L’attivista che combatte il razzismo nella polizia

Hamid Khan, il fondatore della Stop LAPD Spying Coalition, sta vincendo la sua lotta per l’abolizione della tecnologia di sorveglianza utilizzata dal dipartimento della polizia della città di Los Angeles.

di Tate Ryan-Mosley e Jennifer Strong

Hamid Khan, organizzatore di comunità a Los Angeles da oltre 35 anni, si è sempre occupato della violenza della polizia e dei diritti umani. Ci ha parlato il 3 aprile 2020, per l’imminente pubblicazione di un podcast sull’intelligenza artificiale e le forze dell’ordine. Mentre il mondo rivolge la sua attenzione alla brutalità della polizia e al razzismo istituzionale, abbiamo pensato che la nostra conversazione su come Khan ritiene che la tecnologia favorisca il razzismo nella polizia debba essere pubblicata ora.  

Khan ha vinto molte cause giudiziari importanti per conto delle minoranze per le quali combatte. Il suo impegno forse più noto è quello per il patrocinio contro i software di polizia predittiva. Il 21 aprile, poche settimane dopo questa intervista, il LAPD ha annunciato la chiusura di tutti i programmi di questo tipo.

Khan è una figura controversa che ha rifiutato le partnership con gruppi come la Electronic Frontier Foundation (EFF) a causa dei contrasti sulla possibilità di intervenire con una riforma. L’intervista non è integrale. 

Ci parli del suo lavoro. Perché è così interessato ai sistemi di sorveglianza della polizia?

Il lavoro che svolgiamo, in particolare guardando il dipartimento di polizia di Los Angeles, esamina come la sorveglianza, la raccolta, l’archiviazione e la condivisione delle informazioni siano state storicamente utilizzate per monitorare,  perseguitare e danneggiare determinate comunità, in genere povere e a prevalenza nera. Credo si possa dire che la sorveglianza è un processo di controllo sociale. 

Qual è il ruolo della tecnologia nei sistemi  di polizia?

La Stop LAPD Spying Coalition ha alcune idee guida. La prima è che quanto vediamo ora si pone in continuità con il passato. La sorveglianza è attiva da centinaia di anni. Alcuni dei primi sistemi risalgono alle leggi sulle lanterne di New York nei primi anni del XVIII secolo. Se eri un schiavo, un nero o un indigeno, e se uscivi nell’area pubblica senza il tuo padrone, dovevi camminare con una lanterna con lo stoppino per auto-identificarti come sospetto, come “l’altro”.

Una seconda idea è che c’è sempre un “altro”. Storicamente parlando, c’è sempre una “minaccia al sistema”. C’è sempre un corpo, un individuo o gruppi di persone ritenute pericolose e considerate sospette. 

La terza è che cerchiamo sempre di demistificare la retorica della sicurezza nazionale. Per chiarire proviamo a mostrare come vengono raccolte e condivise le informazioni e come possano servire a esercitare un controllo sociale.

Infine, la nostra lotta è radicata nei diritti umani. Siamo un gruppo abolizionista, quindi il nostro obiettivo è smantellare il sistema. Non ci interessa cercare di riformare le cose. Consideriamo inoltre qualsiasi politica delle forze dell’ordine in termini di trasparenza, responsabilità e finalità. Ogni volta che la sorveglianza viene legittimata, allora si crea una situazione che può sfuggire al controllo democratico. 

In questo momento, stiamo combattendo per mantenere i droni a terra a Los Angeles, come siamo già riusciti a fare con successo negli anni passati. Alla fine di marzo, il dipartimento di polizia di Chula Vista a San Diego ha annunciato che doterà i suoi droni di altoparlanti per monitorare il movimento di persone senza dimora.

I leader di Stop LAPD Spying Coalition: Hamid Khan (a destra), Jamie Garcia (al centro) e Gen Dogon (a sinistra).DAMON CASAREZ

Perchè il suo movimento Stop LAPD Spying Coalition si sta opponendo ai sistemi di polizia predittiva? 

PredPol era una sorveglianza predittiva basata sulla posizione in cui un territorio di 50 per 50 metri quadrati veniva identificato come hot spot. Il programma di accompagnamento, Operation Laser, era un sistema basato invece sulle persone. Nel 2010, abbiamo esaminato i vari modi in cui funzionavano questi programmi del LAPD. Nel 2016 abbiamo lanciato formalmente una campagna per comprendere l’impatto dei software di polizia predittiva a Los Angeles con l’obiettivo di smantellare il programma e informare le comunità.

