Il farmaco anti-età dietro l’angolo

Scopriremo presto se farmaco popolare, simile alla rapamicina, può incrementare la risposta immunitaria contro i processi d’invecchiamento del corpo.

di Stephen S. Hall

Uno dei farmaci più promettenti del momento contro l’invecchiamento ha una lunga e tortuosa storia. Nel 1999, l’agenzia statunitense Food and Drug Administration americana approvò l’utilizzo della rapamicina come immunosoppressore contro il rigetto degli organi trapiantati. Gli scienziati scoprirono in seguito che il farmaco (o mTOR) interagiva con ogni tipo di processo biologico nei mammiferi, dalle funzioni immunitarie all’infiammazione.

Secondo gli esperimenti condotti, la rapamicina sarebbe anche stata in grado di prolungare la vita di lievito, vermi e topi. Potrebbe fare la stessa cosa negli umani? Attualmente, non esiste un metodo scientifico per testare il potenziale della rapamicina nel rallentare l’invecchiamento umano. I ricercatori si sono concentrati su di un aspetto specifico dell’invecchiamento, il declino delle funzioni immunitarie, e cercato di verificare se farmaci simili alla rapamicina sono in grado di promuovere miglioramenti immunitari nelle persone anziane.

Joan B. Mannick è cofondatrice e direttore medico dell’azienda biotech resTORbio, che sta conducendo studi clinici su RTB101, uno dei composti più promettenti nell’ambito degli sforzi condotti per rallentare il declino della risposta immunitaria correlato all’età. Secondo Mannick, avremo le prime risposte sul potenziale di questo intervento anti-invecchiamento entro un anno.

Nel 2009, alcuni esperimenti hanno dimostrato che le molecole che bloccano il percorso della rapamicina sono stati in grado di prolungare la durata della vita in animali da laboratorio. Conosce questi studi?
Sì. In quel periodo, nel 2010, ero al dipartimento New Indications Discovery Unit della Novartis, dove ci è stato permesso di scegliere indicatori atipici per l’industria dei Big Pharma, potenzialmente nuovi nel campo dello sviluppo di farmaci. Ero interessata a lavorare nel campo dell’invecchiamento e proposto alla Novartis di testare gli effetti di un analogo della loro rapamicina, un farmaco antitumorale, su una condizione correlata all’invecchiamento nell’uomo.

Come mai ha scelto la funzione immunitaria? E perché proprio quella particolare popolazione di pazienti, in Nuova Zelanda e Australia?
Ci siamo chiesti: quale termine correlato all’invecchiamento possiamo studiare clinicamente in un periodo di tempo relativamente breve? Abbiamo deciso di partire dalle funzioni immunitarie. Quando si somministrano inibitori TORC1 (farmaci che bloccano le funzioni TOR) ad animali anziani, i dati mettono in evidenza miglioramenti nelle loro funzioni immunitarie e una migliore reazione ai vaccini antinfluenzali. Nel primo studio, ci siamo semplicemente domandati se individui anziani potessero rispondere meglio a una vaccinazione antinfluenzale con la somministrazione di un inibitore TORC1. La stagione fredda influenzale era allora in corso nell’emisfero australe, in Australia e Nuova Zelanda.

Lo studio ha dimostrato un miglioramento delle funzioni immunitarie del del 20%. vi ha sorpreso? Ci muovevamo per un territorio completamente inesplorato. Nessuno aveva mai verificato benefici sui processi dell’invecchiamento umano dell’inibizione della TORC1. Fu quindi una sorpresa, uno di quei momenti nella vita di un ricercatore in cui si ottengono dati e questi sono positivi.

Come si spiega il paradosso della rapamicina, stata utilizzata per sopprimere il sistema immunitario dopo i trapianti di organi, eppure capace di favorire le funzioni immunitarie in questa nuova applicazione?
Utilizzata come agente immunosoppressore, richiede dosi elevate. Nello studio dei suoi effetti sulla modulazione della funzione immunitaria, vengono utilizzate dosi molto più basse o intermittenti, ed è qui che si osservano i miglioramenti nelle funzioni immunitarie. Tra l’altro, con l’avanzare degli anni, le funzioni mTOR divengono iperattive in alcuni tessuti, per cui la loro semplice riduzione a livelli “giovanili” potrebbe essere di beneficio in condizioni legate all’invecchiamento.

Cosa ci può raccontare sui risultati provvisori ottenuti dal farmaco nei test clinici avanzati condotti dalla sua azienda?
Non posso parlare di risultati che sono ancora provvisori. Dovremmo avere qualcosa per il 2020. Può essere interessante notare che questo programma è il più duraturo mai condotto nel campo dell’invecchiamento. Abbiamo due studi di fase III rivolti alla biologia dell’invecchiamento, sulla prevenzione delle malattie legate all’invecchiamento nell’uomo, che produrranno risultati entro un anno, non oltre. In caso di risultato positivo e se le autorità sanitarie approveranno il nuovo farmaco, due “se” non da poco, avremo il primo prodotto rivolto ai processi biologici dell’invecchiamento capace di prevenire le malattie ad esso correlate. Tutto entro pochi anni, non tra qualche decennio.

Immagine: Joan B. Mannick, cofondatrice e direttore medico della resTORbio. Credito immagine: Simon Simard

(lo)

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