Il Metaverso esiste da quasi due secoli

Una gigantesca realtà virtuale in cui immergersi. L’idea esisteva già nelle varie esposizioni universali dell’Ottocento, ed era già stata raccontata in diversi romanzi. Oltre che dall’immaginario Cyberpunk

di Genevieve Bell

Il metaverso è passato da un termine di nicchia a un nome familiare in meno di un anno. La sua metamorfosi è iniziata nel luglio del 2021, quando Facebook ha annunciato che avrebbe dedicato il prossimo decennio a sviluppare questo mondo digitale coinvolgente e ricco che combina aspetti dei social media, dei giochi online e della realtà aumentata e virtuale. 

“La qualità che definisce il metaverso sarà una sensazione di presenza, come se fossi lì con un’altra persona o in un altro posto”, ha scritto il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, immaginando una creazione che dovrebbe “raggiungere un miliardo di persone, ospitare centinaia di miliardi di dollari di commercio digitale e sostenere i lavori per milioni di creatori e sviluppatori“. 

Alla fine del 2021, una serie di altre grandi aziende tecnologiche americane, tra cui Microsoft, Intel e Qualcomm, avevano tutte dei piani articolati per il metaverso. Durante il Consumer Electronics Show, a gennaio, ogni espositore aveva un angolo dedicato a questo mondo di realtà virtuale: giubbotti aptici, trucchi di bellezza per gli avatar, furgoni virtuali. 

Ci sono state anche conversazioni più ampie su quale forma potrebbe o dovrebbe assumere il metaverso, in termini di capacità tecniche, esperienze utente, modelli di business, accesso e regolamentazione e, in misura minore, sulle sue finalità. Ma saremmo negligenti se non facessimo un passo indietro per chiederci, non cos’è il metaverso o chi ne farà parte, ma da dove viene, sia in senso letterale sia nelle prospettive ideali che incarna. Chi l’ha inventato, se è stato davvero inventato? Che dire dei mondi precedenti costruiti, immaginati, aumentati o virtuali? Quali pericoli si corrono

Il futuro è uno spazio di reinvenzione e possibilità,  intimamente connesso al nostro presente e al nostro passato. Le storie, più che semplici retroscena, sono le colonne portanti, i progetti e le testimonianze dei territori che sono già stati attraversati. Conoscere la storia di una tecnologia, o le idee che incarna, può aiutare a porsi le domande giuste, a rivelare potenziali insidie. Il metaverso, che non è così nuovo come sembra, non fa eccezione. 

Ma da dove arriva? Una risposta comune è che viene dal romanzo di fantascienza di Neal Stephenson del 1992 Snow Crash, che descrive una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar. Nella Los Angeles del XXI secolo del libro, il mondo è disordinato, pieno di disuguaglianze sociali, sessismo, razzismo, comunità chiuse, sorveglianza, ipercapitalismo, megacorporazioni febbrili e polizia corrotta. 

Naturalmente, anche il metaverso del romanzo è disordinato. Anch’esso è ricco di disuguaglianze sociali e sfruttamento. Non tutti possono permettersi larghezza di banda, elettricità e potenza di calcolo. Coloro che dispongono di mezzi possono avere rendering digitali elaborati e personalizzati, altri devono accontentarsi di semplici schizzi piatti: i pacchetti “Brandy” e “Clint”.

Nei tre decenni trascorsi dalla pubblicazione di Snow Crash, molte delle basi del mondo virtuale di Stephenson, come i social network e l’intelligenza artificiale, si sono materializzate, e il metaverso, come altre idee prefigurate nella tradizione cyberpunk, si è fatto strada nel cinema, con film recenti come Ready Player One e Free Guy, e ha plasmato gran parte del panorama digitale attuale. Tuttavia, ritengo che il metaverso vada ben oltre al semplice Snow Crash.

In effetti, le conversazioni di oggi sul metaverso mi ricordano molto le conversazioni che avevamo quasi 20 anni fa su Second Life, un mondo nato nel 2003 da un’idea del fisico Philip Rosedale di Linden Lab, che ha riconosciuto di essere stato ispirato da Snow Crash. Come Rosedale ha avuto modo di dire, “Second Life doveva essere un mondo online 3D originale e di proprietà dei suoi utenti”. Ha avuto un enorme successo. All’inizio degli anni Duemila, milioni di persone si sono riversate sulla piattaforma e hanno creato una loro vita virtuale. Ma ben presto si è scontrato con il mondo reale e sono emerse preoccupazioni su valute legali, riciclaggio di denaro e prostituzione. 

Un salto nel passato

Tuttavia, penso che ci siano anche storie precedenti che potrebbero informare il nostro pensiero. Prima di Second Life. Prima della realtà virtuale e aumentata. Prima del web e di internet. Prima di cellulari e personal computer. Prima della televisione, della radio e dei film. Prima di tutto questo, nell’Hyde Park di Londra, nel 1851 sorse un enorme edificio in ferro e vetro. 

