Il tempo è un bene prezioso

Il Photovoltaics Lab di Tonio Buonassisi sta accelerando lo sviluppo di nuovi materiali per celle solari utilizzando machine learning, robot e un buon vecchio lavoro di squadra.

di Cara Giaimo

Se vogliamo ridurre il consumo di combustibili fossili abbastanza da impedire al mondo di riscaldarsi in modo catastrofico, dobbiamo “estorcere” molta più energia al sole. Diversi gruppi di esperti, tra cui l’Intergovernmental Panel on Climate Change, hanno concluso che entro il 2030 dovremo ottenere circa un terzo dell’elettricità mondiale da fonti solari. 

In questo momento, a meno di un decennio dalla data stabilita, siamo a “circa un decimo dell’obiettivo”, afferma  Tonio Buonassisi, professore di ingegneria meccanica e responsabile del laboratorio fotovoltaico dell’Istituto. Per raggiungere l’obiettivo, dovremo accelerare notevolmente lo sviluppo dell’energia solare.

A tal fine, il PV Lab è stato continuamente riconfigurato negli ultimi anni poiché Buonassisi e i suoi colleghi hanno introdotto tutto ciò che potrebbe accelerare la ricerca di nuovi materiali solari, dai cronometri e test della personalità agli algoritmi di apprendimento automatico e ai robot di pipettaggio. 

Il risultato è un laboratorio che ha condensato processi che una volta richiedevano sei mesi o un anno in due settimane. L’analisi degli spettri di diffrazione dei raggi X che una volta richiedeva da due a tre ore può ora essere eseguita in poco più di 5 minuti. “Oggi la velocità è l’elemento centrale”, dice Buonassisi.

L’unità di pipettaggio ad alto rendimento del robot “chimico” di Buonassisi combina coloranti alimentari rossi, blu e gialli per creare colori specifici. Zakaria Zainal

Oltre il silicio

Il PV Lab ha iniziato a lavorare con algoritmi di apprendimento automatico nel 2012. “Non li abbiamo introdotti perché innovativi, ma li abbiamo scelti per il livello di produttività”, spiega Buonassisi, che comunque nel 2017 si è reso conto che il laboratorio stava fronteggiando richieste troppo complesse per rispondere con mezzi tradizionali. 

Il problema principale era come trovare valide alternative al silicio da usare per catturare l’energia solare. Al momento, il 95 per cento delle celle solari mondiali si basa su semiconduttori di silicio. Questo elemento è abbondante, si trova in quasi tutti i terreni fangosi e la sabbia, e le celle solari prodotte con esso sono relativamente efficienti e resistenti. Il pannello solare in silicio medio può convertire circa il 20 per cento dell’energia dalla luce solare che lo colpisce e può funzionare giorno dopo giorno per decenni senza rompersi. 

Ma trasformare il silicio nei sottili e puri wafer necessari per queste celle è costoso, relativamente difficile e ad alta intensità energetica. Spesso richiede anche materiali più rari, come l’argento. Esperti, tra cui Buonassisi, stanno lavorando per migliorare questi processi. Ma se si vuole rendere il solare una parte importante della rete, introdurre alcuni materiali più facili da produrre amplierà le possibilità e, dice Buonassisi, si potrebbe accelerare la concorrenza, favorendo l’innovazione e abbassando i prezzi su tutta la linea. 

Una promettente classe di materiali sono le perovskiti, composti naturali costituiti da un ossido doppio di Ca e Ti (CaTiO3), che ha la pecularietà di essere un ottimo conduttore. Le perovskiti sono più semplici e veloci da produrre rispetto ai wafer di silicio e potrebbe aprirsi la possibilità di ottenerne in grande numero, afferma Jim Serdy, membro di PV Lab. Diverse perovskiti possono anche essere impilate all’interno di una singola cella solare, per assorbire diverse lunghezze d’onda della luce e “spremere” più energia da ogni raggio di sole.

Se le perovskiti riescono a farsi strada nel mercato dell’energia solare, potrebbe essere “il percorso critico” per soddisfare il fabbisogno energetico mondiale in modo sostenibile, afferma Serdy. Ma se tutto ciò sarà possibile “dipende molto dalla rapidità con cui possiamo scoprire questi nuovi composti e le loro proprietà”. 

