La crescita del pensiero

Doug Engelbart e il potenziamento dell’intelletto umano

di Bill Joy

What the Dormouse Said…: How the 60s Counterculture Shaped the Personal Computer Industry

di John Markoff

Viking, 2005,

dollari 25,95

Ognuno di noi conosce qualche storia sulla nascita del PC: Xerox Park come la Mecca del calcolo computerizzato; la creazione della rete locale Ethernet per collegare i minicalcolatori al Palo Alto Research Center e la stampante laser; l’Homebrew Computer Club, il piccolo calcolatore Altair della Micro Instrumentation Telemetry Systems, Bill Gates e il furto del suo Microsoft Basic; Steve Jobs e Stephen Wozniak, la fondazione di Apple, la visita di Job al PARC che ha ispirato il Macintosh.

Ma quella che forse non conosciamo è la vera storia originale. Le vicende di Doug Engelbart e John McCarthy, del Augmentation Research Center e dei primi passi dello Stanford University AI Lab (SAIL) sono poco note. Magari abbiamo sentito dire che Engelbart ha inventato il mouse e che il SAIL e Stanford hanno dato vita ad aziende come Sun e Cisco. Ci sfuggono però gli avvenimenti importanti che hanno caratterizzato la fase iniziale dello sviluppo dei computer e che hanno in realtà portato ai PC attuali.

Nel suo ultimo, meraviglioso libro, What the Dormouse Said…, John Markoff racconta questi avvenimenti. Markoff è nato a Oakland, in California, e si è occupato della Silicon Valley per il “New York Times” per oltre un decennio. Dal punto di vista tipico della West Coast, il libro narra le origini dei personal computer e le loro radici nella cultura della Bay Area degli anni 1960. Avendo vissuto, intensamente, la parte finale di questa storia, sono rimasto particolarmente colpito dalle vicende passate in cui erano coinvolte persone che ho successivamente conosciuto e con cui ho collaborato. Alcuni di questi avvenimenti mi erano vagamente familiari; di molti altri non avevo mai sentito parlare.

Il sogno di Engelbart

La figura centrale di Dormouse è Doug Engelbart, il cui obiettivo principale è sempre stato quello di costruire una versione funzionante del Memex, la macchina ideale di Vannevar Bush. Negli anni 1940, quando lavorava a Washington, DC, come direttore dell’Office of Scientific Research and Development del Pentagono, Vannevar Bush aveva ipotizzato “una sorta di scrivania in grado di registrare e ritrovare grandi volumi di informazione“, di cui scrisse nel numero di “Atlantic Monthly” del luglio 1945:

Si immagini un apparecchio futuro da usare individualmente, che assomigli a una biblioteca e a un archivio privato meccanizzati. Per dargli un nome, si potrebbe scegliere a caso “memex”. Il memex è un apparecchio in cui una persona registra tutti i suoi libri, documenti e comunicazioni ed è meccanizzato a tal punto da poter essere consultato con straordinaria velocità e flessibilità. Si tratta di un fondamentale ausilio personalizzato per la memoria dell’utente“.

Engelbart venne a conoscenza dell’idea del Memex mentre prestava servizio come tecnico radar nella marina statunitense durante la Seconda Guerra mondiale. Non riuscì più a pensare ad altro e, nel 1950, ebbe un’illuminazione che delineò il percorso del suo lavoro per i due decenni successivi. A tale proposito, Markoff scrive:

“Engelbart si immaginava seduto di fronte allo schermo di un grande computer pieno di differenti simboli…egli avrebbe creato una stazione di lavoro per organizzare tutte le informazioni e le comunicazioni necessarie a un qualsiasi progetto…vedeva flussi di caratteri in movimento sul display. Anche se non esisteva nulla del genere, sembrava una macchina semplice da creare e da dotare con leve, manopole o interruttori. Non era altro che il Memex di Vannevar Bush, trasferito nel mondo del calcolo elettronico”.

