Il bene e il male delle nanotecnologie

Le preoccupazioni sui possibili pericoli delle particelle potrebbero rallentare
la crescita delle nanotecnologie.

Anche se il ritmo della ricerca nanotecnologica aumenta nei laboratori di tutto il mondo, alcuni studi hanno sollevato il problema che minuscole particelle artificiali potrebbero rappresentare una minaccia per la salute dell’uomo o per l’ambiente. Anche se le proprietà straordinarie delle nanoparticelle (quelle più piccole di 100 nanometri, la scala dimensionale dei virus e anche delle singole molecole) potrebbero consentire tutto, dagli strumenti diagnostici estremamente sensibili ai materiali super-resistenti, le stesse proprietà potrebbero permettere loro di penetrare nei polmoni, attraversare più rapidamente la pelle o permanere più a lungo nell’ambiente come sostanze inquinanti, una serie di effetti che potrebbe spingere all’introduzione di nuovi tipi di regolamentazione.

Un tentativo collettivo di raccogliere più informazioni è in via di sviluppo tra aziende, università e ricercatori governativi nella speranza di capire con certezza se le nanoparticelle rappresentano un pericolo. Difficilmente la posta in palio potrebbe essere più alta. Oggetti comuni – tra cui alcune protezioni solari e le palle da tennis – già contengono nanoparticelle; si stima inoltre che la produzione globale basata su nanotecnologie supererà il miliardo di dollari entro 15 anni. I gruppi ambientalisti stanno cominciando a mettere in guardia dai potenziali pericoli; l’organizzazione di attivisti, ETC Group, per esempio, si sta muovendo attivamente per una moratoria sulla ricerca.

Il dibattito è ostacolato dalla scarsità di dati. «La mancanza di informazioni tecniche sull’argomento fornisce un terreno fertile sia ai sostenitori delle nanotecnologie sia agli scettici per fare contraddittori e dilungarsi in considerazioni sulla sicurezza delle nanoparticelle ingegnerizzate», afferma Vicki L. Colvin, chimico e direttore del Center for Biological and Environmental Nanotechnology alla Rice University, a Houston. Ma nei prossimi anni, ella continua, i dati dovrebbero essere disponibili.

Una questione chiave è cosa succede alle nanoparticelle nell’ambiente. I ricercatori della Rice stanno conducendo studi su come molecole di carbonio a forma di pallone da calcio, le cosiddette buckyballs – un ingrediente potenziale per tutto, dai nuovi agenti di contrasto per la formazione di immagini mediche agli strati attivi nelle pile a combustibile – influiscono sui batteri e su organismi semplici come i vermi. In una ricerca indipendente essi stanno esplorando l’ipotesi che le buckyballs promuovono la catena alimentare. Inoltre i ricercatori della Rice cercano di capire come realmente le buckyballs, che sono estremamente stabili e robuste, assorbono materiali tossici: il legame con le buckyballs potrebbe rendere le tossine più stabili chimicamente o permettere loro di viaggiare più velocemente attraverso l’aria o l’acqua.

Altri studi stanno esaminando gli effetti della inalazione di nanoparticelle, un problema particolarmente serio per chi lavora nei laboratori o negli stabilimenti in cui le nanoparticelle vengono adoperate. In esperimenti su animali, l’anno scorso i ricercatori di DuPont, a Wilmington, in Delaware, hanno scoperto che tubuli nanometrici di carbonio a singola parete – il cui uso nella nanoelettronica e nei materiali ultraresistenti fa ben sperare – sono finiti in profondità nei minuscoli sacchi delle vie aeree dei polmoni di ratti, dove hanno causato lesioni indicative di tossicità. Nel 15 per cento dei ratti, i tubuli nanometrici di carbonio si aggregavano in blocchi soffocanti e letali. Questo e altri studi di David Warheit, un tossicologo di DuPont, indicano che le dimensioni hanno molta importanza: in genere, quando vengono inalate, le nanoparticelle sono più tossiche delle particelle più grandi degli stessi materiali.

Warheit dice che i suoi esperimenti finora sono stati relativamente semplici; egli in sostanza inietta nanoparticelle nelle trachee dei ratti con una siringa. Attualmente è impegnato a sviluppare metodi di esposizione più realistici per valutare i rischi e identificare un gruppo di nanoparticelle che possa servire come modello sperimentale per i nanomateriali in generale. Comunque, egli confida, non prevede di ottenere risultati decisivi in tempi brevi.

Gli enti regolatori stanno iniziando a intervenire. L’Environmental Protection Agency (EPA) statunitense sta selezionando una decina di studi per finanziare, con un fondo di 4 milioni di dollari concordato lo scorso anno, alcune proposte di ricerca, afferma Barbara Karn, coordinatrice del programma di finanziamento. L’obiettivo è comprendere gli effetti dei nanomateriali sulla salute e sull’ambiente, ma il processo di selezione è ancora nella fase iniziale e la ricerca richiederà ancora diversi anni, dice Karn.

Allo stesso tempo l’EPA sta affrontando un’altra questione chiave: come applicare alle nanoparticelle i protocolli esistenti per la regolamentazione delle nuove sostanze chimiche, che ricalcano quelle definite dal Toxic Substances Control Act. La legge include alcune sostanze chimiche, ma non distingue all’interno della scala dimensionale; il problema è se i nanomateriali giustificano la creazione di una nuova categoria semplicemente per la loro grandezza.

Kent Anapolle, dell’Office of Pollution Prevention and Toxics dell’EPA, sostiene che l’ente è orientato ad affidarsi ai protocolli esistenti, ma si sta chiedendo se sono adeguati. Se i nuovi dati e l’esperienza suggeriranno che non lo sono, egli spiega, allora «intraprenderemo qualche tipo di azione regolatoria per limitare il rischio». La FDA statunitense si affida ai protocolli in vigore anche per le nanoparticelle di ossido di zinco e biossido di titanio presenti nei prodotti di consumo, dalle protezioni solari ai cosmetici.

Anche l’Europa sta cominciando ad affrontare il problema della sicurezza delle nanoparticelle. L’anno scorso l’Unione Europea non ha finanziato una proposta di programma quadriennale per la creazione di un gruppo paneuropeo di esperti per la valutazione dei rischi sul posto di lavoro delle nanoparticelle in aria. Questa iniziativa potrebbe ancora trovare i finanziamenti necessari; infatti alcuni paesi spingono in tale direzione. L’Inghilterra ha incaricato la Royal Society e la Royal Academy of Engineering di completare entro la primavera del 2004 uno studio preliminare sui rischi e i benefici delle nanoparticelle e di specificare le ricerche utili a raccogliere dati importanti per le decisioni regolatorie.

La speranza di lungo termine è che le nanotecnologie aprano la strada a vaste opportunità commerciali. Ma la raccolta dei dati sulla sicurezza di molti dei diversi nanomateriali in via di sviluppo sarà un passaggio critico.

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