L’audace complotto della CIA per rubare un satellite sovietico

La storia di una squadra di spie in Messico che ha messo le mani sui segreti spaziali della Russia e potrebbe aver cambiato il corso della Guerra Fredda.

di Jeff Maysh

Alla fine di ottobre del 1959, una spia messicana di nome Eduardo Diaz Silveti entrò di nascosto nell’ambasciata degli Stati Uniti a Città del Messico. Alto e di bella presenza, il trentenne Silveti discende da una famiglia di toreri. Aveva imparato l’arte dello spionaggio presso la direzione della sicurezza federale, o DFS, la polizia segreta del Messico. Durante la Guerra Fredda, la capitale era stata così invasa dalle spie comuniste che la CIA aveva chiesto l’aiuto dei servizi segreti messicani nella loro lotta contro l’Unione Sovietica. “Dovevo salire al settimo piano”, ha ricordato Silveti durante un’intervista a “Tercer Milenio”, un programma televisivo messicano andato in onda nel 2019, “per incontrare Scott”. 

Winston Scott, 49 anni, è stato il primo segretario dell’Ambasciata degli Stati Uniti. Quella era la sua copertura. In realtà, l’uomo dai capelli d’argento proveniente dall’Alabama, era a capo di una struttura di spionaggio della CIA in America Latina. Ex crittografo dell’FBI, era arrivato a Città del Messico nel 1956 e aveva trasformato la stazione della CIA in uno dei gruppi di controspionaggio di maggior successo al mondo. 

Ha intercettato i telefoni delle ambasciate sovietiche e cubane, ha messo sotto controllo l’aeroporto e ha persino reclutato il presidente messicano López Mateos come prezioso informatore, schierando le spie crudeli e corrotte del DFS nelle pattuglie di fanteria nella guerra americana con Mosca. Aveva convocato Silveti nel suo ufficio, secondo il messicano, per offrirgli una missione top secret che era “tremendamente necessaria per gli Stati Uniti”. 

Se avessero sbagliato a muoversi, Scott aveva avvertito che “sarebbe potuta scoppiare la terza guerra mondiale”, ha ricordato Silveti. 

Madison Ketcham

La posta in gioco è alta

Alcune settimane prima, il 4 ottobre 1959, una colonna di fuoco aveva illuminato il cielo sopra il cosmodromo di Baikonur in Kazakistan, una remota struttura spaziale sovietica. Quella notte, un razzo sovietico Luna 8K72 aveva ruggito nel cielo trascinando un pennacchio di scarico bianco. Raggiunto il bordo dell’atmosfera, aveva liberato i suoi razzi e mandato nello spazio una sonda spaziale più piccola: Luna 3. Il velivolo aveva le dimensioni di un grande bidone della spazzatura e si trattava, forse, della macchina più sofisticata mai inviata nello spazio. Le sue quattro antenne simili a insetti ricevevano segnali radio dai sovietici, che la guidavano in un viaggio per vedere ciò che nessun essere umano aveva mai visto: il lato nascosto della Luna. 

Per due giorni, Luna 3 ha navigato nello spazio, fino a quando il 7 ottobre è scomparsa dietro la luna per 40 minuti. A bordo, la sonda vantava una fotocamera, un elaboratore automatico di pellicole e uno scanner, e prima di allontanarsi nel cosmo ha trasmesso 17 fotografie del volto opposto della Luna. A Mosca, i sovietici hanno celebrato la loro ultima vittoria spaziale sull’America.

Erano passati due anni da quando i sovietici avevano lanciato lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale mandato in orbita intorno alla Terra. Mentre orbitava su Kansas, Iowa e New York, gli americani curiosi hanno sintonizzato gli stereo delle loro auto per sentire il segnale elettronico. La gente temeva che se i sovietici avessero potuto lanciare sonde intorno alla Terra e alla Luna, avrebbero potuto facilmente sganciare una bomba nucleare su Washington o Los Angeles. In risposta, gli Stati Uniti costruirono razzi e i bambini americani impararono a rannicchiarsi sotto i banchi di scuola durante le esercitazioni per difendersi dagli effetti di una eventuale bomba atomica. 

I giornali americani suggerirono che la missione di Luna fosse una bufala e l’hanno chiamata, erroneamente, “Lunik”, come Sputnik. In risposta, l’agenzia di stampa russa Tass ha rilasciato le fotografie di Luna e una mappa del lato opposto del  satellite terrestre con note in russo.

