Imperfetto ma salvavita, finalmente un vaccino contro la malaria

l’OMS ha raccomandato un uso ampio di Mosquirix, un vaccino contro la malaria per i bambini che vivono nell’Africa subsahariana. Anche se non è risolutivo, può notevolmente ridurre il numero di decessi

di Adam Piore

Nel 2020 la malaria ha colpito 241 milioni di persone e ne ha uccise circa 627.000. Nell’Africa subsahariana, dove si è verificato il 95% dei casi e dei decessi, i bambini sotto i cinque anni hanno rappresentato l’80% delle vittime. I numeri sono terrificanti, ma c’è un motivo di ottimismo. Lo scorso ottobre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha approvato il vaccino contro la malaria di GlaxoSmithKline, noto come RTS, S o Mosquirix. 

È il primo vaccino al mondo per la malattia mortale, che si diffonde tra le persone attraverso le punture di zanzare femmine  Anopheles  infette dal parassita Plasmodium. Nel frattempo, BioNTech, l’azienda biotecnologica tedesca che ha collaborato con Pfizer per sviluppare un vaccino contro il covid-19 basato sull’mRNA, punta ad avviare le sperimentazioni cliniche di un vaccino contro la malaria nel 2022. La situazione potrebbe finalmente cambiare.

L’approvazione dell’OMS apre la strada alla diffusione di Mosquirix in tutta l’Africa. È anche il primo vaccino per qualsiasi tipo di parassita, segnando uno spartiacque nella lotta non solo contro la malaria ma decine di altre malattie tropicali. Secondo alcune stime, più di 2 miliardi di persone sono attualmente infette da vermi parassiti. Anche se esistono cure per molti dei casi, i microbiologi hanno cercato invano per anni di sviluppare vaccini che impedissero l’infezione o la reinfezione. Il successo del vaccino contro la malaria dimostra che è possibile.

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I parassiti, piccoli animali multicellulari, hanno genomi da 500 a 1.000 volte più grandi di quelli della maggior parte dei virus e dei patogeni unicellulari. Ciò consente loro di mutare in una miriade di modi se si trovano davanti a una risposta immunitaria. La malaria, in particolare, è una maestra del travestimento. Nelle fasi successive del suo ciclo di vita, può esibire una qualsiasi delle 60 diverse proteine sulla sua superficie, alternandole secondo necessità per eludere il rilevamento del sistema immunitario. 

Per questa ragione il nuovo vaccino contro la malaria, in fase di sperimentazione dal 1987, non è particolarmente efficace. In un’implementazione pilota che ha coinvolto più di 800.000 bambini in Kenya, Malawi e Ghana, ha avuto un’efficacia di appena il 50% nella prevenzione della malaria grave nel primo anno e la sua efficacia è diminuita drasticamente nel tempo. (Al contrario, un regime a tre dosi del vaccino contro la poliomielite è efficace al 99% nel prevenire l’infezione). Inoltre, è relativamente impotente una volta che il parassita si è insediato nelle cellule del sangue del corpo, quindi il vaccino deve neutralizzare il parassita subito dopo l’infezione. 

Tuttavia, gli scienziati credono di aver trovato un modo di procedere che ne renderà utile l’uso. Richiede la somministrazione di tre dosi in una fascia di età compresa tra i 5 e i 17 mesi e una quarta dose da 12 a 15 mesi dopo la terza dose. Uno studio clinico ha dimostrato che, se combinato con le misure di controllo della malaria esistenti, che includono zanzariere trattate con insetticidi e farmaci preventivi somministrati durante la stagione delle piogge, il regime potrebbe ridurre i decessi per malaria di circa il 70%, rispetto ai bambini che avevano ricevuto solo i farmaci preventivi esistenti. 

Uno strano intruglio

Per decenni, le vaccinazioni in genere hanno funzionato esponendo le persone a una versione debole o inattivata di un agente patogeno, in grado di far suonare il campanello d’allarme nel sistema immunitario e indurre l’organismo a costruire difese contro di esso. I primi tentativi per adottare questo approccio con il parassita della malaria sono stati ostacolati dalla difficoltà di far crescere il parassita in un laboratorio e da una serie di altri problemi logistici, afferma Photini Sinnis, vicedirettore del Johns Hopkins Malaria Research Institute. 

Negli anni 1980 i ricercatori iniziarono a esplorare quello che allora era un approccio completamente nuovo a un vaccino contro la malaria, in modo da non avere bisogno dell’intero parassita, ma solo di una piccola parte di esso. Gli scienziati hanno identificato per la prima volta le proteine presenti sulla superficie del parassita della malaria subito dopo l’ingresso nel corpo umano, vale a dire i bersagli che il sistema immunitario potrebbe riconoscere e attaccare. Per potenziare la risposta immunitaria, hanno scoperto, è necessario aggiungere altri ingredienti.

La scelta di questi componenti immunostimolanti extra, noti come adiuvanti, e la loro fusione con le proteine della malaria ha costituito una sfida scientifica. Per proteggersi dalle malattie autoimmuni e persino dalle allergie, suggeriscono alcuni immunologi, il sistema immunitario umano ha molteplici meccanismi di sicurezza volti a impedirgli di attaccare inutilmente proteine irrilevanti o innocue. 

Negli anni 1990, un team del Walter Reed Army Institute of Research in Washington, DC, e di Beecham Biologicals, un’azienda che sarebbe poi diventata parte della GlaxoSmithKline, escogitarono una miscela insolita. Il vaccino Mosquirix ha copie di una singola proteina che punteggia la superficie del parassita nelle sue prime fasi di vita; la proteina è fusa con un antigene di superficie dell’epatite B. La sostanza viene quindi combinata con adiuvanti, tra cui una sostanza estratta dalla corteccia di un raro albero cileno e una molecola lipidica disintossicata prelevata dai batteri della salmonella, un componente normalmente così tossico, secondo Sinnis, da far “impazzire” il sistema immunitario.