Nel 1955, Engelbart iniziò un PhD in ingegneria elettrotecnica all’Università della California, a Berkeley, e si ritrovò subito a lavorare allo Stanford Research Institute (SRI) dove si ritrovò tra le mani un saggio intitolato Shrinking the Giant Brains for the Space Age, che era stato presentato a un convegno nel giungo del 1959. Il suo autore era Jack Staller della ditta aerospaziale American Bosch ARMA che aveva scritto, profeticamente: «Il problema è ridurre una stanza piena di apparecchiature per il calcolo digitale alle dimensioni di una valigia, poi a quelle di una scatola di scarpe e infine a qualcosa da tenere sul palmo della mano… si prospettano all’orizzonte circuiti allo stato solido o l’avvento di un intero circuito su un singolo e minuscolo wafer allo stato solido e tecniche di pellicola molecolare in cui pellicole piccole milionesimi di centimetri e conduttori altrettanto sottili vengono costruiti strato su strato per formare intere sezioni o addirittura computer completi in frazioni di cm cubici”.

Successivamente, nel febbraio del 1960, come racconta Markoff, cinque anni prima che Gordon Moore pubblicasse un articolo sulla rivista “Electronics” in cui enunciava quella che sarebbe poi diventata la “Legge di Moore”, Doug Engelbart arrivò alle stesse conclusioni di Moore: che il continuo rimpicciolimento dei transistor avrebbe comportato un costante e inevitabile aumento delle capacità di calcolo. Egli vide anche che, grazie a queste maggiori capacità, i computer sarebbero stati rapidamente in grado di potenziare l’intelletto umano. Questo sogno – il sogno di Engelbart – ha portato allo sviluppo dei computer attuali.

Engelbart trovò i finanziamenti con l’appoggio di alcuni lungimiranti gestori di programmi del governo federale quali J.C.R. Licklider, della DARPA, che immaginava i computer come strumento comunicativo, e Bob Taylor, della NASA, che successivamente mise insieme e diresse il grande gruppo di informatici alla guida di Xerox PARC. Con il loro sostegno, Engelbart, dal 1960 al 1968 fu a capo di un gruppo allo SRI che mise a punto un sistema prototipale per dimostrare le sue idee.

Il passaggio culminante di Dormouse è la narrazione di Markoff della prima presentazione pubblica di Engelbart, nel dicembre del 1968, del suo oNLine System (NLS). Scrive Markoff: “In una sbalorditiva sessione di 90 minuti [Engelbart] mostrò come fosse possibile editare un testo su uno schermo, fare collegamenti ipertestuali da un documento elettronico a un altro e mettere insieme testo e grafica e anche video e grafica. Egli ipotizzò inoltre una rete sperimentale di computer dal nome ARPAnet e affermò che entro un anno sarebbe stato in grado di offrire la stessa dimostrazione a distanza su diverse postazioni da un capo all’altro del paese. In breve, tutti gli sviluppi successivi del mondo informatico vennero presi in considerazione in quella indimenticabile ora e mezza.

Ci furono due aspetti che colpirono particolarmente il pubblico: … in primo luogo i computer avevano fatto il salto da semplici divoratori di numeri a strumenti di comunicazione e di recupero dell’informazione. In secondo luogo, la macchina da usare interattivamente con tutte le sue risorse era progettata per una singola persona! Per la prima volta entrava realmente in scena il personal computer
“.

Gli anni 1960: droghe e proteste

Dormouse descrive come le forze culturali, sociali e politiche si unirono per dare vita alla industria dei personal computer sulla West Coast: Engelbart e i suoi colleghi erano parte di una comunità che includeva i primi consumatori di LSD e i leader dei movimenti contro la guerra.

Malgrado la reazione conservatrice attuale contro gran parte degli ideali che caratterizzavano il movimento controculturale degli anni 1960, Internet e i personal computer sono stati accettati e continuano a essere strumenti preziosi per migliorare la nostra consapevolezza. Anche se questi strumenti si possono usare per amplificare la propaganda, c’è ragione di credere che favoriranno la diffusione della verità. Sotto questo aspetto, lo spirito delle battaglie degli anni 1960 è ancora vivo.

Alcuni dei lettori del libro di Markoff potrebbero provare nostalgia per la cultura della droga che affiancò lo sviluppò dei personal computer, ma ciò non vale per me. A mio parere, le storie sulle sperimentazioni di droghe sono gli sconsolanti esiti di una ricerca fallita. La promessa era che LSD e altre droghe avrebbero aumentato la nostra creatività. Ma, come altre sostanze di cui di si fa abuso, compresi l’alcol e ora, in America, persino il cibo, hanno in realtà quasi sempre significato tragedie personali. In definitiva, droghe come LSD e marijuana non danno a chi le usa nuova creatività, ma semplicemente la presunzione temporanea e soggettiva di essere creativi e salati costi personali da pagare.

