Il covid-19 potrebbe cambiare la storia dell’assistenza sanitaria

Dopo quasi tre decenni di proselitismo, Lee Hood crede che la pandemia possa finalmente consentire l’affermarsi della sua visione di una medicina personalizzata e di precisione per tutti.

di Adam Piore

Negli anni 1990, Lee Hood, un tecnologo e immunologo famoso per aver co-inventato il sequenziatore di DNA automatizzato, fece una previsione audace: entro il 2016, tutti gli americani avrebbero portato con sé una scheda dati con i loro genomi personali e le loro storie mediche dettagliate, in modo che all’arrivo in un ospedale o in uno studio medico, l’avrebbero presentata a un medico, che poteva semplicemente inserirla in un computer e capire cosa aveva di fronte. 

Venticinque anni dopo, la visione di Hood di un’assistenza sanitaria di precisione basata su dati personalizzati sembra ancora molto lontana. Peccato, perché avremmo potuto davvero usarlo nella lotta alla pandemia di covid-19. 

Nessuno può spiegare con certezza perché individui apparentemente simili rispondono in modi così diversi allo stesso agente patogeno. Perché alcuni di noi hanno solo il naso che cola e altri finiscono attaccati a un ventilatore? Come può il virus attaccare i polmoni di un paziente, il cuore di un altro e il sistema nervoso di un terzo? Perché alcuni hanno problemi persistenti, mentre altri si riprendono completamente? Perché ci sono gli asintomatici?

Probabilmente avremmo già risolto questi misteri se i primi pazienti con covid fossero arrivati all’ospedale con le tessere mediche di Hood corredate di dati sanitari. “Penso che saremmo molto più avanti rispetto a dove siamo adesso”, egli dice. Ma Hood, che ha 83 anni, non si è mai soffermato su ciò che avrebbe potuto essere. Conosciuto per la sua ambizione scientifica e la sua impazienza, ha lasciato un lavoro universitario sicuro e di ruolo a 61 anni per cofondare l’ Institute for Systems Biology (ISB), un centro di ricerca biomedica senza scopo di lucro, a Seattle.

A suo parere, la pandemia è un’opportunità per mostrare il potere dei dati per aiutarci a comprendere la malattia e spera che contribuirà a trasformare l’assistenza sanitaria. Hood, come molti altri ricercatori che da tempo sostengono la necessità di un tale cambiamento, sostiene che il nostro approccio alla medicina è troppo rigido. In generale, le persone con la stessa malattia ricevono terapie identiche. Ciò non tiene conto delle grandi differenze tra i genomi e il sistema immunitario di persone diverse. Ma il sogno della vera medicina di precisione si è impantanato in un sistema sanitario lento e recalcitrante, dove i dati dei pazienti sono spesso visti più come un fastidio che come un vantaggio. 

Il diluvio di dati del covid

Lo scorso marzo, Hood e il presidente dell’ISB, Jim Heath, hanno lanciato un’iniziativa ambiziosa per rispondere alla domanda sul perché le persone reagiscano in modo così diverso al covid-19. Il loro studio si preannuncia come una delle analisi più complete al mondo sulla risposta immunitaria umana al virus. Il team dell’ISB ha raccolto numerosi campioni di sangue da ciascuna delle diverse centinaia di pazienti covid ospedalizzati mentre procedevano attraverso le varie fasi della malattia. 

Successivamente, i ricercatori hanno monitorato la risposta immunitaria di ogni paziente fino al livello molecolare, analizzando un totale di 120.000 variabili. Hanno esaminato diversi tipi di cellule immunitarie, determinato se le cellule erano attivate, esaurite o quiescenti e valutato le caratteristiche distinte delle proteine sulla superficie di quelle cellule che consentono loro di legarsi e attaccare il virus. 

Il team dell’ISB ha anche sequenziato i genomi dei pazienti, estratto le storie mediche elettroniche, analizzato i loro profili proteici completi e i “metabolomi” (l’insieme di varie molecole diverse dalle proteine nei campioni) e applicato i più recenti modelli di riconoscimento e tecniche di apprendimento automatico per confrontare i pazienti tra loro e con persone sane di età simili.

I primi risultati di questo vasto tentativo sono apparsi sulla rivista “Cell” lo scorso autunno e contenevano alcune intuizioni sorprendenti. Il più notevole è stato il fatto che, man mano che alcuni pazienti progrediscono da stadi lievi a moderati della malattia, subiscono un cambiamento: una diminuzione della disponibilità dei metaboliti chiave necessari per alimentare un’efficace risposta immunitaria. In breve, il corpo sembra esaurire le materie prime necessarie per reagire. Ciò significa che qualcosa di semplice come cambiamenti nella dieta o integratori alimentari potrebbe aiutare a rinforzare un sistema immunitario debole.

