L’AI al lavoro per prevedere lo sviluppo degli incendi

Gli strumenti di modellazione matematica cercano di porre rimedio al problema della imprevedibilità degli incendi boschivi.

di Saul Elbein

Al culmine della peggiore stagione mai registrata di incendi in California, Geoff Marshall, che dirige il Department of Forestry and Fire Protection (CalFire), guardò il suo computer e si rese conto che un enorme incendio stava per cogliere di sorpresa i vigili del fuoco. Il problema per lui era ovvio: il clima sempre più instabile e il rapido riscaldamento favoriva i cosiddetti “megaincendi” (un termine scientificamente privo di significato che si riferisce agli incendi che bruciano più di 100.000 acri), che si verificano sempre più spesso in tutto il mondo e particolarmente in vaste aree della California, del Cile, dell’Australia, dell’Amazzonia e dell’area mediterranea.

In quel momento, lo scorso settembre, in California diversi incendi senza precedenti stavano scoppiando simultaneamente, raddoppiando la superficie da record della stagione degli incendi del 2018 in meno di un mese. Ma altrettanto preoccupante per Marshall era che gli incendi più grandi spesso si comportavano in modi inaspettati, rendendo più difficile prevedere i loro movimenti.

Per affrontare questa nuova situazione, Marshall aveva un nuovo strumento a sua disposizione: il Wildfire Analyst, vale a dire un programma di previsione e modellazione degli incendi in tempo reale che Cal Fire aveva preso in licenza per la prima volta nel 2019 da TechnoSylva, un’azienda con sede in California.

Il lavoro di previsione sul modo in cui si propagavano gli incendi era stato a lungo una questione di modelli disegnati a mano, con la speranza che durassero l’arco di una giornata. Wildfire Analyst, invece, incanala i dati da dozzine di feed distinti: previsioni del tempo, immagini satellitari e misure di umidità in una determinata area. Quindi proietta tutto ciò su un’elegante sovrapposizione grafica di fuochi che bruciano in tutta la California.

Ogni notte, mentre i vigili del fuoco dormono, Wildfire Analyst ipotizza possibili incendi in quelle foreste digitali, pre-calcola la loro diffusione in modo che gli esperti umani come Marshall possano eseguire simulazioni in pochi secondi, creando possibili sviluppi che possono trasferire su Google Maps per mostrare ai loro superiori dove sono i rischi maggiori. Ma questo rischio particolare, si rese conto improvvisamente Marshall, era sfuggito al programma.

Il display mostrava un gruppo di “poligoni” rosa e verdi brillanti che strisciavano sul fianco orientale delle Sierras, vicino alla città di Big Creek. Questi poligoni, uno dei tanti feed trasferiti direttamente in Wildfire Analyst, provenivano da FireGuard, un feed in tempo reale del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti che stima le posizioni di tutti gli incendi. Il fuoco si stava diffondendo, molto più velocemente di quanto avrebbe dovuto lungo il Big Creek.

Uno strumento di modellazione chiamato Wildfire Analyst mostra come un incendio in California potrebbe diffondersi nell’arco di otto ore. Gli oggetti rossi sono edifici.

Nei suoi calcoli, Wildfire Analyst aveva fatto una serie di ipotesi. Da un lato di Big Creek “vedeva” un fitto bosco di legname compatto e pesante. Tradizionalmente si pensava che queste aree impedissero la rapida diffusione del fuoco, che i modelli attribuiscono in gran parte a combustibili fini come gli aghi di pino.

Ma Marshall si rese improvvisamente conto, come non avevano fatto gli algoritmi di Wildfire Analyst, che il sistema di drenaggio conteneva tutti gli ingredienti per una perfetta tempesta di fuoco. Quel “legno pesante”, lo sapeva, era in realtà un’enorme schiera di alberi morti indeboliti dagli scarafaggi, uccisi dalla siccità e cotti da due settimane di quasi 40 °C di calore che li aveva trasformati in perfetta legna da ardere. E la valle del Big Creek avrebbe indirizzato il vento sul fuoco come un mantice. Senza una stazione meteorologica alla foce del torrente, il programma non poteva vedere tutto questo.

Marshall tornò al suo computer e introdusse alcuni numeri tenendo conto delle nuove variabili. Osservò sullo schermo il fuoco che si diffondeva a una velocità spaventosa attraverso la Sierra. “Sono andato dai miei superiori e ho detto loro: penso che l’incendio salterà il fiume San Joaquin. E se lo fa, sarà un disastro”.