“Il presidente Eisenhower … è in preda al panico”, disse Scott, secondo l’intervista di Silveti a “Tercer Milenio”. Il presidente americano aveva speso 110 milioni di dollari – quasi un miliardo di dollari odierni – cercando di lanciare il suo Sputnik, ma stava perdendo la pazienza: il programma CORONA della CIA non procedeva bene. Sette razzi avevano fallito il lancio o erano precipitati nell’Oceano Pacifico senza nemmeno raggiungere l’orbita mentre un astronauta sovietico si addestrava per camminare sulla luna. La navicella spaziale Luna 3 conteneva i segreti del successo del Soviet e, secondo Scott, c’era un’opportunità all’orizzonte per rubarli.

I vanagloriosi sovietici avevano inviato i loro razzi Luna in un tour mondiale. In una mostra a New York, le spie americane avevano confermato che una sonda della missione Luna in mostra era autentica. La CIA ha complottato per “sequestrare” il veicolo spaziale, comprenderne i segreti e rimetterlo a posto senza che i sovietici lo sapessero. Ma non hanno osato manometterlo sul suolo americano.

Da sinistra a destra: Warren Dean, Winston Scott, Eduardo Diaz Silveti, Robert Zambernardi. Madison Ketcham

La CIA venne a sapere che il 21 novembre la mostra sovietica era diretta all’Auditorio Nacional di Città del Messico. Una bolla di spedizione intercettata parlava di “modelli di apparecchiature astronomiche”. Le dimensioni della cassa corrispondevano al razzo Luna: 5,20 metri di lunghezza e 2,4 di larghezza. La CIA aveva solo bisogno di alcune ore per smontare, fotografare, raschiare il razzo per i resti di combustibile liquido e ispezionare le diverse parti che avrebbero potuto fornire loro informazioni sulla tecnologia sovietica.

Silveti aveva motivi per rifiutare l’incarico. Secondo il suo libro, Secuestro, pubblicato in spagnolo con l’autore Francisco Perea nel 1987, la moglie di Silveti era malata terminale. In quel momento lavorava per lo stato maggiore presidenziale e suo fratello Alberto era il segretario privato del presidente Mateos. L’imbarazzo politico sarebbe stato un disastro, dal momento che il governo messicano stava cercando di presentarsi come amico sia dell’URSS che dell’America. Ma in un certo senso, Città del Messico era il posto perfetto per rubare un razzo delle dimensioni di uno scuolabus da sotto il naso della polizia segreta sovietica. 

“Mi sono ripetutamente chiesto: Cosa devo fare?”,  ”ricorda Silveti nella sua intervista. Ha detto di essersi confidato con il capo di gabinetto del presidente, José Gómez Huerta, che gli ha consigliato di accettare: “”Fallo! Stai molto attento però e tienimi sempre informato su come procede”. Scott e la CIA avevano già preso in considerazione altri piani per rubare la sonda. Il 19 novembre, a qualche km di distanza dal fiume Panuco che sfocia nel Golfo del Messico, due spie americane osservrono la nave sovietica che trasportava Luna arrivare al porto di Tampico. 

Il primo era Robert Zambernardi, un ufficiale della CIA italo-americano del Massachusetts. Con la pelle abbronzata e i baffi neri cadenti, poteva passare per un locale durante le operazioni segrete ed era un esperto di fotografia, crittografia e travestimenti. Zambernardi controllava anche una squadra di mercenari che chiamava Rudos – “ragazzi duri” – della corrotta e violenta polizia giudiziaria federale messicana che, secondo il giornalista messicano e noto  personaggio televisivo Jaime Maussan, che ha intervistato Zambernardi per un libro del 2017 sulla missione, Operacion LightFire, hanno fatto “sparire” gli americani traditori. 

Il secondo uomo era Warren L. Dean, il vice capo del comando CIA di Winston Scott. Uomo di mondo, Dean si era unito all’FBI e aveva inseguito i nazisti in Bolivia e Cile, prima di servire sotto Scott a Londra e poi unirsi a lui a Città del Messico. Dean vide che il carico dalla nave sovietica veniva caricato su un treno e chiese al suo collega se potevano in qualche modo prelevarlo durante il suo tragitto verso l’auditorium.