I personal computer e la rivoluzioni di Internet hanno prodotto in buona parte ciò che i consumatori di droghe stavano cercando. Hanno permesso alle persone di sviluppare quelle agognate capacità di comunicare e apprendere. E ora, con così tanti contenuti accessibili a tutti su Internet, si rinnova la speranza di espandere la creatività e di innalzare il livello di coscienza collettiva. Internet non promuove la creatività attraverso esperienze solitarie e di breve durata, ma grazie all’uso di uno strumento mediatico reale, permanente e condivisibile che favorisce nuova consapevolezza con l’accesso diretto all’informazione mondiale, sempre che gli utenti siano in grado di separare la verità dal flusso di spazzatura in Rete.

Altri sognatori

Dormouse racconta l’importante storia di ciò che la Bay Area ha fatto per l’affermarsi dei PC. Ma, mentre leggevo il libro, mi venivano in mente altre storie ancora più lontane nel tempo, che non avvenivano sulla West Coast. Anche se il personal computer è nato in California, la sua ideazione ha richiesto importanti contributi da altre parti del paese.

Oggi i PC sono in rete e gestiscono contemporaneamente applicazioni multiple (per molti versi come i computer a partizione di tempo degli anni 1960 e i multiutente assistiti degli anni 1970) e hanno una memoria virtuale per sostenere le applicazioni estese. Queste e altre capacità tecniche chiave non hanno avuto origine nella controcultura della West Coast, ma nelle grandi università e nei laboratori di ricerca della East Coast, in Inghilterra e anche negli stati dell’alto Midwest, dove sono cresciuto.

Al momento della presentazione del NLS di Engelbart, una implementazione effettiva di una serie originale di idee innovative nel settore dei computer, ben oltre la semplice dimostrazione, apparve sotto forma del sistema operativo MTS (Michigan Terminal System).

MTS è stato scritto per un calcolatore mainframe, l’IBM 360/67, uno dei primi ad avere memoria virtuale. IBM aveva 300 programmatori che lavoravano a un nuovo sistema operativo per questo computer, ma l’obiettivo era ancora lontano. Allora il gruppo dell’Università del Michigan creò MTS, un sistema a partizione di tempo con supporto per la memoria virtuale, condivisione dei file con protezione e molte altre funzioni in nuove combinazioni che divennero parti essenziali dei PC.

Nel 1967 MTS era pronto ed era ospitato su una delle ultime macchine, la 360/67, in grado di gestire contemporaneamente dai 30 ai 40 utenti. Una anno prima che MTS fosse completato, nel 1966, l’Università del Michigan diede il via a un progetto correlato, la rete Merit, che avrebbe dovuto trovare il modo di mettere in rete sistemi multipli. Come l’originaria ARPAnet, Merit usò minicomputer – i PDP-11 di Digital Equipment Corporation – per collegare tra loro le macchine più grandi.

Quando mi iscrissi all’Università del Michigan, nel 1971, MTS e Merit erano sistemi stabili e di successo. Allora un sistema multiprocessore con MTS poteva gestire simultaneamente un centinaio di utenti interattivi e applicazioni grafiche remote su computer come il DEC 8/338 e 9/339, anticipando i futuri minicomputer con display per la grafica vettoriale interattiva. MTS garantì il funzionamento di una rete interna all’università per queste macchine e Merit permise di connettere i computer dell’Università del Michigan con quelli di altre università.

Sistemi ugualmente potenti furono installati sui PDP 10 di Digital Equipment al MIT, a Stanford (SAIL) e alla Carnegie Mellon University spesso, come nel caso del NLS di Engelbart, con il sostegno dei fondi federali per la ricerca. Markoff racconta di passaggio qualcosa che avevo dimenticato (se mai ne sono venuto a conoscenza): Steve Jobs e Steve Wozniak frequentavano il SAIL molto prima della famosa visita di Jobs al PARC. Il laboratorio di intelligenza artificiale di Stanford e sistemi simili hanno avuto nella nascita dei PC un’importanza maggiore di quanta ne viene loro generalmente riconosciuta. Dal mio punto di vista, questi sistemi sono alla base, come gran parte del lavoro svolto da Engelbart, dello sviluppo dei personal computer.