In quel momento, si trattava di un’affermazione inverosimile: nessun incendio della California aveva mai fatto una corsa di quasi 15 km in presenza di legname pesante, non importa quanto asciutto. Ma in questo caso, la combustione degli alberi ha creato potenti pennacchi di aria surriscaldata che hanno acceso nuovi focolai. Il fuoco ha saltato il fiume e ha corso attraverso il bosco fino a un bacino idrico noto come Mammoth Pool, dove un ponte aereo all’ultimo minuto ha salvato 200 campeggiatori dalla morte.

Il Creek Fire è stato un caso di studio nella sfida che devono affrontare gli odierni esperti in materia di incendi, che stanno cercando di prevedere come si muoverà il fronte del fuoco. Dal momento che la ricerca è ancora in uno stadio iniziale, gli esperti stanno usando strumenti matematici costruiti su presupposti obsoleti e piattaforme tecnologiche inadeguate. Programmi come Wildfire Analyst, sebbene utili, danno un’impressione di precisione e accuratezza che può essere fuorviante.

Anticipare i movimenti degli incendi più distruttivi richiederà non solo nuovi strumenti di calcolo, ma un cambiamento radicale nel modo in cui vengono gestite le foreste. Insieme al cambiamento climatico, politiche decennali di gestione della terra e dell’ambiente, intese a preservare le foreste che molti californiani si sentono in dovere di proteggere, hanno inavvertitamente aperto la strada a questa nuova era di incendi iper-distruttivi.

Ma se questi enormi incendi continuano, la California potrebbe vedere le foreste della Sierra cancellate completamente come quelle delle Blue Mountains australiane. Evitare questo scenario da incubo richiederà un cambio di paradigma. Residenti, comandanti dei vigili del fuoco e leader politici devono passare da schemi di prevenzione o di controllo degli incendi a imparare a conviverci. Ciò significherà abbracciare tecniche di gestione del fuoco che incoraggiano focolai più frequenti e consentire agli incendi di trasformare per sempre il paesaggio.

I presupposti scientifici sono traballanti

Alla fine di ottobre, Marshall ha condiviso il suo schermo e mi ha mostrato il funzionamento di Wildfire Analyst. Abbiamo visto i poligoni FireGuard fluorescenti animati dalla fiamma del più grande incendio boschivo della California, l’August Complex. Con pochi clic, ha sistemato quattro minuscoli fuochi virtuali lungo il bordo del fuoco reale, sul lato opposto della linea di fuoco che ne aveva bloccato il progresso. Pochi secondi dopo, il fuoco si è diffuso attraverso il paesaggio simulato. Nelle condizioni attuali, stima il modello, un incendio scoppiato in quei punti potrebbe “esplodere” fino a 8.000 acri – una corsa di oltre 5 km – entro 24 ore.

Per Marshall e il resto degli analisti di Cal Fire, Wildfire Analyst fornisce una piattaforma standardizzata su cui condividere i dati degli incendi che stannoseguendo, le proiezioni sulla strada che potrebbero percorrere e gli accorgimenti per fare in modo che un incendio simulato si avvicini al comportamento di uno reale. Con queste informazioni, cercano di anticipare dove si svilupperà l’ incendio, il che in teoria può guidare le decisioni su dove inviare gli equipaggi o quali regioni evacuare.

Come ogni modello, Wildfire Analyst è valido solo se lo sono i dati che lo alimentano e quei dati sono validi solo se è pertinente la nostra comprensione scientifica del fenomeno in questione. Quando si tratta della meccanica degli incendi boschivi, questa comprensione è “medievale”, afferma Mark Finney, direttore del Missoula Fire Lab del Servizio forestale statunitense.

Il nostro attuale approccio alla modellazione del fuoco, che alimenta ogni piattaforma analitica in tempo reale incluso Wildfire Analyst di TechnoSylva, si basa su un particolare insieme di equazioni che un ricercatore di nome Richard Rothermel ha elaborato al Fire Lab quasi mezzo secolo fa per calcolare la velocità del fuoco muoversi, con determinate condizioni di vento e con determinati combustibili.

L’ipotesi chiave di Rothermel, forse necessaria, dati gli strumenti di calcolo disponibili all’epoca, ma che ora sappiamo essere falsa, era che gli incendi si propagassero solo attraverso l’irraggiamento mentre la parte anteriore della fiamma cattura combustibili fini (aghi di pino, lettiera di foglie, ramoscelli) sul terreno.