Luci ad arco e presse idrauliche (alimentate da un motore a vapore nascosto), telegrammi elettrici, un prototipo di fax, uccelli meccanici su alberi artificiali, un sottomarino, pistole, le prime sculture di dinosauri a grandezza naturale e realistiche, gomma vulcanizzata di Goodyear, dagherrotipi di Matthew Brady, persino i primi bagni pubblici britannici con lo sciacquone. Oltre 100.000 manufatti provenienti da diversi paesi erano distribuiti su 92.000 metri quadrati di luccicanti recinti di vetro: il Crystal Palace, come lo soprannominò una rivista satirica.

La Grande Esposizione delle Opere dell’Industria di Tutte le Nazioni, come era formalmente noto l’evento straordinario, nacque da un’idea del Principe Alberto, l’amato consorte della Regina Vittoria, che nel suo discorso di apertura lanciò un messaggio preciso: “È mio ansioso desiderio promuovere tra le nazioni la coltivazione di tutte quelle arti che sono incoraggiate dalla pace e che a loro volta contribuiscono a mantenerla viva”. Anche se l’idea del grande impero era probabilmente già in crisi, l’Esposizione Universale riguardava l’affermazione del potere e una visione per il futuro moderno e industrializzato della Gran Bretagna che avrebbe avuto bisogno di colonie in tutto il mondo per realizzarsi

Certo, Londra era già una città che ospitava eventi di ogni tipo. Charles Babbage era interessato al Museo Meccanico di Merlino, con i suoi numerosi automi. Altri prediligevano i diorami della Terra Santa e di Parigi. L’Esposizione Universale non era solo uno spettacolo, ma un intero mondo dedicato al futuro, in cui quasi chiunque poteva immergersi. Era qualcosa di imponente. 

Ai suoi tempi, ebbe molti critici. Alcuni erano preoccupati per gli olmi secolari di Hyde Park che si trovavano racchiusi nell’enorme struttura, altri temevano problemi per la resistenza alla trazione di tutto quel vetro. Sulla stampa, qualcuno descrisse l’evento come “uno dei più grandi imbrogli, frodi e assurdità mai conosciuti”. Alla Camera del Parlamento, vennero messe in dubbio le motivazioni del principe Alberto, citando il suo status di principe straniero e suggerendo che l’Esposizione Universale fosse solo un esercizio pubblicitario per incoraggiare e forse mascherare l’aumento dell’immigrazione in Gran Bretagna. Altri ancora sostennero che l’evento avrebbe attirato borseggiatori, prostitute e spie e chiesero che fossero presenti 1.000 poliziotti in più. 

Non sorprende che le previsioni disastrose fossero esagerati e, durante quell’estate soleggiata, persone provenienti da tutta la Gran Bretagna, approfittando della rete ferroviaria in rapida espansione, si riversarono nell’enorme casa di vetro nel parco. Gli organizzatori fissarono i biglietti d’ingresso a uno scellino, il che lo rese accessibile l’evento alle classi lavoratrici britanniche. “Vedere il mondo per uno scellino” era un ritornello comune quell’estate. 

Una frazione sorprendente della comunità letteraria e scientifica dell’epoca si recò al Crystal Palace. Charles Dickens, Charles Dodgson (il futuro Lewis Carroll), Charles Darwin, Karl Marx, Michael Faraday, Samuel Colt, Charlotte Brontë, Charles Babbage e George Eliot. Dickens rimase sconcertato, mentre Brontë scrisse: “E’ come se mani soprannaturali avessero organizzato un tale tripudio di colori ed effetti meravigliosi” e Dodgson ribadì: “ Sembra una specie di paese delle fate”.

La Grande Esposizione chiuse i battenti il 15 ottobre 1851. Nel corso dei suoi cinque mesi e mezzo, si stima, oltre 6 milioni di persone visitarono il Crystal Palace (all’epoca , la popolazione totale della Gran Bretagna era di soli 24 milioni). Anche i profitti furono notevoli: circa 186.437 sterline (più di 31 milioni di euro al valore attuale). Parte di essi furono destinati all’acquisto di un terreno a South Kensington per creare l’attuale quartiere dei musei di Londra. 

