Il rimedio al problema della Cina con il carbone

La Cina ha ripulito in fretta le sue centrali a carbone, ma la parte difficile comincia solo ora.

di Richard Martin

Quando William Latta giunse in Cina nel 2005, la sua intenzione era cercare società da acquisire per il gigante energetico francese Alstom, ma finì per creare una società tutta sua. “Sapevo che il mercato ambientale si sarebbe sviluppato”, dice Latta. “Pensavo potessimo fare qualcosa per il problema dell’inquinamento in Cina e creare, nel processo, un business redditizio”.

La LP Amina, fondata da Latta, utilizza le ammine per ridurre l’inquinamento causato dalle ciminiere nelle centrali a carbone, in particolare le emissioni di ossidi di zolfo e ossidi di azoto. La LP Amina si è unita a un insieme di società che nel primo decennio del secolo hanno dato il via a un programma cruciale per il futuro del mondo: ripulire la vasta e inquinante industria del carbone in Cina.

Si tratta di una missione urgente e monumentale. La Cina è il più grande produttore e consumatore di carbone, arrivando a bruciare, ogni anno, tanto carbone quanto il resto del mondo messo assieme. Stando a uno studio pubblicato sulla rivista medica The Lancet, 1.2 milioni di persone in Cina muoiono prematuramente ogni anno a causa dell’inquinamento dell’aria. È come se ogni giorno morisse l’intera popolazione di Dallas, e la causa principale è il carbone. L’inquinamento atmosferico può rendere invivibili città come Pechino e Shanghai, e le gigantesche miniere di carbone all’interno del paese hanno deturpato migliaia di chilometri quadrati.

Non si tratta certo di una novità, ma l’occidente sembra non essere al corrente dei successi conseguiti da società quali LP Amina e degli sforzi che il governo sta conducendo nel tentativo di frenare l’inquinamento atmosferico. I livelli di inquinamento in molte delle principali città cinesi, stando a Greenpeace, sono calati dal 2013 al 2014 e sarebbero scesi di approssimativamente un altro terzo nel primo quadrimestre del 2014. Stando alle misurazioni raccolte dal gruppo ambientalista, i livelli di PM 2.5, il particolato letale che contribuisce allo sviluppo di enfisemi ed altre malattie respiratorie, sono scesi del 31 percento nella Provincia di Hebei, che include l’area metropolitana di Pechino.
I cieli sopra Pechino, Shanghai e Shenzhen – le megalopoli costiere maggiormente colpite dallo smog – non sono esattamente azzurri, ma stanno diventando meno grigi. La LP Amina e le società concorrenti stanno diventando vittime del loro stesso successo. “Il nostro business sta decisamente rallentando – le nostre dimensioni sono già diminuite della metà rispetto all’anno scorso”, dice Latta.

In gran parte, i progressi sono giunti a seguito del giro di vite che il governo ha applicato sulla combustione di carbone per il riscaldamento domestico e la chiusura di piccole centrali a carbone in prossimità delle città principali. Sono anche merito della diffusione di scrubber ed altre tecnologie anti inquinamento che sono ormai uno standard in occidente.
Secondo alcune stime, oggi, intorno al 90 percento delle centrali a carbone in Cina monta almeno i sistemi di controllo di base per l’inquinamento. “Per quanto riguarda i fumi più comuni, entro il 2020 il livello di controllo in Cina sarà pari a quello di Europa e Stati Uniti”, dice Latta.

Questa è senz’altro una conquista ambientale, ed una di quelle che non ha ricevuto abbastanza attenzioni dai notiziari occidentali. Resta però da risolvere una sfida più ardua: i gas serra, che non vengono intaccati da scrubber ed altre tecnologie diffuse per il controllo delle emissioni. Se consideriamo tutto quello che è accaduto in Cina dal 2013 ad oggi come la fase 1 del grande processo di pulizia del carbone, oggi possiamo dire di essere nella fase 2: la conversione del carbone in gas naturale sintetico, o syngas. Per continuare a ridurre l’inquinamento, il paese dovrà compiere passi complessi, come l’implementazione del sequestro di anidride carbonica e la costante riduzione del consumo di carbone.

“La domanda più grande ora è, che ne sarà dell’anidride carbonica?”, chiede Latta.