Quella diffusione, scoprì Rothermel, si estendeva verso l’esterno in un bordo sottile e in espansione lungo un’ellisse. Per capire come sarebbe cresciuto un incendio, i vigili del fuoco sul campo hanno utilizzato “nomogrammi“, vale a dire grafici preconfezionati che assegnano valori specifici a velocità del vento, pendenza e condizioni del combustibile per rivelare una velocità media di propagazione.

All’inizio, dice Finney, “si metteva la cartella di nomogrammi sul cofano del pickup e si facevano le proiezioni con una matita spessa”, disegnando su una mappa topografica per capire dove il fuoco sarebbe stato dopo un’ora o più. Le equazioni di Rothermel hanno permesso agli esperti di modellare il fuoco come un gioco di Go, attraverso celle omogenee di un paesaggio bidimensionale.

Siamo rimasti così per decenni. Wildfire Analyst e strumenti simili rappresentano un riconfezionamento di questo approccio più che un passo avanti fondamentale. Ciò che serve ora è meno una tecnica per la previsione in tempo reale che una fondamentale rivalutazione dei meccanismi di funzionamento del fuoco e uno sforzo concertato per riportare il territorio della California a qualcosa che si avvicini a un equilibrio naturale.

Josh Berendes / Unsplash

Le varianti sono complesse

Il problema con prodotti come Wildfire Analyst e per esperti come Marshall è facile da segnalare, ma difficile da risolvere. Un incendio non è un sistema lineare, che procede per causa ed effetto. È un sistema “accoppiato” in cui causa ed effetto si intrecciano. Anche nel caso di una candela, l’accensione dà il via a una reazione autosufficiente che deforma l’ambiente circostante, modificando ulteriormente l’intero sistema: il carburante si decompone in fiamma, risucchia aria, che alimenta ulteriormente il fuoco e scompone più carburante.

Tali sistemi sono notoriamente sensibili anche a piccoli cambiamenti, il che li rende diabolicamente difficili da modellare. Una piccola variazione nei dati di partenza può portare, come con i calcoli di Creek Fire, a una risposta esponenzialmente sbagliata. In quanto a complessità non lineare, il fuoco è molto simile al tempo atmosferico, ma i modelli fluidodinamici computazionali utilizzati per fare previsioni, per esempio, dal National Weather Service utilizzano supercomputer. I modelli che tentano di catturare la complessità di un incendio sono in genere centinaia di volte più semplici.

Scienziati pionieri come Rothermel hanno affrontato questo problema ignorandolo. Invece, hanno cercato fattori, come la velocità del vento e la pendenza, che potrebbero aiutarli a prevedere la prossima mossa di un incendio in tempo reale. Guardando indietro, dice Finney, è un miracolo che le equazioni di Rothermel funzionino per gli incendi. C’è la differenza di scala: Rothermel ha derivato le sue equazioni da minuscoli fuochi controllati accesi in letti di combustibile da 50 cm. Ma ci sono anche errori di fondo. Quello più lampante è stata l’ipotesi di Rothermel che il fuoco si diffonda solo per irraggiamento, invece che attraverso i moti convettivi che si vedono quando un falò lampeggia.

Questa ipotesi non è vera, eppure per alcuni incendi, anche enormi come il Northwest Oklahoma Complex del 2017, che ha bruciato più di 780.000 acri, le equazioni di Rothermel sembrano ancora valide. Ma a certe scale, e in certe condizioni, il fuoco crea un nuovo tipo di sistema che sfida ogni tentativo del genere di descriverlo.

Il Creek Fire in California, per esempio, non è stato così distruttivo in termini di acri bruciati. Ha dato vita a un pennacchio di aria calda che si è accumulato sotto la stratosfera, come il vapore contro il coperchio di una pentola a pressione. Poi è arrivato a un’altezza di 15 km, aspirando l’aria dal basso che ha spinto le fiamme, creando una tempesta, completa di fulmini e tornado di fuoco.

Gli incendi di solito si placano di notte, ma nel 2020, due tra i più grandi in California sono scoppiati di notte. Poiché il calore aumenta, gli incendi di solito bruciano in salita, ma nel Bear Fire, due enormi teste di fiamma si sono sviluppate per 35 km in discesa, con una linea di pennacchi a guisa di tornado che girava tra di loro.