Un territorio ancora inesplorato

Potrebbero esserci migliaia di perovskiti che si adattano bene a diverse applicazioni. Ma la ricerca del materiale perfetto è un compito arduo perché deve mettere insieme la giusta combinazione di stabilità, efficienza ed economicità, e raggiungere dimensioni su larga scala.  In passato, gli scienziati che tentavano di scoprire o inventare un nuovo materiale sarebbero partiti da alcune ipotesi plausibili, avrebbero creato alcuni materiali in laboratorio, li avrebbero testati, utilizzando i risultati per riprovare. 

I ricercatori del PV Lab seguono ancora questa procedura di base, ma l’hanno sovralimentata. Gli algoritmi formati sulla conoscenza teorica e sui risultati precedenti li aiutano a fare ipotesi più avanzate. Inoltre, la sperimentazione ad alto rendimento e l’analisi automatizzata consentono loro di testare queste ipotesi più velocemente ed eseguire molti test in parallelo. Con tutti questi progressi, “siamo in grado di accelerare l’intero processo”, afferma la ricercatrice Shijing Sun, responsabile del fruppo per l’Accelerated Materials Development Program del laboratorio. 

La ricerca ad alta efficienza non solo accelera il ritmo della scoperta, ma rende anche le persone più audaci, afferma Buonassisi. “Quando si è bloccati in una modalità di bassa produttività, si tende a giocare sul sicuro”, dice. Se si sa di avere più possibilità, però, “si diventa più ambiziosi”.  Nell’autunno del 2018, per esempio, il team di Sun ha iniziato a cercare perovskiti più stabili (sebbene alcune celle solari in perovskite siano ora efficienti come quelle in silicio, tendono ad essere più inclini alla degradazione).

Hanno iniziato identificando quello che chiamano il loro “spazio di ricerca”, in questo caso un gruppo di 5.000 diversi materiali possibili da valutare, vale a dire tutte le combinazioni di cesio, metilammonio, formamidinio e ioduro di piombo, miscelate in proporzioni diverse e sintetizzate in modi diversi. 

Per il primo ciclo di indagine sperimentale, il gruppo ha chiesto a un algoritmo di selezionare 28 materiali che fornissero un ampio campione delle possibilità, afferma Sun. Dopo aver sintetizzato questi materiali, il team li ha sottoposti a strumenti e tecniche ad alto rendimento sviluppati da Serdy e da uno dei collaboratori tecnici del laboratorio, Janak Thapa. Questi strumenti consentono loro di testare rapidamente la stabilità dei materiali esponendoli a temperature e umidità elevate e illuminazione, esasperando le condizioni che potrebbero verificarsi su un tetto soleggiato. 

“Fondamentalmente li stiamo mettendo in una sauna”, dice la ricercatrice Armi Tiihonen. “Abbiamo puntato su un’accelerazione estrema, per far degradare rapidamente i materiali, perché non volevamo perdere mesi di tempo”. Per misurare la loro stabilità, il team ha sistemato le videocamere sui materiali, per scattare foto ogni cinque minuti. I perovskiti cambiano colore mentre si rompono, passando spesso dal quasi nero al giallo pallido. 

Dopo che i campioni hanno trascorso circa cinque giorni nella sauna, il team ha analizzato le foto per determinare il tasso di degrado di ciascun materiale (hanno anche analizzato alcuni dei campioni in modo più approfondito, utilizzando la diffrazione dei raggi X per confermare le osservazioni visive e analizzare come cambiava la struttura dei materiali quando si degradavano).  Quindi hanno riportato questi risultati al primo algoritmo e gli hanno chiesto di scegliere altri 28 materiali, alcuni simili a quelli che avevano avuto maggior successo nella fase sperimentale e altri da luoghi ancora inesplorati. 

“E’ facile prendere una decisione con 10 materiali”, dice Sun, “ma se ne hai 5.000, non riesco davvero a pensare come procedere”. Il team ha eseguito questo ciclo alcune volte: scegliendo i materiali tramite l’algoritmo, creando e testando campioni nel mondo reale e fornendo feedback all’algoritmo. Alla fine del quarto round, hanno trovato un gruppo di materiali 17 volte più stabili della perovskite più comunemente usata, nonché tre volte più stabili del precedente detentore del record del laboratorio, che avevano trovato attraverso mezzi più tradizionali (i loro risultati e metodi sono stati pubblicati a febbraio dalla rivista “Matter”).

Technologies being developed to promote sustainable energy. – Professor Tonio Buonassisi, right, and research scientist Dr. Shijing Sun in front of the solar cell fabrication facilities in MITÕs Photovoltaics Lab.

