Eliminare i combustili fossili, serve ma non basta

Oltre la metà della popolazione mondiale sarebbe esposta a concentrazioni di particolato che superano le nuove linee guida sulla qualità dell’aria dell’OMS

MIT Technology Review Italia

Insieme ai cambiamenti climatici, l’inquinamento atmosferico è una delle maggiori minacce ambientali per la salute umana. Le minuscole particelle note come particolato o PM2.5 (chiamate così per il loro diametro di appena 2,5 micrometri o meno) sono un tipo di inquinante particolarmente pericoloso e sono prodotte da una varietà di fonti, inclusi incendi e combustione di combustibili fossili.


In risposta alla loro pericolosità per la salute umana, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha recentemente aggiornato le sue linee guida annuali sulla qualità dell’aria, abbassando del 50 per cento la soglia dell’esposizione al PM2.5, da 10 microgrammi per metro cubo a 5, nel tentativo di favorire la riduzione delle emissioni antropiche.

Pubblicato su “Environmental Science and Technology Letters”, un nuovo studio condotto da ricercatori del  Department of Civil and Environmental Engineering del MIT si è chiesto quanto fossero realistiche le linee guida dell’OMS. Secondo gli autori della ricerca, i professori Colette Heald e Jesse Kroll, molte zone non sono in grado di raggiungere questo obiettivo a causa del contributo elevato da fonti naturali di particolato, vale a dire polvere, sale marino e sostanze organiche dalla vegetazione.

Secondo i dati a loro disposizione, oltre il 90 per cento della popolazione mondiale è attualmente esposta a concentrazioni medie annuali superiori alle linee guida consigliate e più del 50 per cento della popolazione mondiale sarebbe ancora esposta a concentrazioni superiori di PM2,5, anche in assenza di tutte le emissioni antropogeniche.

Utilizzando il 2019 come anno di riferimento, i ricercatori hanno condotto una serie di simulazioni di modelli che facevano riferimento a diverse sorgenti antropogeniche che potevano essere attivate e disattivate per studiare il singolo contributo. Per esempio, hanno dimostrato che in Amazzonia le elevate concentrazioni di PM2.5 sono costituite principalmente da aerosol contenenti carbonio provenienti da fonti come gli incendi della deforestazione mentre nel Nord Europa sono prevalenti gli aerosol contenenti azoto a causa della presenza generalizzata di veicoli e dell’uso di fertilizzanti. Le due regioni richiederebbero quindi politiche e metodi molto diversi per migliorare la qualità dell’aria

Lo studio delle caratteristiche delle proprietà di tossicità delle diverse particelle sulla salute umana indica la necessità di una nuova generazione di parametri della qualità dell’aria che aprano la strada a un processo decisionale mirato. “Le misurazioni di routine e globali della composizione chimica del PM2.5”, conclude Jesse Kroll, “fornirebbero ai responsabili politici informazioni su quali interventi possono migliorare in modo più efficace la qualità dell’aria in un determinato luogo”.

Immagine: Pixabay

(rp)

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