Illusioni

Per Finney e altri scienziati del fuoco, il pericolo con prodotti come Wildfire Analyst non è necessariamente legato all’imprecisione. Tutti i modelli lo sono. È che nascondono le soluzioni all’interno di una scatola nera e, cosa molto più importante, si concentrano sul problema sbagliato. A differenza di Wildfire Analyst, la vecchia generazione di strumenti richiedeva che gli esperti sapessero esattamente quali coperture e ipotesi stavano facendo. I nuovi strumenti delegano tutto al computer. 

“Puoi sempre calibrare il sistema in seguito in modo che corrisponda alle osservazioni”, afferma Brandon Collins, un esperto di incendi dell’UC Berkeley. “Ma come prevederlo in anticipo? Farlo è una questione di scienza piuttosto che di tecnologia: richiederebbe una ricerca primaria per sviluppare e testare una nuova teoria della fiamma. Ma tale lavoro è costoso e la maggior parte dei soldi per la ricerca sugli incendi viene destinata alla soluzione di problemi tecnici specifici. 

Il Missoula Fire Lab sopravvive con i resti di un budget dell’era della Great Society, ossia l’insieme di programmi nazionali statunitensi di riforma annunciati dal presidente Lyndon B. Johnson. La sua struttura gemella, il Macon Fire Lab, in Georgia, è stata chiusa negli anni 1990.

Collins e Finney fanno entrambi parte di un gruppo di lavoro pubblico-privato sulla scienza del fuoco chiamato Pyregence, che sta convertendo un silo di grano in una fornace per vedere come i tronchi di grandi dimensioni, come gli alberi sradicati di Big Creek, diffondono il fuoco. Nel frattempo, il team di Finney al Missoula Fire Lab sta lavorando per sviluppare un set di dati che risponda a domande fondamentali sul fuoco, per fornire una potenziale base per nuovi modelli.

Le loro ricerche mirano a descrivere come il vento sui tronchi fumanti guidi nuovi fronti di fiamma, quantificare la probabilità che le braci lanciate da una fiamma “individuino” o accendano nuovi fuochi e il ruolo che le pinete sembrano svolgere nell’alimentare il loro stesso incendio. Lo scopo di questi modelli non è tanto vedere come si svilupperà un particolare incendio una volta che è scoppiato, ma servire come strumento di pianificazione per aiutare i californiani a gestire meglio il territorio.

Come gli ecosistemi in Cile, Portogallo, Grecia e Australia, tutte nazioni che hanno recentemente subito diversi mega incendi, le foreste di conifere della California si sono evolute nel corso di migliaia di anni in cui gli incendi naturali e causati dall’uomo hanno periodicamente eliminato il combustibile in eccesso e creato lo spazio e i nutrienti per nuova crescita.

Prima del XIX secolo, si pensa che i nativi americani avessero deliberatamente bruciato ogni anno circa la quantità di California che ha preso fuoco nel 2020. Pratiche simili sopravvissero fino agli anni 1970: gli allevatori ai piedi della Sierra bruciavano i cespugli per incoraggiare nuova crescita per far mangiare i loro animali. I taglialegna hanno prelevato tonnellate di legname dalle foreste, bruciando i detriti lasciati sul posto.

Poi, quando gli allevatori fallirono e vendettero la loro terra ai costruttori, i pascoli divennero comunità residenziali. Le norme sull’aria pulita scoraggiavano gli allevatori rimasti dall’appiccare fuochi. Decenni di conflitto tra le organizzazioni ambientaliste e le aziende di disboscamento finirono, negli anni 1990, con i taglialegna che disertarono le foreste che un tempo avevano tagliato.

Nella Sierra, come in queste altre regioni ora soggette a enormi incendi distruttivi, il territorio fortemente alterato nel suo equilibrio naturale, è stato in gran parte abbandonato. Milioni di acri di pini crescevano e finivano uccisi dalla siccità e dai coleotteri della corteccia, accumulandosi e diventando futuro combustibile. Gli incendi che avrebbero potuto ripulire il terreno e resettare la foresta furono impediti dal servizio forestale statunitense e da Cal Fire, il cui obiettivo principale era diventato la soppressione degli incendi.