“Non c’è niente di più personale del sistema immunitario”, afferma Mark Davis, immunologo di Stanford e collaboratore dello studio. Davis osserva che il nostro sistema immunitario è altamente plastico e reattivo alle esperienze passate, tanto che il 70 per cento dei suoi componenti misurabili differisce tra gemelli identici già un paio d’anni dopo la nascita. 

Davis crede che la chiave per capire perché il covid colpisce le persone in modi così vari è identificare le differenze tra il sistema immunitario di coloro che combattono con successo la malattia e quelli che soccombono. Tali differenze potrebbero variare per fattori semplici, per esempio se qualcuno è stato esposto ad altri coronavirus in passato, o fattori complessi come le variazioni geneticamente determinate nel modo in cui alcune cellule mostrano frammenti di proteine virali sulla loro superficie per il monitoraggio da parte delle cellule immunitarie circolanti. Queste proteine possono influenzare la probabilità che la cellula immunitaria riconosca la presenza di un pericoloso agente patogeno, dia l’allarme e mobiliti un esercito di anticorpi per attaccare.

“Ora c’è una marea di dati, di qualità migliore rispetto a quelli passati”, spiega Davis. Un vantaggio per la scienza, di sicuro. Ma lo studio dell’ISB cambierà il modo in cui i pazienti vengono curati e ci aiuterà a prepararci per future pandemie? Hood è ottimista. “Quello che sta succedendo convalida assolutamente tutto ciò che ho sostenuto negli ultimi 20 anni”, egli dice. 

Gli strumenti necessari

Hood ha dato un importante contributo all’immunologia all’inizio della sua carriera, dopo aver frequentato medicina e ottenuto il suo dottorato presso il Caltech. Ha contribuito a risolvere il mistero di come il corpo possa produrre circa 10 miliardi di varietà di anticorpi, proteine a forma di Y che possono legarsi alla superficie esterna di un patogeno invasore dalla forma distinta e distruggerlo con la specificità di un missile guidato. 

Nonostante il suo successo iniziale, Hood ha riconosciuto fin dall’inizio che senza grandi progressi tecnologici, non avrebbe mai risposto alle domande biologiche di fondo sul sistema immunitario, vale a dire quelle che rivelano cosa c’è dietro la sua collezione straordinariamente complessa di tipi di cellule e proteine. Per capire come tutte queste parti lavorano insieme, Hood si rese conto che gli immunologi avrebbero prima dovuto riconoscerle, caratterizzarle e misurarle. 

Con Hood, il laboratorio Caltech ha svolto un ruolo chiave nello sviluppo di un’ampia gamma di strumenti che avrebbero consentito ai biologi di leggere e scrivere sequenze di amminoacidi e macchine in grado di mettere insieme i nucleotidi del DNA (le lettere del codice genetico). Nel 1986, ha contribuito a inventare il sequenziatore di DNA automatizzato, una macchina in grado di leggere rapidamente i nucleotidi nel genoma e determinarne l’ordine, aprendo la strada al Progetto Genoma Umano, una ricerca durata 13 anni e costata 3 miliardi di dollari per produrre la prima bozza di un genoma umano completo. 

Negli anni che sono seguiti, Hood ha appoggiato una visione di un tipo di assistenza sanitaria che si basasse sui nuovi strumenti della biologia molecolare per raccogliere dati dai singoli pazienti: sequenze genomiche e inventari completi delle proteine circolanti nel sangue. Egli auspicava di analizzare questi dati, utilizzando i primi sistemi di apprendimento automatico e riconoscimento di modelli per estrarre schemi e correlazioni significative. Le informazioni avrebbero dovuto essere sfruttate per prevenire le malattie molto prima di quanto fosse possibile in precedenza. 

Tutto aveva un perfetto senso scientifico. Ma quasi due decenni dopo il completamento del Progetto Genoma Umano nel 2003, e nonostante i molti progressi nelle scienze genomiche e nella scienza dei dati, la prevista rivoluzione di Hood nella sanità non è ancora arrivata. A suo parere, è dipeso dal fatto che gli strumenti erano costosi. Ora, però, un genoma può essere sequenziato per 300 dollari o meno. Inoltre, dice Hood, i ricercatori hanno ottenuto l’accesso a strumenti computazionali “che possono davvero integrare i dati e trasformarli in conoscenza”. 