Nel 1997, in uno studio su un piccolo numero di persone che è stato pubblicato sul “New England Journal of Medicine”, un gruppo di ricerca composto da scienziati del Walter Reed e GSK ha dimostrato che il vaccino ha protetto sei dei sette volontari che hanno ricevuto il parassita. I risultati sono stati incoraggianti, ma ci è voluto un altro decennio per testare la sicurezza del vaccino nei bambini e per confermarne l’efficacia nei bambini piccoli nelle aree del mondo dove la malaria era endemica. Solo nel 2009 è iniziata una sperimentazione umana su circa 15.000 bambini in sette paesi africani. 

I dati della sperimentazione, che si è conclusa nel 2014, hanno mostrato che il vaccino era efficace. Ma una piccola percentuale di ragazze che l’hanno ricevuta ha sviluppato la meningite batterica e, indipendentemente da ciò, c’è stato anche un piccolo aumento del numero totale di ragazze morte per altre cause. Sebbene questi numeri siano scesi al di sotto del livello di significatività statistica, alcuni temevano che i problemi sarebbero aumentati se il vaccino fosse stato distribuito su vasta scala nell’Africa subsahariana. 

Le autorità di regolamentazione europee hanno fornito un “parere scientifico positivo”, dando il via libera all’eventuale approvazione da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità, alle cui indicazioni fanno riferimento molte delle più grandi organizzazioni filantropiche del mondo  prima di accettare di finanziare le iniziative di vaccinazione di massa. I funzionari dell’OMS hanno richiesto sia maggiori prove dei suoi benefici sia una valutazione più accurata della possibilità di rendere esecutivo un regime vaccinale multiplo nelle comunità dell’Africa subsahariana, che mancano delle infrastrutture mediche e di trasporto delle nazioni sviluppate.

Il risultato è stato il progetto pilota in Kenya, Malawi e Ghana, che è iniziato nel 2019 e prevedeva un programma di quattro dosi nei bambini di cinque mesi e più. L’enorme portata del progetto ha dissipato ogni dubbio sulla sicurezza. La malaria grave è stata complessivamente ridotta del 30% e il programma ha dimostrato che il piano di vaccinazione potrebbe facilmente utilizzare le infrastrutture sanitarie pubbliche già esistenti per le vaccinazioni contro altre malattie infantili, come il morbillo. 

Non ci si può nascondere per sempre

Wirth di Harvard e altri affermano che l’approvazione di Mosquirix ha inviato un potente segnale agli investitori e alle fondazioni su cui la maggior parte degli scienziati fa affidamento per finanziare la ricerca di vaccini ancora più efficaci contro la malaria e altre malattie parassitarie. I segnali sono positivi. 

Per esempio, Jeffrey Bethony e David Diemert, microbiologi della George Washington University di Washington, DC, hanno sviluppato un vaccino attualmente in sperimentazione di fase II in Uganda che utilizza le stesse tecniche per colpire le proteine trovate sulla superficie esterna dei vermi che causano la schistosomiasi, una malattia parassitaria cronica che attualmente infetta circa 190 milioni di persone in tutto il mondo ed è particolarmente comune nell’Africa subsahariana (i vermi possono anche causare anemia, arresto della crescita e una ridotta capacità di apprendimento nei bambini). 

Nel frattempo, il successo dei vaccini mRNA per il covid-19 potrebbe essere di buon auspicio per il nuovo vaccino contro la malaria sviluppato da BioNTech. Anche in questo caso, il vaccino contro la malaria espone il corpo a pezzi sintetici di RNA messaggero, molecole a filamento singolo che vengono assorbite dalle cellule umane e inducono la struttura molecolare interna a iniziare a sfornare copie personalizzate e completamente innocue delle proteine trovate sulla superficie del patogeno. Queste proteine innocue innescano quindi allarmi nel sistema immunitario, inducendolo a formare un esercito di cellule immunitarie protettive in grado di riconoscere attacchi reali

“Lo spazio per migliorare il vaccino GSK è grande”, afferma Robert Seder, responsabile della sezione di immunologia cellulare del National Institute of Allergy and Infectious Diseases del NIH ed esperto di vaccini e malaria. “L’obiettivo è che i vaccini abbiano un livello di protezione più elevato durante i primi anni di vita“. La sfida è importante poiché il parassita della malaria ha diverse fasi della vita, ognuna delle quali mette in gioco aspetto diverso dal sistema immunitario.

Nella sua fase infettiva iniziale, copie multiple del parassita vengono iniettate nella pelle dalle zanzare, entrano nei vasi sanguigni e viaggiano nel fegato, dove una piccola percentuale riesce a insediarsi nelle cellule. Una volta all’interno, i parassiti iniziano a dividersi prima di spostarsi nelle cellule del sangue, dove banchettano con l’emoglobina. Replicandosi in modo esponenziale, alla fine provocano la rottura delle cellule del sangue, liberando un esercito in grado di infettarne in gran numero.

È la fase immatura che il nuovo vaccino GSK prende di mira, in quanto una volta che è nelle cellule del sangue, il parassita ha raggiunto uno sviluppo che gli permette la massima sopravvivenza. Sconfiggere la malaria non sarà facile, soprattutto nei periodi più avanzati del ciclo vitale del parassita. Ma man mano che gli strumenti della moderna biologia molecolare migliorano, c’è finalmente un motivo per credere che questo ingegnoso parassita che ci ha causato così tante sofferenze umane non sarà in grado di nascondersi per sempre.

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