Il boom del syngas

L’importanza di questa domanda diventa evidente visitando l’industria del carbone nella Provincia di Shanxi, nel nord della Cina e vicina al confine con la Mongolia Interna, opportunità che mi si è presentata nel 2014 mentre conducevo ricerche per il mio libro “Coal Wars”. Lì, sotto le creste segnate dai resti della Grande Muraglia, centinaia di piccole e sporche miniere di carbone continuano ad alimentare gigantesche centrali a carbone che ogni anno vomitano tonnellate di anidride carbone nell’atmosfera. Il programma del governo centrale per lo spegnimento delle centrali a carbone nell’est, vicino alla costa, ha fatto poco per quanto riguarda le centrali collocate all’interno del paese. Di fatto, stando al più recente programma per i prossimi cinque anni, l’industria del carbone nell’ovest e nel nord del paese pare destinata a crescere drammaticamente.

Nel processo di pulizia della Cina, gli anni che vanno dai primi 2000 al 2012 sono stati caratterizzati dalla desolforazione – la limitazione del rilascio di sostanze inquinanti convenzionali e PM 2.5, responsabili diretti di numerose morti. Ora stiamo attraversando l’era della gassificazione.

Con questo ci riferiamo al processo di conversione del carbone solido in syngas, che è composto da idrogeno, monossido di carbonio e diossido di carbonio. Il syngas può essere bruciato per produrre elettricità o convertito in sostanze petrolchimiche. L’aspetto promettente, dal punto di vista ambientale, è che il carbonio può essere catturato e rimosso prima che il gas venga processato, anche se, almeno per il momento, le centrali a syngas non eseguono questa operazione.

Non si tratta certo di una nuova tecnologia – perse le loro fonti di petrolio durante la Seconda Guerra Mondiale, i nazisti producevano combustibile liquido dal carbone per alimentare i loro veicoli – ma la gassificazione è vista oggi come il percorso più diretto per l’industria cinese del carbone. Il governo ha annunciato piani per dozzine di centrali di gassificazione del carbone lungo la Mongolia Interna e nelle Province di Shanxi e Xinjiang; si prevede che questi impianti forniranno il combustibile liquido necessario per alimentare veicoli, l’etilene per le centrali petrolchimiche, ed altri prodotti. Stando alla National Energy Administration, la produzione raggiungerà i 50 milioni di metri cubi di syngas l’anno entro il 2020, un valore 25 volte quello della produzione registrata nel 2014.

Il supporto del governo, unito alla crescente domanda di derivati del syngas, hanno scatenato una corsa ai lavori nel 2005, quando grandi imprese di proprietà dello stato si sono gettate nella realizzazione di impianti di conversione. Secondo Bobby Wang, leader del marketing di prodotto per la gassificazione presso la GE Power & Water in Cina, il boom iniziale sarebbe stato un fallimento memorabile. Le prime centrali erano sporche e producevano syngas per un mercato pressoché inesistente, soprattutto perché mancava una adeguata rete di gasdotti.

Oggi, la frenesia iniziale ha lasciato spazio ad un approccio più misurato. Le società energetiche cinesi, inclusi i principali fornitori di carbone, hanno formato joint ventures con GE ed altre società statunitensi minori, quali la LP Amina, la Synthesys Energy Systems e la Summit Power, per realizzare impianti finanziariamente sostenibili attraverso i quali distribuire syngas per la generazione di energia, la produzione di petrolchimici, il calore per i processi industriali, ed altro. Col tempo, i bollitori utilizzati per produrre elettricità in questi impianti ricorreranno alla integrated gasification combined-cycle (IGCC), il sistema più efficiente per gassificare e bruciare carbone. Una volta “sbloccati gli idrocarburi” nel carbone attraverso questi impianti allo stato dell’arte, spiega Jason Crew, CEO della Summit Power di Seattle, “si potrà fare ogni genere di cosa, incluso ripulire le emissioni di anidride carbonica”.

Eppure, diverse centrali coal-to-gas bruceranno lignite, il carbone “marrone” di bassa qualità che abbonda in Cina e nel Sud-est asiatico – la forma di combustibile che secondo gli ambientalisti non andrebbe nemmeno raccolta da terra. I benefici ambientali della gassificazione del carbone vengono inoltre contestati: stando a un rapporto di Greenpeace, che ha guardato all’intero ciclo di vita della gassificazione dall’estrazione al consumo, nel prossimo decennio il programma coal-to-gas cinese potrebbe aggiungere milioni di tonnellate di anidride carbonica, impedendo alla Cina di rispettare i traguardi fissati nel novembre 2014 con l’accordo fra Barack Obama e il presidente cinese Xi Jinping.