Le attività di polizia predittiva fanno riferimento a persone che sono definite “a rischio” o “criminali abituali”, che potrebbero avere precedenti o si trovano in situazioni favorevoli alla reitazione del “crimine”. Il sistemi si basa sui numeri. Se in passato possedevano armi da fuoco, venivano assegnati cinque punti. Se erano in libertà vigilata, cinque punti. Se erano affiliati a una banda, cinque punti. Se si trovavano in stato di fermo, un punto. E chi provava a ricostruire la sua vita si trovava coinvolto a suo insaputa nel Chronic Offender Program.

Quindi, sulla base di questa valutazione del rischio, in cui Palantir sta elaborando tutti i dati, il LAPD ha creato un elenco. Hanno iniziato a pubblicare bollettini, che erano come una specie di lista dei più ricercati d’America, con le foto, gli indirizzi e la storia di questi individui, e l’hanno distribuita alle auto di pattuglia insieme a lettori di targhe, sistemi di intercettazione telefonica, telecamere a circuito chiuso e varie altre tecnologie per monitorare i loro movimenti, e quindi creare condizioni sul terreno per fermarli e intimidirli. Abbiamo combattuto una lunga battaglia e nell’aprile 2019 l’Operation Laser è stata sospesa.

E ora stiamo chiedendo che anche il software di PredPol venga smantellato (LAPD aveva annunciato la fine di PredPol per il 21 aprile del 2020). Questo programma è spazzatura: dati razzisti in entrata e dati razzisti in uscita. E’ uno strumento al servizio di un sistema ideologico ispirato a patriarcato, capitalismo, supremazia bianca e colonialismo.

Nel maggio del 2018, abbiamo pubblicato un rapporto, Before the bullett hits the body, sulla polizia predittiva a Los Angeles, che ha indotto la città di Los Angeles a tenere audizioni pubbliche, le prime del genere, su questo sistema utilizzato dalla polizia. Abbiamo richiesto una verifica forense di PredPol da parte dell’ispettore generale che, a marzo del 2019, ha detto di non poter fare una valutazione. È tutto così complicato.

Gli algoritmi non dovrebbero avere spazio nella polizia. Ci sono vite in gioco. Questo tipo di software basato sulla localizzazione è un grimaldello per il razzismo. Non si tratta di  buche e alberi. Se ci si trova in un luogo sospetto, il passaggio alla criminalizzazione è breve e non è così difficile che qualcuno perda la vita.

Come si può fare in modo che ci sia trasparenza? 

I registri pubblici sono davvero un ottimo strumento per avere informazioni. Qual è l’origine di questo programma? Vogliamo sapere: quali sono gli obiettivi? Come è stato articolato? Cosa si vuole  ottenere con i finanziamenti? Quando il LAPD considera un’area una zona a rischio, le persone che si trovano lì vengono fermate a un ritmo molto più veloce. Ogni volta che si ferma qualcuno, tali informazioni vanno in un database, che è diventato un importante programma di raccolta dati. 

Abbiamo chiesto che rilasciassero la lista segreta che avevano di queste persone. Il LAPD si è rifiutato e abbiamo vinto la causa pubblica. Quindi ora abbiamo un elenco segreto di 679 persone, che stiamo cercando di raggiungere. Si tratta di giovani, dal 90 al 95 per cento di pelle nera o scura.

Cosa dice a chi sostiene che l’oggettività della tecnologia possa aiutare a mitigare i pregiudizi nella polizia? 

Innanzitutto, la tecnologia non funziona da sola. Dalla progettazione al prodotto finale si riscontra un costante pregiudizio incorporato. Non sono solo i pregiudizi delle persone stesse; è il pregiudizio intrinseco al sistema in quanto tale. La nostra lotta non è per arrivare a un algoritmo imparziale, perché non crediamo che possa essercene uno per la polizia.

Quali sono le considerazioni sui diritti umani in materia di tecnologia e sorveglianza quando si parla di polizia?