Un’altra parte venne destinato a un fondo che garantisce ancora borse di studio per la ricerca scientifica. Il Crystal Palace fu smontato nell’inverno del 1851 e trasportato in un nuovo sito, dove avrebbe continuato a mostrare ogni sorta di meraviglie fino a quando un incendio catastrofico nel 1936 lo ridusse a uno scheletro di ferro fumante. Volendo, è possibile ammirare virtualmente il Crystal Palace sul sito Royal Parks

L’Esposizione Universale ha dato il via a più di un secolo di esposizioni mondiali. In America, nel 1893, si tenne la Fiera Colombiana di Chicago, un’intera città con più di 200 strutture appositamente costruite, imbiancate a calce e scintillanti, che mettevano in mostra tecnologie varie come una cucina completamente elettrica con lavastoviglie, un’incubatrice elettrica per pollame, un sismografo, il cinetoscopio di Thomas Edison, proiettori, telegrafia in codice Morse, generatori di corrente multifase, tappeti mobili e la prima ruota panoramica al mondo. Oltre un quarto degli americani partecipò all’evento in meno di sei mesi.

Se la Grande Esposizione del 1851 aveva celebrato la potenza del vapore, la cosiddetta Città Bianca era tutta incentrata sull’elettricità. Nomi che presto sarebbero diventati familiari come General Electric, Western Electric e Westinghouse mostravano le loro tecnologie e le loro visioni per il futuro della democrazia americana e del capitalismo americano. Disuguaglianza razziale e mitizzazione dell’individualismo americano erano ovunque in mostra. C’era, ad esempio, un edificio dedicato alla vita delle donne americane, ma non uno per gli afroamericani, come riportato nel loro libro da Ida B. Wells e Frederick Douglass, che sostenevano l’opportunità di celebrare il contributo degli afroamericani in linea con il Proclama di emancipazione di Abraham Lincoln.

La Città Bianca ha anche inaugurato un nuovo tipo di spettacolo. Al Midway Plaisance, un tratto di parco lungo un miglio ai margini del sito espositivo, era possibile vedere le persone in mostra in diorami viventi, mescolati con attività collaterali e stand gastronomici dedicati. Si trattava di gran lunga della destinazione più popolare della Città Bianca, che generò un profitto significativo: 4 milioni di dollari nel 1893, o ben oltre i 100 milioni di dollari al valore attuale. 

Un filo comune

La Midway avrebbe a sua volta ispirato la creazione di Coney Island a New York e, in definitiva, di Disneyland in California. L’influenza di questo tipo di eventi sulla nostra immaginazione non deve essere sottovalutata. Proprio come c’è una linea retta dalla Midway a Coney Island a Disneyland, c’è una linea retta dalla Città Bianca alla Fiera Universale di New York del 1939 al Consumer Electronics Show. Possiamo anche tracciare una linea tra la Grande Esposizione e il metaverso di oggi. 

Come il mondo virtuale che i promotori del metaverso promettono, l’Esposizioni Universale del 1851 era un mondo nel mondo, pieno degli splendori del suo tempo e delle promesse sul futuro. Ma se è vero che ha aperto nuovi spazi di possibilità – e profitto – ha anche amplificato e riprodotto le strutture di potere esistenti attraverso le sue scelte di mostre ed espositori, la sua dipendenza dalla Royal Society per l’allestimento e la sua costante cancellazione della realtà coloniale

La mostra ha sfruttato la potenza del vapore e della telegrafia per portare i visitatori in uno spazio sconosciuto, mascherando l’impatto di tale potenza tecnologica, con motori e tubi nascosti sottoterra. Si è trattato di un gioco di prestigio deliberato. Se Brontë vedeva la magia, non il potere, la xenofobia e il nazionalismo, era quello che doveva vedere. 

Penso che la storia dei vari proto-metaversi dovrebbe renderci più scettici su qualsiasi pretesa riguardante il potere emancipativo della tecnologia e delle piattaforme tecnologiche. Dopotutto, ognuno di loro ha incontrato e riprodotto vari tipi di iniquità sociali, anche se si è sforzato di non farlo, e molti hanno creato problemi che i loro progettisti non avevano previsto. Eppure questa storia dovrebbe anche permetterci di essere aperti alle possibilità di invenzioni e innovazioni meravigliose e inaspettate, e dovrebbe ricordarci che il metaverso significherà cose diverse per persone diverse.

Il metaverso non sarà mai fine a se stesso. Piuttosto, sarà molte cose: uno spazio di esplorazione, una porta, un’ispirazione o anche un rifugio. Qualunque cosa diventi, sarà sempre in dialogo con il mondo che l’ha costruito. Gli architetti del metaverso dovranno avere un occhio al mondo al di là del virtuale. E nel XXI secolo, questo significherà sicuramente molto di più che preoccuparsi degli olmi secolari e della resistenza alla trazione del vetro. Ci obbligherà a riflettere profondamente sul nostro potenziale e sui nostri limiti come creatori di nuovi mondi.

Genevieve Bell è direttrice della School of Cybernetics dell’Australian National University di Canberra.

Immagine di: J. McNeven, Wikimedia Commons

(rp)

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