I nanosensori che diagnosticano le malattie

I ricercatori del MIT hanno migliorato il segnale emesso dai nanosensori fluorescenti da impiantare nei tessuti in profondità, per aiutare a diagnosticare malattie come il cancro

In genere i sensori fluorescenti vengono utilizzati solo in cellule cresciute in laboratorio o in tessuti vicini alla superficie del corpo, perché il loro segnale viene perso quando vengono impiantati troppo in profondità. Ora, l’ingegnere chimico Michael Strano, Volodymyr Koman e Naveed Bakh del MIT, hanno sviluppato una nuova tecnica fotonica che permette di migliorare notevolmente il segnale fluorescente da sensori profondi fino a 5,5 centimetri nei tessuti.

Questa tecnologia, sostengono i ricercatori, potrebbe consentire di sondare le informazioni biochimiche nella coltura cellulare o in strati di tessuto sottile, tracciando molecole specifiche all’interno del cervello o altrove per la diagnosi medica o il monitoraggio degli effetti dei farmaci.

Nello studio, pubblicato su “Nature Nanotechnology”, vengono utilizzati diversi tipi di sensori fluorescenti, inclusi punti quantici, nanotubi di carbonio e proteine fluorescenti, per etichettare le molecole delle cellule. La fluorescenza di questi sensori può essere vista proiettando luce laser su di essi. 

La difficoltà è che negli strati più profondi, il tessuto stesso emette a sua volta una luce fluorescente. Questa luce, chiamata autofluorescenza, attutisce il segnale proveniente dal sensore. Per superare questa limitazione, il team del MIT ha escogitato un modo per modulare la frequenza della luce fluorescente emessa dal sensore in modo che possa essere più facilmente distinta dall’autofluorescenza del tessuto. La tecnica, da loro definita filtraggio della frequenza indotta dalla lunghezza d’onda (WIFF), utilizza tre laser per creare un unico raggio laser con una lunghezza d’onda oscillante.

Quando questo raggio oscillante viene proiettato sul sensore, fa sì che la fluorescenza emessa dal sensore raddoppi la sua frequenza. Ciò consente di distinguere facilmente il segnale fluorescente dall’autofluorescenza di fondo. Utilizzando questo sistema, i ricercatori sono stati in grado di migliorare il rapporto segnale-rumore dei sensori di oltre 50 volte.

Una possibile applicazione per questo tipo di rilevamento è il monitoraggio dell’efficacia dei farmaci chemioterapici. Per dimostrare questo potenziale, i ricercatori si sono concentrati sul glioblastoma, un tipo aggressivo di cancro al cervello. I pazienti con questo tipo di cancro di solito vengono sottoposti a un intervento chirurgico per rimuovere la maggior parte del tumore possibile, quindi ricevono il farmaco chemioterapico temozolomide (TMZ), che può avere gravi effetti collaterali, per cercare di eliminare le cellule tumorali rimanenti.

“Stiamo lavorando alla tecnologia per realizzare piccoli sensori che potrebbero essere impiantati vicino al tumore stesso, che possono dare un’indicazione di quanto farmaco sta arrivando al tumore e se viene metabolizzato. “La tecnica funziona a qualsiasi lunghezza d’onda e può essere utilizzata per qualsiasi sensore fluorescente”, afferma Strano. Per aiutare a rendere i sensori fluorescenti più facili da usare nei pazienti umani, i ricercatori stanno ora sviluppando sensori biologicamente riassorbibili, in modo da non doverli rimuovere chirurgicamente.

Image by Nattanan Kanchanaprat from Pixabay

(rp)

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