Ma il più grande ostacolo è che il sistema sanitario è inefficiente e resistente al cambiamento. C’è una “mancanza di comprensione di quanto sia importante ottenere diversi tipi di dati e integrarli”, afferma Hood. “La maggior parte dei medici ha frequentato la facoltà di medicina cinque o dieci o venti anni fa e non ha mai sentito parlare di tutto questo”. “Il cambiamento richiede tempo, quindi si devono persuadere i dirigenti e i medici che è nel loro interesse”, egli spiega. “Questa operazione si è rivelata molto più difficile di quanto pensassi”.

Lezioni pandemiche

In questi giorni, Hood sta ancora spingendo al massimo e, nonostante gli anni di frustrazione, tende all’ottimismo. Una delle ragioni della sua rinnovata speranza è che finalmente ha pronto accesso ai pazienti e ai finanziamenti per iniziare il suo prossimo grande esperimento. Nel 2016, ISB si è fusa con Providence Health & Services, di Seattle, un’enorme rete con 51 ospedali, miliardi di dollari in contanti e il desiderio di sviluppare un programma di ricerca più solido. 

Jim Heath, presidente dell’Institute for Systems Biology. Ian Allen

Subito dopo la fusione, Hood si è impegnato ad avviare il Million Person Project, per applicare la fenotipizzazione e l’analisi genetica a un milione di persone. Nel gennaio 2020, Hood ha avviato un progetto pilota, dopo aver reclutato 5.000 pazienti e ha iniziato a sequenziare i loro genomi. 

Poi i primi casi di covid hanno inziato ad arrivare in ospedale.  Hood e Jim Heath hanno avuto una videochiamata con Roger Perlmutter, un membro del consiglio di ISB che sovrintendeva al budget di ricerca di 10 miliardi di dollari del colosso farmaceutico Merck. Hanno discusso di ciò che si sapeva sulla misteriosa nuova malattia e, cosa più importante, di quali domande scientifiche richiedessero con urgenza una risposta. Non ci è voluto molto perché il trio di scienziati si concentrasse sulla sfida. 

“La domanda immediata allora, e anche ora, era perché ci sono molte persone infette, ma solo poche si ammalano in modo molto, molto serio?”, dice Perlmutter. “Qual è la natura del passaggio da quella che è spesso un’infezione asintomatica o lievemente sintomatica a una malattia dall’esito catastrofico? Come possiamo capirlo dal punto di vista della biologia cellulare molecolare?”.

A Providence, che si stava riempiendo di pazienti con covid, l’urgenza era altrettanto palpabile. Il team dell’ISB ha iniziato a raccogliere dati per caratterizzare le risposte immunitarie dei pazienti con specificità senza precedenti. Ciò è accaduto perchè Heath e il suo team avevano già una efficace serie di strumenti adatti allo scopo, in quanto stavano studiando pazienti con cancro ovarico e del colon-retto in pericolo di recidiva, nella speranza di sviluppare immunoterapie migliori per curarli.

“Di solito”, dice Hood, “un processo del genere avrebbe richiesto almeno sei mesi per essere messo in atto, ma in due o tre settimane era attivamente in corso. Stavamo reclutando pazienti, prelevando il sangue e iniziando a testarli”.  Sebbene il progetto Million Person sia stato temporaneamente interrotto quando è arrivato il covid, Hood non si è perso d’animo per il lungo periodo. “L’emergenza del covid mi ha reso possibile raccogliere una cifra molto vicina ai 20 milioni di dollari per svolgere questi studi”, egli spiega. 

“Una parte è stata utilizzata per costruire piattaforme computazionali e coinvolgere scienziati per la raccolta di dati chiave. Una volta passato il covid, tutte queste persone”, continua Hood, “potranno contribuire direttamente al Million Person Project per tutta una serie di malattie”. Tale previsione è in pieno stile Hood, modellata sia dalla sua ambizione sia dal suo infinito entusiasmo, anche dopo quasi 30 anni di difesa della medicina personalizzata con apparentemente pochi progressi.

Anche se la sua grande visione si realizzerà, sarà troppo tardi per salvarci dalle conseguenze più disastrose del covid-19. Ma Hood chiaramente apprezza l’opportunità che la pandemia ha creato. “Il covid ha dimostrato, chiaramente, che si possono davvero fare le cose alla velocità della luce se si è pressati dall’urgenza”, egli conclude. “Di solito ci vuole un’eternità per fare le cose. Ma durante una crisi la burocrazia viene messa da parte”.

Immagine: Lee Hood, Ian Allen

(rp)

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