Secondo quanto scritto in Operación Lightfire, Zambernardi, dissuase Dean dall’idea di organizzare una rapina in grande stile al treno, obiettando che avrebbero potuto ritardare il trasferimento del carico di qualche ora. I vagoni merci venivano lentamente caricati con ogni tipo di oggetti della vita russa: dai francobolli con falce e martello, a pellicce e strumenti che mostravano la potenza della scienza sovietica, a microscopi all’avanguardia. Sotto gli sguardi attenti degli agenti armati del KGB, Lunavenne caricata sul treno. 

Dean, secondo il racconto di Maussan, riconobbe la difficoltà dell’operazione sul treno e concordò sul fatto di organizzare il sequestro con Silveti. L’americano e il messicano formavano una strana coppia. Dean era una quindicina di centimetri più alto di Silveti e, mentre la sua controparte messicana era un’anima festaiola, l’americano si divertiva ad allenare la squadra della piccola lega di suo figlio e adorava Happy, il bassotto in miniatura della sua famiglia, che era sempre incinta. Eppure dovevano lavorare insieme per garantire che i sovietici non si rendessero conto della scomparsa di una sonda spaziale. 

Così Silveti riunì un team di fidati agenti DFS e la sua segretaria, Estela, per pianificare l’operazione. Misero in piedi un’azione diversiva all’hotel dei russi. Silveti propose di riempire le stanze con attraenti ragazze messicane e americane, incaricate di fare amicizia con gli agenti del KGB. La sera, alla chiusura della mostra, le donne avrebbero attirato i soldati sovietici a una festa d’addio al bar dell’hotel, mentre Silveti dirottava il camion che trasportava Luna alla stazione dei treni.

Sotto gli occhi di tutti

Il 21 novembre 1959, la mostra sovietica si aprì con grande clamore. Migliaia di messicani accorsero al National Auditorium, dove trovarono l’ingresso sorvegliato da enormi scavatori stradali sovietici e macchine agricole. All’interno, i turisti incombevano su modelli in scala di centrali nucleari, acceleratori di particelle e la Lenin, la prima nave rompighiaccio a propulsione nucleare al mondo. Gli operai lucidavano i paraurti cromati delle automobili Moskvitch color verde acqua e i bambini messicani facevano capolino davanti alle telecamere sovietiche. 

Madison Ketcham

Ma più di tutto il resto, orde di messicani guardarono a bocca aperta il grande razzo, ascoltando in cuffia una registrazione mal tradotta sulle “sconfinate capacità creative del socialismo”. Alla terza e ultima settimana della mostra, più di un milione di persone avevano visitato l’auditorium, dove guardie armate sovietiche avvertivano gli spettatori di non stare troppo vicino alla loro astronave.

Nel frattempo, Silveti studiava attentamente le mappe stradali e individuava luoghi in cui avrebbe potuto rubare i segreti di Luna. Anche la più piccola informazione avrebbe potuta essere vitale, spiega Jonathan McDowell, astrofisico ed esperto di satelliti presso l’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics. A quel tempo, l’Unione Sovietica sorvegliava da vicino i suoi missili e gli americani non riuscivano a capire perché la loro tecnologia si stesse dimostrando così efficace. “Non sapevamo esattamente quale carburante stessero usando. Non sapevamo quasi nulla del tipo di razzo”, egli dice. “Non era tanto l’astronave in sé, ma il razzo a cui la CIA era interessata”.

La ragione era profonda: Luna era collegata allo stesso tipo di razzo che alimentava i missili sovietici puntati verso gli Stati Uniti. Dwayne Day, uno storico spaziale americano, concorda sul fatto che gli americani fossero più interessati alla difesa nazionale che alla corsa al satellite terrestre.  Luna conteneva “dati che potevano usare per conoscere il razzo sovietico utilizzato per il lancio”, egli spiega.

L’uomo incaricato di proteggere Luna, ha ricordato Silveti, era Boris Kolomyakov, il secondo segretario dell’ambasciata sovietica a Città del Messico. Kolomyakov, un veterano della seconda guerra mondiale, era un ex ufficiale di grado dell’NKVD, la polizia segreta sovietica che gestiva i brutali campi di lavoro di Stalin, e ora un agente del KGB. Se lo avesse colto in flagrante,Silveti avrebbe fatto una brutta fine. “Avremmo potuto morire tutti”, ha detto Silveti durante un’intervista con Telemundo, andata in onda su KNBC a Los Angeles nel 2005.

