Esistono già troppe centrali elettriche per prevenire 1.5° di riscaldamento

Se non iniziamo a chiudere le installazioni alimentate a carbone e gas naturale e non smettiamo di costruirne di nuove, siamo destinati a fallire sugli obiettivi del trattato di Parigi.

di James Temple

Nel 2010, gli scienziati avvisarono che avevamo già costruito un numero di infrastrutture responsabili di emissioni gas serra sufficienti ad alzare la temperatura di 1.3 °C, sottolineando come il sistema dei carburanti fossili poteva solo continuare a crescere “in assenza di misure straordinarie dedicate allo sviluppo di alternative”.

I ricercatori hanno dato seguito allo studio di allora, descrivendo su Nature come supereremo di gran lunga il riscaldamento massimo di 1.5 °C fissato dagli accordi di Parigi anche non dovessimo, sin da subito, costruire una sola nuova centrale energetica, automobile, fabbrica o elettrodomestico. Il continuativo funzionamento di quanto già costruito e la costruzione e attivazione di quanto già in progetto, ci porterà ad un aumento della temperatura globale di 2 °C.

Se aumenti delle temperature in frazioni di grado non sembrano poi così drammatiche, basta prendere in considerazione il fatto che, secondo le ricerche, 1.5 ˚C di riscaldamento sono sufficienti ad esporre il 14% della popolazione globale a periodi di forte calore, sciogliere 5 milioni di chilometri quadrati di Permafrost artico e distruggere più del 70% delle barriere coralline del mondo. Il salto da lì ai 2 °C può esporre il triplo delle persone a ondate di calore, disgregare un altro 40% di permafrost, e praticamente eliminare le barriere coralline.

In conclusione, abbiamo già costruito il sistema che porterà il pianeta oltre quel limite pericoloso di cui gli scienziati ci parlano da decenni. Ciò significa che una costruzione massiccia di fonti rinnovabili e nuovi posti di lavoro verdi, l’ipotesi al centro di gran parte del dibattito politico sul clima, non sarà sufficiente. È ora di confrontarsi con una realtà sociale molto più dura: come iniziare a forzare porzioni importanti e costose delle infrastrutture energetiche esistenti a chiudere anni, se non decenni, in anticipo rispetto al termine della propria utilità economica?

Costruire centrali energetiche può costare miliardi di dollari, la loro vita media è pari a mezzo secolo. Tuttavia, lo studio rileva che l’età media prevista per le centrali a carbone in Cina e in India, due dei principali fattori trainanti dell’aumento delle “emissioni previste”, è rispettivamente di circa 11 e 12 anni. Tra le opzioni proposte per ridurre gli impatti climatici è incluso l’adeguamento delle infrastrutture energetiche esistenti con sistemi che catturano le emissioni climatiche o compensare le emissioni con strumenti che possono rimuovere l’anidride carbonica dall’atmosfera. Entrambi i sistemi sono costosi.

La chiusura anticipata o i costosi adeguamenti delle strutture quasi certamente non avverranno senza rigidi mandati governativi, significativi rialzi dei prezzi dei combustibili o innovazioni tecnologiche capaci di forzare la mano alle società energetiche o alterare l’economia la punto da farle evolvere. “L’industria dei carburanti fossili ha migliaia di miliardi investiti in risorse che non cederanno facilmente, serve un modo per accelerare i risultati”, spiega Steven Davis, professore associato University of California. Davis ha collaborato alla stesura di entrambi gli studi. L’autore principale del nuovo studio è Dan Tong, del gruppo di ricerca di Davis alla UC Irvine.

Gli scienziati hanno condotto lo studio raccogliendo i dati globali relativi all’osservazione delle principali fonti di anidride carbonica come centrali elettriche, veicoli, caldaie industriali ed elettrodomestici come forni e stufe. Lo studio non affronta la questione delle fonti di gas serra non legate all’alimentazione energetica, tra cui l’uso di fertilizzanti e il bestiame. Queste fonti sono state prese in considerazione dal pannello climatico delle Nazioni Unite i cui dati sono stati impiegati nello studio.

La minuscola nota positiva è che, a quanto pare, non abbiamo ancora costruito o programmato di costruire, abbastanza infrastrutture energetiche da superare la successiva soglia limite del riscaldamento. Sempre che questi sistemi non si rivelino più veloci di quanto calcolato. Ci sono però poche indicazioni che le nazioni, in particolare nei paesi in via di sviluppo, smetteranno improvvisamente di costruire impianti a combustibile fossili.

Immagine: Una centrale elettrica a carbone nella città di Huai’an, Cina. ImagineChina via AP Images

(lo)

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