Il primo diritto umano sarebbe quello di smettere di fare sperimentazioni sulle persone. Si raccolgono troppi dati sulle nostre vite. Le nostre menti e i nostri pensieri sono stati mercificati. Questa situazione ha un effetto stupefacente anche sulla nostra creatività come esseri umani, come parte di un universo naturale. Il consenso viene prodotto fuori da noi.

Con il coronavirus, stiamo vedendo che alcune persone sono disposte a rinunciare a parte della loro privacy. Cosa ne pensa di questo compromesso tra vantaggio sociale e privacy? 

Dobbiamo guardarlo attraverso una prospettiva di lungo periodo, esaminando le crisi del passato, sia reali sia inventate. Diamo un’occhiata alle Olimpiadi del 1984 a Los Angeles. Ciò ha portato all’espansione più massiccia dei poteri di polizia e alla militarizzazione del dipartimento di polizia di Los Angeles e del dipartimento dello sceriffo sotto le spoglie della pubblica sicurezza. La parola d’ordine era: “Vogliamo garantire la sicurezza di tutti”. 

Non solo è diventata una caratteristica permanente e la nuova normalità, ma sono state intraprese una serie di iniziative perché le strade dovevano essere “ripulite”, i sospetti perquisiti, i senzatetto spostati con la forza. Le gang  si fecero sentire e giovani neri e di pelle scura vennero arrestati in massa.

Tra il 1986 e il 1987 a Los Angeles, le guerre tra bande diventarono un elemento permanente. Ciò ha comportato enormi database di gang, che comprendevano anche bambini di appena nove mesi. Venne lanciata l’Operazione Hammer, con carri armati e veicoli corazzati, usati dalla SWAT, per contrastare reati di droga di basso livello e per abbattere le case delle persone.

Ora siamo di nuovo in un momento cruciale. Non è solo l’espansione strutturale dei poteri di polizia, ma il ruolo che sta svolgendo nel campo dell’assistenza sociale, che si è andato affermando negli ultimi 10 anni. Circola molto denaro per la salute e i servizi umani. Per esempio, a Los Angeles, il City Controller ha pubblicato un rapporto sui senzatetto circa cinque anni fa in cui era previsto uno stanziamento 100 milioni di dollari per servizi a loro favore. Beh, a chi sono andati questi soldi? 87 milioni di dollari al LAPD.  

Ci può fornire un esempio specifico delle ricadute sulla comunità dell’uso della tecnologia da parte della polizia?

La polizia che si affida all’intelligence è un concetto che viene dall’Inghilterra, dal distretto del Kent, e ha preso piede circa 30 anni fa negli Stati Uniti. L’obiettivo principale di questa strategia è la sorveglianza comportamentale. Il comportamento delle persone deve essere monitorato, quindi elaborato e le informazioni devono essere condivise. Le persone devono essere rintracciate e monitorate.  

Dopo l’11 settembre si è diffuso il Suspicious Activity Reporting, un programma in cui diverse attività costituzionalmente protette sono elencate come potenzialmente sospette. Per esempio, scattare fotografie e utilizzare videocamere in pubblico, entrare nelle infrastrutture e chiedere informazioni. Si va alla ricerca di comportamenti ragionevolmente indicativi di una pianificazione dell’attività criminale e/o terroristica. Non si parla di fatti, ma di preoccupazioni. Il trionfo della logica del sospetto.  

Siamo riusciti a ottenere alcuni dati del programma See Something, Say Something del LAPD. Abbiamo scoperto che circa il 70 per cento dei rapporti del See Something, Say Something arriva da comunità a prevalenza bianca di Los Angeles. Una vera autostrada per la discriminazione razziale. L’obiettivo rimane l’abolizione di questi programmi, perché non è possibile riformarli. Non esiste un razzismo soft. Questi programmi devono essere smantellati.

Quindi, secondo lei nessun tentativo di riforma permetterà di usare queste tecnologie nella polizia?

Posso solo parlare della mia storia di 35 anni di organizzatore a Los Angeles. Non stiamo parlando di un miglioramento, ma di un peggioramento promosso dalla tecnologia. Non possiamo realmente operare partendo dal presupposto che i cuori e le menti possono cambiare, in particolare quando qualcuno ha una licenza per uccidere. Non sono un esperto di tecnologia, ma mi sento di dire ai tecnologi: “Restate al vostro posto”.

Immagine: Hamid Khan. Damon Casarez

(rp)

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