Un reale potenziamento dell’intelligenza

Il sogno di Engelbart divenne realtà perché la Legge di Moore mantenne le sue promesse. Chi mostrò fiducia in questa legge spesso ebbe successo in quanto comprese, come lo stesso Engelbart, che i computer erano destinati a diventare economici e quindi avrebbero invaso il mercato. Furono queste persone che diedero vita a un nuovo corso: l’industria dei personal computer. Chi non riuscì a prevedere l’impatto della inesorabile miniaturizzazione si trovò in serie difficoltà; pressoché tutte le aziende della precedente ondata – l’industria dei minicomputer – fallirono o vennero acquisite.

Gran parte degli esperti attuali più accreditati concordano nel sostenere che la Legge di Moore sarà valida ancora per altri 10 anni o più. Se sono nel giusto, la densità dei transistor sarà in 10 anni circa 100 volte quella che è ora. Quando pensiamo al futuro dei computer come strumenti di potenziamento dell’intelletto umano, abbiamo un’idea precisa di cosa significherà un aumento di 100 volte delle attuali capacità di calcolo? C’è spazio per sogni ancora più grandi. Vorrei suggerirne qualcuno che potrebbe essere la molla fondamentale della storia futura dei personal computer.

Engelbart immaginava una figura da lui definita augmented architect: “Vediamo all’opera un architetto che accresce la potenza della mente umana. Egli siede a una stazione di lavoro dotata a un lato di uno schermo di quasi un metro; è il suo spazio operativo ed è controllato da un computer (il suo “aiutante”) con il quale comunica grazie a una piccola tastiera e ad altri congegni … Ogni persona che fa uso di concetti simbolici … dovrebbe beneficiarne ampiamente“.

Stiamo effettivamente utilizzando al meglio la potenza dei computer per potenziare il nostro intelletto? Non direi. I computer sono generalmente inconsapevoli del loro ambiente, delle persone e degli oggetti che li circondano. I computer non hanno telecamere per vedere quello che noi vediamo, per sapere quali libri e giornali ci sono in una stanza. Non interagiamo con loro in modi naturali, per esempio disegnando su un foglio (mentre il computer osserva con la sua telecamera) o su carta elettronica (sulla quale il computer può disegnare a sua volta). Noi non parliamo ai computer, né li ascoltiamo o facciamo gesti come accade normalmente tra persone.

Le nostra capacità di muoverci in un ambiente computerizzato non è granché superiore alla comprensione che hanno le macchine dell’ambiente umano. La migliore tecnologia coinvolgente di cui disponiamo oggi è il video game, non un pacchetto di design architettonico. Dedichiamo, purtroppo, buona parte della nostra energia collettiva e della nostra attenzione alla realtà virtuale per l’intrattenimento più che all’aspetto educativo e al potenziamento dell’intelletto.

Inoltre, ancora più grave del resto, il software per computer non interagisce realmente con noi. Esegue ciò che chiediamo, ma non prende alcuna iniziativa. I nostri computer non comprendono gli obiettivi dei progetti ai quali stiamo lavorando. Non guardano in avanti e ci affiancano incoscienti nelle nostre attività; in realtà procediamo da soli.

In effetti disponiamo, o presto avremo disponibile, di una potenza di calcolo sufficiente per produrre software consapevole, coinvolgente e interattivo, tale che gli spazi in cui lavoriamo, come architetti o ingegneri, scienziati o studenti, possano diventare normali ambienti interattivi e coinvolgenti. Abbiamo bisogno di finanziare l’impegnativa ricerca necessaria a far diventare una realtà questo sogno, di trovare e finanziare i sognatori.

Il nostro PC (tascabile)

Quasi 50 anni fa J.C.R. Licklider ipotizzò i computer come strumenti per la comunicazione. Quando parliamo di apparecchi mobili intelligenti – i Blackberries, i Treos e i Nokia Communicators – ne sottostimiamo l’importanza. Le loro capacità sono relativamente limitate. Confrontati ai telefoni cellulari, appaiono grandi e ingombranti, mentre comparati ai calcolatori portatili, i loro schermi e le loro tastiere sono miseramente piccoli. Poche persone li possiedono. Non ci sentiamo a nostro agio come con i normali PC.

