raggiunge uno stadio noto come blastocisti, che ha l’aspetto di una palla cava. A questo punto, gli embrioni nel mini-laboratorio saranno congelati criogenicamente per il loro ritorno sulla Terra.

Ma prima SpaceBorn deve dimostrare che il dispositivo funziona nello spazio. I piani di Edelbroek per testarlo sono stati rivelati al festival SXSW nel marzo di quest’anno.

“Abbiamo ultimato il nostro primo prototipo, che salirà a bordo di un razzo quest’anno, entro sei mesi”, ha detto al pubblico.

L’ipotesi si è rivelata eccessivamente ottimistica. Durante una riunione del comitato consultivo di SpaceBorn United, tenutasi ad agosto, Edelbroek ha spiegato che la società incaricata di effettuare il lancio in Islanda non aveva ancora ottenuto i necessari permessi di lancio. Edelbroek ha deciso di rinunciare al test suborbitale e punta ora a un obiettivo più ambizioso: un test orbitale di tre ore del dispositivo con la startup tedesca Atmos Space Cargo, previsto al momento per il novembre 2024.

“È necessario scoprire queste cose in una piastra di Petri prima di avere turiste che rimangono incinta nello spazio”.

Se riuscirà a portare a termine questo test, SpaceBorn United intende procedere con altri voli di prova seguendo il piano della sua missione, nota come ARTIS (Assisted Reproductive Technology in Space). Come descritto sul suo sito web, le prime missioni ARTIS coinvolgeranno embrioni di roditori fecondati nello spazio con una gravità simulata equivalente a quella terrestre. Successivamente, gli embrioni formati nello spazio e congelati criogenicamente per il ritorno sulla Terra saranno impiantati in una madre roditrice. Se questo porterà alla nascita di cuccioli sani, le missioni ARTIS successive includeranno embrioni umani fecondati in condizioni di gravità simile a quella terrestre e, eventualmente, di gravità parziale simile a quella della Luna o di Marte.

Se questi esperimenti dimostreranno che è possibile formare embrioni umani in queste condizioni di bassa gravità, Edelbroek ritiene che si tratterebbe di un importante passo avanti verso la dimostrazione della fattibilità di insediamenti spaziali multigenerazionali.

“Credo che questo tipo di ricerca sia assolutamente necessario”, afferma Kelly Weinersmith, biologa e coautrice di un libro di prossima pubblicazione sull’insediamento spaziale intitolato A City on Mars. “Ritengo che valga la pena rendere gli esseri umani multiplanetari come piano B”, afferma. “Ma penso che dobbiamo farlo lentamente”.

Edelbroek vede anche una necessità più immediata per la ricerca. Con l’espansione dell’accesso allo spazio, e soprattutto con la crescita dell’industria del turismo spaziale, diventa sempre più probabile che un bambino possa essere concepito nello spazio, intenzionalmente o meno. Attualmente si sa molto poco di come una gravidanza nello spazio possa influenzare la madre o il nascituro. Edelbroek ritiene che gli studi sulla fecondazione in vitro dell’azienda siano urgentemente necessari per contribuire a informare su tali rischi.

Edelbrook con la capsula Independence Aerospace durante la conferenza SXSW in cui ha annunciato il suo piano.
SCOTT SOLOMON

Weinersmith è d’accordo. “È meglio scoprire queste cose in una piastra di Petri prima di avere turiste che rimangono incinta nello spazio”, dice.

Attualmente, SpaceBorn United è tra i pochi gruppi di ricerca che lavorano sulla riproduzione nello spazio. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che i finanziamenti pubblici disponibili per la ricerca sono stati molto scarsi. La NASA, l’Agenzia Spaziale Europea e altre organizzazioni governative sono storicamente restie a finanziare e sostenere la ricerca sul sesso e sulla riproduzione umana.

Erik Antonsen, professore associato di medicina spaziale al Baylor College of Medicine e consulente del Programma di ricerca umana della NASA, vede un altro ostacolo: la quantità relativamente esigua di fondi che storicamente sono stati destinati alla ricerca medica spaziale. “Il Programma di ricerca umana della NASA ha un budget complessivo di circa 130 milioni di dollari. Robaccia”, dice. “E questo è il gruppo di ricerca e il finanziamento più importante che ci sia”.

Serve più denaro

Il rapporto delle National Academies potrebbe cambiare le cose. Tra le raccomandazioni c’è quella di decuplicare i finanziamenti per le scienze biologiche e fisiche, compresi gli studi sulla riproduzione. Secondo Robert Ferl, co-presidente del gruppo che ha redatto il rapporto, la ricerca dovrebbe includere studi sulla riproduzione in una varietà di organismi diversi, dalle piante alle persone, perché molti dei principi biologici sottostanti sono gli stessi.

“Dobbiamo sapere cosa succede nel corso delle generazioni, perché ci sono processi fondamentali coinvolti quando viene prodotto un ovulo, quando viene prodotto uno spermatozoo e quando il nuovo zigote, indipendentemente dall’organismo, inizia a crescere e a svilupparsi”, spiega.

