La lotta alla pandemia richiede un cambio di prospettiva

Alle prese con tutte le incertezze, il ruolo dell’epidemiologo durante la pandemia si è rivelato complesso. Una mentalità più pragmatica, legata alla risoluzione dei problemi, potrebbe aiutare a prendere buone decisioni condivise con i cittadini.

di Siobhan Robert

Gli ultimi 20 mesi hanno trasformato chiunque in un epidemiologo e statistico dilettante. Nel frattempo, un gruppo di epidemiologi e statistici ufficiali è arrivato a credere che i problemi della pandemia potrebbero essere risolti in modo più efficace adottando i metodi di un ingegnere: ovvero, concentrandosi sulla risoluzione pragmatica dei problemi con una strategia iterativa e adattiva per far funzionare le cose.

In un recente saggio, Accounting for uncertainty during a pandemic, i ricercatori riflettono sui loro ruoli durante un’emergenza sanitaria pubblica e su come potrebbero essere meglio preparati per la prossima crisi. La risposta, scrivono, potrebbe risiedere nel reinventare l’epidemiologia con una prospettiva legata più ai risultati che all’attenzione alla “scienza pura”.

La ricerca epidemiologica informa la politica di salute pubblica e il suo ruolo di prevenzione e la protezione. Ma il giusto equilibrio tra risultati della ricerca pura e soluzioni pragmatiche si è dimostrato difficile da perseguire durante la pandemia. “Ho sempre immaginato che in questo tipo di emergenza gli epidemiologi sarebbero stati utili”, afferma Jon Zelner, coautore del saggio. “Ma il nostro ruolo è stato più complesso e meno definito di quanto mi aspettassi all’inizio della pandemia”. 

Zelner, esperto di modelli di malattie infettive ed epidemiologo sociale presso l’Università del Michigan, ha assistito a una “folle proliferazione” di documenti di ricerca, “molti stilati senza pensare a cosa significassero realmente in termini di impatto positivo”. “Ci sono state una serie di opportunità mancate”, afferma Zelner, a causa dei collegamenti mancanti tra le idee e gli strumenti proposti dagli epidemiologi e chi avrebbero dovuto aiutare.

Rinunciare alla certezza

Il coautore Andrew Gelman, statistico e politologo della Columbia University, ha illustrato “il quadro più ampio” nell’introduzione del saggio. Ha paragonato lo scoppio della pandemia di epidemiologi dilettanti al modo in cui la guerra trasforma ogni cittadino in un geografo e tattico dilettante: “Invece di mappe con puntine colorate, abbiamo grafici di esposizione e conteggio delle morti; le persone per strada discutono dei tassi di mortalità dell’infezione e dell’immunità di gregge nel modo in cui avrebbero potuto dibattere strategie e alleanze in tempo di guerra in passato”.

Nel tentativo di capire cosa è appena successo e cosa è andato storto, i ricercatori (tra cui anche Ruth Etzioni dell’Università di Washington e Julien Riou dell’Università di Berna) hanno riesaminati i diversi passaggi fino a oggi. Hanno esaminato gli strumenti utilizzati per affrontare sfide come la stima del tasso di trasmissione da persona a persona e il numero di casi che circolano in una popolazione in un dato momento. 

Hanno valutato tutto, dalla raccolta dei dati (la qualità dei dati e la loro interpretazione sono state probabilmente le maggiori sfide della pandemia) alla progettazione del modello, all’analisi statistica, nonché alla comunicazione, al processo decisionale e alla fiducia. “L’incertezza è la costante”, hanno scritto.

Eppure, dice Gelman, l’analisi “non esprime ancora abbastanza la confusione che ho attraversato durante quei primi mesi”. Una tattica contro tutte le incertezze è la statistica. Gelman considera la statistica come “ingegneria matematica”, metodi e strumenti che riguardano tanto la misurazione quanto la scoperta. Le scienze statistiche cercano di illuminare cosa sta succedendo nel mondo, con un riflettore puntato sulla variazione e l’incertezza. Quando arrivano nuove prove, dovrebbero generare un processo iterativo che affina gradualmente le conoscenze precedenti e il livello di certezza.

Anche Susan Holmes, una statistica di Stanford che non è stata coinvolta in questa ricerca, vede paralleli con la mentalità ingegneristica. “Un ingegnere aggiorna sempre la propria immagine”, afferma, rivedendola man mano che nuovi dati e strumenti diventano disponibili. Nell’affrontare un problema, un ingegnere offre un’approssimazione di primo ordine (sfocata), quindi un’approssimazione del secondo ordine (più focalizzata) e così via.

Gelman, tuttavia, ha precedentemente avvertito che la scienza statistica può essere impiegata come una macchina per “riciclare l’incertezza”: deliberatamente o meno, i dati scadenti (incerti) vengono messi insieme e fatti sembrare convincenti (certi). Le statistiche contro le incertezze “sono fin troppo spesso vendute come una sorta di alchimia che trasformerà queste incertezze in certezze”.

Lo abbiamo visto durante la pandemia. Annegati tra sconvolgimenti e incognite, epidemiologi e statistici, sia dilettanti che esperti, hanno afferrato qualcosa di solido mentre cercavano di rimanere a galla. Ma come sottolinea Gelman, volere la certezza durante una pandemia è inappropriato e irrealistico. “La certezza prematura è stata parte della sfida delle decisioni nella pandemia”, afferma. “Questo saltare tra incertezza e certezza ha causato molti problemi”. Lasciar andare il desiderio di certezza può essere liberatorio, dice. E questo, in parte, è dove entra in gioco la prospettiva ingegneristica.