Ciononostante, diversi progetti bi-nazionali di R&D ben finanziati stanno cercando di ridurre le emissioni delle centrali coal-to-gas.

Uno di questi progetti, supportato con $450 milioni dal Clean Coal Power Initiative del DoE degli Stati Uniti, è previsto non per la Mongolia Interna ma per la zona petrolifera nel Texas occidentale. Il Texas Clean Energy Project combinerebbe una centrale IGCC da 400-megawatt con un impianto per la produzione di urea come fertilizzante ed un sistema per la cattura del 90 percento dell’anidride carbonica (intorno a due milioni di tonnellate ogni anno). Questa stessa anidride carbonica verrebbe quindi riutilizzata per la enhanced oil recovery (EOR) nei pozzi del Bacino Permiano. Oltre alla Summit Power, il progetto vanta la partecipazione di società quali Siemens, CH2M Hill ed una unità ingegneristico costruttiva del gigante energetico China National Petroleum Corporation. Con un costo previsto di oltre $1.7 miliardi, il progetto sarebbe la centrale a carbone più avanzata mai costruita.

“L’elemento innovativo sta nel fatto che la cattura della CO2 è un sottoprodotto del processo – in pratica viene effettuata gratuitamente”, spiega Latta.

Si tratta di uno scenario roseo che, probabilmente, dista ancora qualche decennio. Il fatto è che la maggior parte dei progetti per la cattura dell’anidride carbonica nelle centrali a carbone è stata sospesa o abbandonata. GreenGen, un prototipo tanto decantato di IGCC che sarebbe dovuto diventare il primo impianto su larga scala in Cina, è stato rinviato diverse volte nei suoi 10 anni di storia ed è stato recentemente ridimensionato. Anche se il progetto in Texas dovesse divenire realtà, il suo modello funzionerà solamente in alcune regioni dove la domanda per la cattura di anidride carbonica è elevata. Oltretutto, nel migliore dei casi, l’impianto prototipo non verrà completato prima del 2018. In sostanza, la soluzione più probabile per la Cina potrebbe essere semplicemente quella di bruciare meno carbone.

Una svolta sorprendente

Negli Stati Uniti, la frazione di energia prodotta dal carbone è scesa al di sotto del 40 percento e dovrebbe continuare a scendere grazie all’abbondanza di gas naturale. La prospettiva di assistere ad un effetto simile in Cina, fino a poco tempo fa, pareva alquanto remota.

Sorprendentemente, grazie al rallentamento dell’economia, al passaggio a industrie più leggere e con una minore intensità energetica, e un giro di vite sui consumatori privi di licenza, il consumo di carbone in Cina nel 2014 è sceso quasi del 2 percento – il primo calo negli ultimi decenni. L’Institute for Energy Economics and Financial Analysis, che ha fornito il dato, precisa inoltre che in quello stesso anno l’economia era cresciuta del 7.4 percento. Un rapporto di Greenpeace, pubblicato a maggio, ha scoperto che il consumo di carbone nei primi quattro mesi del 2015 è sceso dell’8 percento rispetto allo stesso periodo nel 2014. Nel caso in cui questo trend dovesse continuare, rappresenterebbe per il paese “la più grande riduzione nel consumo di carbone da un anno all’altro”. Come mostratoci dalla rivoluzione dello shale gas negli Stati Uniti, improvvise svolte nel consumo energetico possono verificarsi improvvisamente ed inaspettatamente. Pesanti investimenti nello sviluppo di costose e futuristiche centrali a carbone potrebbero rivelarsi uno spreco.

“Uno degli argomenti che l’industria del carbone cerca sempre di tirar fuori è che il carbone è fondamentale per la crescita economica”, dice Bruce Nilles, capo programma per la campagna Beyond Coal della Sierra Club. “Dicevano la stessa cosa negli Stati Uniti, ed ora le cose stanno rapidamente muovendosi in un’altra direzione. Ora cercano disperatamente di convincerci che il carbone continuerà ad essere utilizzato in paesi in via di sviluppo come la Cina. Ma si basa tutto premesse fasulle”.

(MO)

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