Altri progetti del PV Lab hanno avuto un successo simile. Nel 2019, il team di Sun ha deciso di cercare perovskiti senza piombo. Hanno identificato due materiali completamente nuovi, insieme a quattro che non erano mai stati realizzati prima nella forma a film sottile necessaria per l’uso nelle celle solari. “In passato, probabilmente ci sarebbe voluto più di un anno”, dice Buonassisi. Con i nuovi metodi, sono stati completati in due mesi.

In un altro esperimento, una cella solare in perovskite costruita con uno di questi nuovi materiali si è dimostrata più stabile in condizioni ambientali difficili rispetto alla migliore mai realizzata con i loro metodi precedenti, dimostrando che i miglioramenti in questi singoli materiali si trasferiscono ai dispositivi solari che li utilizzano. Il team “sta fondendo simulazione ed esperimento” per identificare e testare rapidamente materiali promettenti, afferma Buonassisi. “Ci stiamo avvicinando sempre di più al punto di essere in grado di immaginare qualcosa e poi di poterlo realizzare nella vita reale”.

Una vita spericolata

I ricercatori del laboratorio PV si muovono sempre a passo deciso. Nel 2020, dopo 10 anni di studio e lavoro tradizionali, Thapa ha iniziato ad approfondire l’apprendimento automatico e alla fine dell’anno era coautore del suo primo articolo sull’argomento. “La caratteristica del laboratorio è l’adattabilità”, spiega Sara Bonner, coordinatrice del programma del laboratorio, “nel senso che i membri imparano a fare tutto ciò di cui il gruppo ha bisogno. 

Questo livello di applicazione può portare a pratiche insolite. Anni fa, per capire come risparmiare tempo, il laboratorio ha preso in prestito uno strumento dai piani di fabbrica dei primi anni del XX secolo: “Abbiamo cronometrato ogni fase del processo di laboratorio”, dice Buonassisi . Sulla base di questa analisi, hanno ottimizzato i loro metodi e investito in nuove attrezzature. Hanno migliorato l’efficienza della preparazione dei campioni del 350 per cento, passando da ventotto minuti per campione nel 2015 a circa otto nel 2018. 

Più recentemente, Buonassisi ha chiesto a tutti in laboratorio di fare test di personalità, in modo che potessero imparare a definire i punti di forza l’uno dell’altro e lavorare meglio insieme. “Se dedichiamo il tempo allo sviluppo di questo set di strumenti che ci consente di collaborare in modo più produttivo, possiamo risolvere un numero 10 volte maggiore di problemi”, egli afferma. 

Il team continua a cercare i colli di bottiglia nel processo e ad ampliarli come possibile. Negli ultimi anni, Buonassisi ha trascorso molto tempo a Singapore come parte dell’Alliance for Research and Technology con il MIT. Questa collaborazione prevede l’utilizzo di robot in grado di eseguire alcuni dei passaggi nella pipeline di ricerca del laboratorio. A Singapore, per esempio, un robot mescola diverse sostanze chimiche nelle composizioni necessarie per la produzione dei campioni in modo più rapido e preciso di quanto un ricercatore potrebbe fare manualmente. 

Può eseguire i passaggi fisici essenziali da quattro a dieci volte più velocemente di una persona e la sua precisione aiuta a migliorare la riproducibilità. Inoltre, questo robot può essere controllato a distanza, in modo che i membri del laboratorio o i collaboratori possano “mettere in coda i lavori ed eseguirli”, afferma Buonassisi. Nel frattempo, lui e alcuni collaboratori stanno anche lavorando a uno strumento ad altissima produttività che aiuterà i ricercatori nel suo laboratorio del MIT a sfruttare più strumenti contemporaneamente.

Anche se le macchine sono più veloci, gli esseri umani hanno una maggiore adattabilità. L’utilizzo di robot e strumenti simili quando sono utili, piuttosto che automatizzare tutto, consente al laboratorio di accelerare, preservando la “flessibilità prodotta dall’uomo” che Buonassisi afferma è particolarmente importante per la ricerca e sviluppo nella fase iniziale. 

Ma la massima accelerazione, dice, arriva quando altri adottano questi metodi e li migliorano. Il PV Lab rende open source tutto ciò che fa, dagli algoritmi per la ricerca della stabilità ai progetti per le macchine, al fine di “motivare altre persone a lavorare su di loro. Non abbiamo a disposizioni un tempo infinito”, conclude.

Immagine: Questo “robot chimico” con cui lavora il professor Tonio Buonassisi a Singapore utilizza l’apprendimento automatico per mescolare le sostanze chimiche nei campioni. Di Zakaria Zainal

(rp)

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