Ma credo che siano altrettanto validi. La potenza di questi apparecchi crescerà rapidamente, come è successo nel caso dei PC, e saranno ancora più “personali” perché possono fare per noi molto di più di un portatile. Sono inoltre i naturali destinatari della ricerca tesa al miglioramento di connessioni e comunicazioni.

Così come le richieste che da casa inseriamo su Google girano su macchine situate altrove, il software che garantisce il funzionamento del nostro PC tascabile potrebbe trovarsi in server distanti, su computer condivisi con altri, ma di cui non dobbiamo avere cura.

Ciò significa che i PC da tavolo come noi li conosciamo scompariranno? Non sto dicendo una cosa simile. Ritengo, piuttosto, che questi ingombranti computer con le loro tastiere diventeranno meno personali e sempre più strumenti condivisi. Nella mia famiglia molti di noi hanno accesso a diversi computer che condividono tra loro le nostre informazioni personali. Nessuno di loro è il “mio” computer, anche se tutti lo sono quando è necessario. Le macchine individuali stanno diventando punti d’accesso per la mia presenza in rete.

Il telefono intelligente beneficerà notevolmente degli incrementi nella densità dei transistor previsti dalla Legge di Moore. Avrà più sensori, diventando uno strumento di controllo medico personale, un tricorder, un traduttore, un registratore, un interprete. Non ci sono limiti ai sogni.

Un consiglio al governo: pensare in grande

La ricerca di Engelbart venne sostenuta con convinzione dal governo. Ma ciò successe molto tempo fa. I finanziamenti federali per la ricerca teorica sono ora in gran parte venuti meno; gli enti vogliono ottenere un ritorno economico in tempi brevi e preferiscono sponsorizzare lavori su problemi specifici più che qualche tipo di ricerca pura, di pensiero libero, che porta alla nascita di nuovi settori industriali, come nel caso di Engelbart.

Durante l’amministrazione Clinton sono stato uno dei responsabili della Commission on Information Technology (PITAC) del presidente. La commissione consigliò il governo di pensare in grande e di riconoscere che i computer sarebbero stati l’elemento chiave della crescita economica futura, non solo dell’industria informatica. Spiegammo anche che, senza le nuove applicazioni computerizzate, gli Stati Uniti sarebbe diventati economicamente meno competitivi.

Storicamente, la maggior parte della ricerca d’avanguardia sui computer venne finanziata per la difesa nazionale, con una prospettiva realmente a lungo termine. Chiedemmo al governo di fare altrettanto con una serie di grandi progetti informatici. Ognuno di questi progetti era interdisciplinare e delineava possibili scenari futuri; ognuno creava un ambiente immaginario e determinava come sarebbe stato viverci dentro. I progetti avrebbero dovuto dar vita, così speravamo, a prototipi orientativi, a dimostrazioni simili al NLS di come gli enormi progressi nell’informatica e nelle comunicazioni − gli sviluppi futuri promessi dalla Legge di Moore – potevano essere sfruttati dalla generazione successiva di scienziati come Engelbart.

Le indicazioni del comitato non furono accettate. Anche se un eventuale presidente Gore li avrebbe sostenuti, l’attuale amministrazione non la pensa così e prevale la tendenza di lungo termine a privilegiare i finanziamenti governativi sulla ricerca a breve termine. Non sarà assolutamente facile per i giovani Doug Engelbart di oggi trovare chi li aiuti a realizzare i propri sogni.

Una vera vergogna, soprattutto ora che ci sono le condizioni per potenziare l’intelletto umano. Il nostro compito sarebbe di riprendere coraggiosamente in mano gli obiettivi di Engelbart. John Markoff ha reso a tutti un grande servizio, scrivendo un libro che ci ricorda l’insostituibile valore del pensare in grande.

Bill Joy ha progettato il Berkeley Unix ed è stato uno dei fondatori di Sun Microsystems. Ora è un collaboratore dell’azienda di venture capital Kleiner, Perkins, Caufield e Byers.

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