Ma non c’è alcuna garanzia che i finanziamenti raccomandati nel rapporto si concretizzino. Nel frattempo, la SpaceBorn United sta portando avanti il suo progetto di testare un laboratorio di fecondazione assistita nell’orbita terrestre bassa. Sarebbe “un esperimento meraviglioso se si riuscisse a ottenere i fondi necessari”, dice Antonsen.

Edelbroek dice di aver raccolto finora 400.000 dollari da venture capitalist e di aver costituito un comitato consultivo che comprende esperti di fertilità e ingegneri. Ma tutti i fondi raccolti saranno spesi entro la fine dell’anno, e ora deve raccogliere abbastanza per il primo test orbitale previsto per l’anno prossimo. Ammesso che i fondi supplementari arrivino, il che non è affatto certo, Jeffrey Alberts, un professore dell’Università dell’Indiana che ha studiato gli effetti dei voli spaziali sui roditori, è ottimista. “Sono giunto alla conclusione generale che la fecondazione nello spazio probabilmente funzionerà”, afferma.

Tuttavia, anche se la fecondazione ha successo, gli embrioni devono ancora tornare sulla Terra. Questo aspetto preoccupa Dorit Donoviel, direttore del Translational Research Institute for Space Health del Baylor College of Medicine.

“Quelle blastocisti subiranno un enorme fattore di carico al ritorno”, afferma l’esperta.

Marta Ferraz, che dirige la ricerca e la progettazione della missione per SpaceBorn United, riconosce la sfida.

“Il rientro è un processo tecnologicamente molto difficile”, afferma. SpaceBorn United ha recentemente iniziato a testare il suo prototipo per misurare le forze a cui saranno sottoposti i campioni. I risultati di un recente test di caduta ad alta quota sono ancora in attesa, ma il team è fiducioso che il dispositivo possa essere stabilizzato a sufficienza per ridurre al minimo l’impatto sugli embrioni.

Queste informazioni sono essenziali per ottenere l’approvazione all’uso di embrioni vivi. Il processo di approvazione richiede anche l’autorizzazione della nazione in cui ha sede l’azienda che effettua il lancio – e le modalità per ottenerla variano a seconda che l’ente che conduce la ricerca sia pubblico o privato.

Per Donoviel si tratta di una lacuna che deve essere risolta. È stata una dei 25 coautori di un recente articolo pubblicato su Science in cui si chiedevano linee guida più rigorose e coerenti per la ricerca nell’industria spaziale commerciale. Secondo l’autrice, “le aziende dovrebbero emanare politiche e sviluppare le migliori pratiche per garantire che la ricerca sponsorizzata sia condotta in modo socialmente responsabile ed etico”.

Particolarmente preoccupanti per Donoviel sono i piani a lungo termine della SpaceBorn United di condurre esperimenti di fecondazione assistita nello spazio utilizzando embrioni umani. Donoviel ritiene che ciò non sia etico e teme che possa mettere l’opinione pubblica contro ogni tipo di ricerca spaziale.

“Estende un’aura negativa su tutto il nostro settore e campo, quindi sono molto contraria a questo lavoro”, afferma.

Edelbroek sostiene che la sua azienda sta prendendo molto sul serio le questioni etiche. Mi ha detto che di recente ha aggiunto due consulenti specializzati in etica biomedica. Ha affermato che, nonostante sia un’azienda finanziata privatamente, SpaceBorn United intende seguire tutti gli standard legali ed etici riconosciuti a livello internazionale quando si tratta di richiedere il permesso di utilizzare embrioni umani.

Ma gli esperimenti sulla riproduzione non devono necessariamente coinvolgere campioni umani. Jeffrey Alberts vuole che diverse generazioni di animali come i ratti nascano nello spazio, vivano tutta la loro vita e si riproducano. Esperimenti di questo tipo non sono mai stati eseguiti e sarebbero la prova definitiva dell’esistenza di effetti multigenerazionali della vita nello spazio, una questione ancora aperta evidenziata dal rapporto delle National Academies.

I risultati di questi studi rivelerebbero molto sulla possibilità che gli insediamenti spaziali diventino una realtà. Ma per Edelbroek, il fatto che gli studi multigenerazionali sugli animali non siano mai stati approvati è la ragion d’essere della sua azienda. E anche se la sua ricerca potrebbe mettere a disagio alcune persone, per lui è importante superare i limiti.

“L’umanità ha sempre tratto beneficio dall’espansione della sua zona di comfort”, afferma. “E, secondo me, è bene continuare a farlo nello spazio”.

Scott Solomon è biologo e divulgatore scientifico. Insegna ecologia e biologia evolutiva alla Rice University di Houston. È conduttore del podcast Wild World With Scott Solomon e autore di Future Humans: Inside the Science of Our Continuing Evolution e di un libro di prossima pubblicazione per MIT Press su come la vita nello spazio influenzerà il corpo e la mente umana.

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