Liberarsi da questa eredità non sarà facile. Il futuro verso cui Finney sta lavorando è quello in cui le persone possono confrontare vari modelli e decidere quale funzionerà meglio per una data situazione. Lui e il suo team sperano che dati migliori porteranno a modelli di pianificazione più avanzati che, afferma, “potrebbero darci la fiducia necessaria per lasciare che alcuni incendi brucino e facciano il nostro lavoro”.

Tuttavia, egli dice, concentrarsi troppo sui modelli rischia di far perdere di vista una domanda più importante: “E se ignorassimo l’aspetto fondamentale degli incendi boschivi, ossia che abbiamo bisogno di più fuoco, fuoco adeguato, in modo da non lasciare che gli incendi ci sorprendano e ci distruggano?”.

Convivere con gli incendi

Nel 2014, il King Fire ha imperversato nella Sierra della California, lasciando una profonda cicatrice sul territorio dove gli alberi non sono ancora ricresciuti. Al loro posto, dice la silvicoltrice del servizio forestale Dana Walsh, si vedono ora estese macchie di chaparral, una vegetazione arbustiva facilmente infiammabile. “La gente si chiede cosa succede se lasciamo che la natura faccia il suo corso dopo un grande incendio”, dice Walsh. “Si ottengono 30.000 acri di chaparral”.

Questo è il pericolo che devono affrontare i territori dai Pirenei alla Sierra della California alle Blue Mountains australiane, afferma Marc Castellnou, un esperto catalano di incendi, consulente di TechnoSylva. Negli ultimi due decenni, ha studiato l’ascesa dei mega incendi in tutto il mondo, osservandoli mentre infrangevano record di estensione e velocità di diffusione.

Per troppo tempo, egli spiega, la politica antincendio e forestale della California ha resistito a un inevitabile cambiamento del territorio. Lo stato non ha bisogno di strumenti predittivi impeccabili per vedere in che direzione si muovono le sue foreste, in quanto il combustibile e l’energia si stanno accumulando e l’atmosfera si sta riscaldando. Il paesaggio si riequilibrerà.

La scelta della California – come in Catalogna, dove Castellnou è il responsabile scientifico dei 4.000 corpi dei vigili del fuoco della provincia autonoma – è di assecondare questo cambiamento e avere qualche possibilità di influenzarlo, o essere travolti dai mega incendi. L’obiettivo non è quello di rigenerare le foreste native in queste aree – che Castellnou ritiene siano state rese obsolete dai cambiamenti climatici – ma lavorare sul territorio per sviluppare un nuovo tipo di foresta in cui è meno probabile che gli incendi si trasformino in calamità eccezionali.

In larga misura, il suo approccio consiste nel tornare alle vecchie tecniche di gestione del territorio. Le popolazioni rurali della sua regione una volta controllavano gli incendi distruttivi avviando o consentendo frequenti incendi di bassa intensità e utilizzando il bestiame per divorare i cespugli nel frattempo. Piantarono anche specie di legno duro, resistente al fuoco, che si ergevano come sentinelle, bloccando le fiamme.

Per Castellnou, però, questo modo di procedere significa anche fare scelte politicamente difficili. Nel luglio 2019, appena fuori Tivissa, in Spagna, l’ho visto spiegare a un gruppo di sindaci rurali catalani e olivicoltori perché aveva lasciato bruciare l’area intorno alle loro città. La sua preoccupazione era che un rallentamento degli incendi catalani avrebbe potuto far sì che si formasse un pirocumulonembo, una violenta nuvola di fuoco, tuoni e vento come quella che si era formata sul Creek Fire. 

Per quanto gli incendi pianificati siano difficili per molti da accettare, lasciare che gli incendi brucino le città, anche quelle evacuate, è una scelta che appare più disastrosa. La sostituzione delle foreste incontaminate della Sierra Nevada con un paesaggio in grado di sopravvivere sia alla siccità sia agli incendi più distruttivi – per esempio, boschi aperti di pino ponderoso punteggiati da campi d’erba, con allevamenti di capre o bovini – potrebbe sembrare una perdita irrinunciabile.

Fare bene tutto ciò significa adottare un cambiamento nella filosofia grande quanto qualsiasi cambiamento nella tecnologia o nella scienza predittiva, in cui il fuoco viene visto di nuovo come parte naturale dell’ambiente. “Non stiamo cercando di salvare il paesaggio”, conclude Castellnou, “ma di creare scenari futuri di sviluppo del territorio”. 

Immagine di: David Ryder / Getty Images

(rp)

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