Cos’è la geoingegneria e come ci riguarda 

Con la minaccia dei cambiamenti climatici sempre più pressante, è probabile che si senta sempre più parlare del potenziale e dei pericoli della geoingegneria.

di James Temple

È sempre più chiaro che non riusciremo a ridurre le emissioni di anidride carbonica in tempo utile a prevenire cambiamenti climatici catastrofici. Potrebbero però esserci altri modi per raffreddare il pianeta rapidamente e ritagliarci il tempo necessario a lasciarci alle spalle i combustibili fossili.

La geoingegneria, un tempo tabù scientifico, vede ora un numero crescente di ricercatori testare simulazioni al computer e proporre esperimenti all’aperto su piccola scala. Persino alcuni legislatori hanno iniziato a discutere un possibile ruolo per queste tecnologie.

Il campo della geoingegneria spazia dallo sviluppo di tecnologie atte a riassorbire l’anidride carbonica in eccesso nell’atmosfera perchè accumuli meno calore, alla creazione di strumenti che permettano di riflettere più luce solare via dal pianeta così da prevenire prevenire l’accumulo di calore. 

Nel caso delle tecnologie per la “rimozione del carbonio” o “tecnologie per le emissioni negative”, gli scienziati sono ora concordi: è necessario svilupparle e farne uso per evitare pericolosi livelli di riscaldamento. Non vengono più etichettate con il termine di “geoingegneria” per evitare l’associazione con il secondo genere di tecnologie, più controverse, di geoingegneria solare. 

Le tecnologie di geoingegneria solare includono idee come installare scudi solari nello spazio o disperdere particelle microscopiche nell’aria in vari modi per rendere le nuvole costiere più riflettenti, dissipare i cirri che intrappolano il calore o diffondere la luce solare nella stratosfera. 

La parola geoingegneria dà l’idea di una tecnologia capace di agire su scala planetaria, ma alcuni ricercatori hanno esaminato la possibilità di condurre interventi localizzati, alla ricerca di metodi per proteggere barriere coralline, boschi di sequoie costiere o le calotte polari. L’idea non è nuova. Nel 1965, il comitato consultivo scientifico del presidente Lyndon Johnson avvertì della possibile necessità di aumentare la riflettività della Terra per compensare l’aumento delle emissioni di gas serra. Il comitato suggerì addirittura di spargere particelle riflettenti tra gli oceani. 

La forma di geoingegneria solare più nota prevede la dispersione di particelle nella stratosfera. La tecnica prende il nome di “iniezione stratosferica” o “scattering stratosferico di aerosol”. Casi naturali ne dimostrano il potenziale. La massiccia eruzione del Monte Pinatubo nell’estate del 1991 riversò nell’atmosfera circa 20 milioni di tonnellate di anidride solforosa: riflettendo la luce solare nello spazio, le particelle nella stratosfera contribuirono ad un calo delle temperature globali di circa 0,5 ° C per i due anni successivi. Il climatologo sovietico Mikhail Budyko è considerato il primo ad aver suggerito che potremmo contrastare il cambiamento climatico imitando questo fenomeno vulcanico. L’idea non attirò l’attenzione dei più fino all’estate del 2006, quando venne promossa dal chimico atmosferico e Premio Nobel Paul Crutzen.

A dispetto dell’interesse dell’amministrazione Trump, però, la geoingegneria non può però essere considerata una soluzione definitiva e alternativa al taglio delle emissioni. Non influisce minimamente su problemi come l’acidificazione degli oceani o il notevole danno ambientale derivato dall’estrazione e dalla combustione di combustibili fossili. Non solo, livelli elevati di geoingegneria potrebbero scatenare nuove interferenze con il sistema climatico.

Gli effetti della geoingegneria vengono studiati tramite simulazioni al computer o piccoli esperimenti di laboratorio. Secondo i risultati di queste simulazioni indicano che l’utilizzo di tecniche di geoingegneria potrebbe ridurre le temperature globali e l’innalzamento dei livelli dei mari, tra le altre cose. Tra le controindicazioni, da alcuni studi emerge che alte dosi di determinate particelle potrebbero danneggiare lo strato protettivo di ozono, alterare i modelli di precipitazione globali e ridurre la crescita delle colture in alcune aree.

Gli esperimenti sul campo sono stati pochi. Il primo risale al 2009, quando scienziati russi spruzzarono particelle fino a 200 metri di altezza. Secondo gli scienziati, l’esperimento avrebbe ridotto notevolmente la quantità di luce solare che raggiungeva la superficie. Ricercatori della Harvard si apprestano a lanciare prossimamente l’esperimento di geoingegneria più formale mai condotto. I ricercatori ci tengono a sottolineare che nessuno di questi esperimenti rappresenta un vero intervento di geoingegneria: le quantità di materiale coinvolte sono troppo piccole per alterare le temperature globali. Ad oggi, nessuno ha mai veramente condotto interventi intenzionali di geoingegneria su scala planetaria. 

Si potrebbe dire che bruciare enormi quantità di combustibili fossili è una forma di geoingegneria stupida oltre che involontaria. L’inquinamento da zolfo generato dalle centrali a carbone e delle navi ha probabilmente ridotto, involontariamente, le temperature globali.  Stati Uniti e Cina, ad esempio, per anni hanno diffuso tra le nuvole particelle che avrebbero dovuto aumentare le precipitazioni, con risultati discussi.

Una tecnologia che non conosce confini nazionali apre questioni geopolitiche complesse, se non insormontabili. Chi dovrebbe decidere, e chi dovrebbe avere voce in capitolo, sulla possibilità di procedere interventi del genere? Come scegliere una temperatura media globale che influenzerà nazioni diverse in modi molto diversi? C’è il rischio di scatenare guerre e conflitti? C’è chi critica l’idea di contrastare un elemento inquinante con un altro o il tentativo di riparare un danno tecnocratico con una soluzione tecnocratica. Modelli a computer ed esperimenti, limitati dalle nostre stesse conoscenze imperfette, non possono veramente prevedere le conseguenze di interventi condotti su scala globale. 

Gli stessi scienziati che studiano applicazioni di geoingegneria si professano ambivalenti e riconoscono apertamente che non si tratta delle soluzioni migliori ai cambiamenti climatici. Sono spinti dalla consapevolezza che la società sta promuovendo livelli pericolosi di riscaldamento e condizioni meteorologiche estreme continuando a costruire centrali elettriche, veicoli e città che pomperanno gas effetto serra per i decenni a venire. Per questo motivo un numero crescente di accademici afferma che sarebbe irresponsabile non esplorare possibilità che potrebbero potenzialmente salvare molte, molte vite, così come specie ed ecosistemi, purché siano affiancate a serie politiche per la riduzione delle emissioni. 

Presto, i pericoli associati alle applicazioni di geoingegneria potrebbero apparire meno rilevanti messi a confronto con carestie, inondazioni, incendi, estinzioni e migrazioni di massa.

Foto: Archivi USGS

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