Una mentalità da bricolage

Per Seth Guikema, co-direttore del Center for Risk Analysis and Informed Decision Engineering dell’Università del Michigan (e collaboratore di Zelner su altri progetti), un aspetto chiave dell’approccio ingegneristico è immergersi nell’incertezza, analizzare il disordine, e poi fare un passo indietro con la prospettiva “Dobbiamo prendere decisioni pratiche, quindi è necessario stabilire quanto conta davvero l’incertezza.” Perché se l’incertezza non influisce davvero sulle mie decisioni migliori, allora si può andare avanti”.

Per esempio, l’aumento della copertura vaccinale per il SARS-CoV-2 in tutta la popolazione è uno scenario in cui, anche se c’è qualche incertezza su quanti casi o decessi eviterà la vaccinazione, è altamente probabile che diminuisca entrambi, con pochi effetti negativi effetti. Si tratta già di una motivazione sufficiente per decidere che un programma di vaccinazione su larga scala è una buona idea.

Gli ingegneri, sottolinea Holmes, sono anche molto bravi a scomporre i problemi in parti critiche, ad applicare strumenti accuratamente selezionati e ad ottimizzare le soluzioni sottoposte a vincoli. Con un team di ingegneri che costruiscono un ponte, c’è uno specialista in cemento e uno specialista in acciaio, un ingegnere del vento e un ingegnere strutturale. “Tutte i diversi specialisti concorrono alla soluzione”, dice.

Per Zelner, la nozione di epidemiologia come disciplina ingegneristica è qualcosa che ha ereditato da suo padre, un ingegnere meccanico che ha fondato la propria azienda progettando strutture sanitarie. Attingendo a un’infanzia piena di cose da costruire e riparare, la sua mentalità ingegneristica implica armeggiare, perfezionare un modello di trasmissione, per esempio, in risposta a un bersaglio in movimento.

“Spesso questi problemi richiedono soluzioni iterative, in cui si apportano modifiche in risposta a ciò che funziona o meno”, afferma. “Continui ad aggiornare ciò che stai facendo man mano che arrivano più dati e vedi i successi e gli insuccessi del tuo approccio. Per me è molto diverso—e più adatto ai problemi complessi e non stazionari che definiscono la salute pubblica—dal tipo di immagine statica che molte persone hanno della scienza accademica, dove si ha una grande idea, la si sperimenta e poi il risultato viene conservato nell’ambra per sempre”. 

Zelner e collaboratori all’università hanno trascorso molti mesi a costruire un sito web per la mappatura del covid per il Michigan, ed è stato coinvolto nella creazione di dashboard di dati, utili per informare il pubblico. Ma nel processo, ha visto una crescente discrepanza tra gli strumenti formali e ciò che era necessario per aggiornare il processo decisionale pratico in una crisi in rapida evoluzione.  

I risultati della ricerca non sono arrivati solo con le esortazioni del tipo: “Le persone dovrebbero fare questo!”, ma anche con un software accessibile che consente ad altri di armeggiare con gli strumenti a disposizione. Ma per la maggior parte, dice, gli epidemiologi fanno ricerca, non sviluppo: “Noi scriviamo software, e di solito è piuttosto scadente, ma è utile. Poi stiliamo un documento e spetterà a qualcun altro adattarlo al contesto più ampio. Ma questo non succede mai. Abbiamo assistito a una serie di fallimenti nel corso della pandemia”.

Si pensi all’equivalente di un centro nazionale di previsioni meteorologiche per le malattie infettive. “C’è la possibilità di raccogliere tutti i numeri del covid in un unico posto centrale”, spiega, “con un modello in grado di combinare coerentemente tali informazioni, generare previsioni accompagnate da rappresentazioni piuttosto accurate dell’incertezza e dire qualcosa di intelligibile e relativamente attuabile in una linea temporale abbastanza stretta”. All’inizio della pandemia, questa infrastruttura non esisteva. Ma di recente, ci sono stati segnali di progresso.

La scienza della salute pubblica è in rapido movimento

Marc Lipsitch, epidemiologo di malattie infettive ad Harvard, è il direttore scientifico del nuovo Center for Forecasting and Outbreak Analytics del Centers for Disease Control degli Stati Uniti, che mira a migliorare il processo decisionale e consentire una risposta coordinata e coerente a una pandemia mentre si sviluppa. “A oggi, non siamo molto bravi a prevedere le malattie infettive”, afferma Lipsitch. Ma anche nelle previsioni del tempo quando sono iniziate negli anni 1950 non stavamo meglio, osserva. “E poi la tecnologia è migliorata, la metodologia è migliorata, la misurazione è migliorata, il calcolo è migliorato. Con l’investimento di tempo e l’impegno scientifico possiamo migliorare la situazione”.

Un altro obiettivo è la capacità di condurre studi specifici per rispondere a domande specifiche che sorgono durante una pandemia e quindi produrre software di analisi personalizzato per fornire risposte tempestive a livello nazionale e locale. Queste iniziative sono in sintonia con la nozione di approccio ingegneristico, anche se Lipsitch le definirebbe semplicemente “scienza della salute pubblica in rapido movimento”.

“La buona scienza è umile e capace di affinarsi di fronte all’incertezza”, dice. “Gli scienziati, di solito su una scala temporale più lunga, anni o decenni, sono abbastanza abituati all’idea di aggiornare la nostra immagine della verità”. Ma durante una crisi, l’aggiornamento deve avvenire rapidamente. “Al di fuori delle pandemie, gli scienziati non sono abituati a modificare l’immagine del mondo ogni settimana o mese”, conclude. “Ma soprattutto in questa pandemia, con la velocità dei nuovi sviluppi e delle nuove informazioni, dobbiamo farlo”.

(rp)

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