Mentre pianificavano il sequetro, Zambernardi cercò di calcolare il tempo necessario per carpire i segreti di Luna. Come scritto in Operacion Lightfire, spiegò quindi a Dean che avevano bisogno di un flash molto potente per essere in grado di catturare i dettagli al buio e che il flash impiegava troppo tempo per caricarsi. Comunque, Zambenardi era riuscito ad adattarlo alle batterie da 12V e la fotocamera poteva scattare ogni 30 secondi”. Quindi, per ottenere ciò di cui la CIA aveva bisogno, sarebbero dovuti intervenire durante la notte. 

Alla fine, definirono un piano. Silveti e il suo team di spie avrebbero dovuto dirottare il camion che trasportava la sonda la sera in cui avrebbe lasciato la mostra. Lo avrebbero reindirizzato a un deposito di legname di proprietà di suo cognato, dove gli ingegneri della CIA sarebbero arrivati nel cuore della notte per smantellarlo e ispezionarlo, con l’obbligo di restituirlo in qualche modo ai sovietici entro le sette del mattino successivo. Dean avrebbe monitorato attentamente Silveti e Zambernardi avrebbe consegnato i segreti rubati agli Stati Uniti.

A sole 24 ore dal sequestro, Zambernardi aprì la seconda confezione del giorno di Marlboro rosse mentre si trovava in attesa agli arrivi dell’aeroporto internazionale di Città del Messico. “Il mio compito era quello di aspettare cinque ingegneri inviati dagli Stati Uniti per effettuare il controllo del razzo”, ha ricordato nel programma Tercer Milenio. La CIA aveva inviato quattro ingegneri a trascorrere false vacanze ad Acapulco, a cinque ore di macchina. Un quinto era già arrivato in Messico dallo “Staff D.

Secondo Bayard Stockton, un ex ufficiale della CIA e capo dell’ufficio di “Newsweek” a Bonn e Londra, Staff D era una squadra di ladri e scassinatori conosciuti affettuosamente come “Second Story Men” per la loro capacità di entrare negli edifici attraverso il secondo piano. Questi uomini con legami con la malavita avevano il quartier generale in un complesso dell’esercito americano in Virginia, ha scritto Stockton nel suo libro Flawed Patriot, e sono stati schierati solo fuori dagli Stati Uniti. L’uomo dello Staff D di Zambernardi era un ingegnere meccanico.

Zambernardi effettuò quattro viaggi all’aeroporto, ciascuno con un’auto a noleggio diversa. Accompagnò gli ingegneri a diversi hotel, fornendo loro le informazioni in base alle necessità. Sapevano solo di essere pronti a scattare fotografie e rubare campioni di un’”attrezzatura delicata”. 

Inizia il sequestro

La missione comincia una sera alla fine di dicembre 1959, subito dopo la chiusura della mostra. Secondo un rapporto del governo, i sovietici ritenevano che fosse stata “un grande successo” e celebravano le recensioni positive sulla stampa messicana. L’Avana, a Cuba, sarebbe stata la tappa successiva, ma non appena i sovietici imballarono Luna e la sollevarono sul camion, si verificò il primo inconveniente.

Secondo il libro di Silveti, le guardie sovietiche si riversarono fuori dal bar dell’auditorium alle quattro e si arrabbiarono nello scoprire che Luna non era ancora partita. L’autista, che era coinvolto nell’operazione, affermò che c’era un problema meccanico. I sovietici armeggiavano con le candele, il generatore e il regolatore di tensione, ma niente poteva avviare il motore: gli uomini di Silveti avevano limato il rotore del distributore.

Alle cinque quando arrivò un nuovo rotore e il camion si mise in moto. Il ritardo funzionò perfettamente. Luna finì direttamente in un ingorgo dell’ora di punta, seguita da un camion pieno di soldati sovietici. Dean e Silveti erano nel traffico a loro volta. Luna si fermò a un passaggio a livello, dove gli uomini di Silveti avevano inscenato un incidente ai binari. Gli automobilisti iniziarono a protestare con i loro clacson mentre i sovietici rimasero attardati. Nella confusione, un agente messicano sostituì il camionista, che venne portato via. Nel frattempo, le guardie sovietiche alla stazione dei treni erano state attirate lontane dalle loro posizioni per unirsi alla festa per la partenza nel loro hotel.

Erano le 17.30 e Luna era stata sequestrata con successo. Adesso avevano tredici ore e mezza per portarla via, smontarla, rimuovere alcuni pezzi importanti, fotografarli e documentare il resto, poi rimontare il tutto e restituire la navicella, il tutto prima che sorgesse il sole. L’autista guidò il camion fino a un deposito di legname all’incrocio delle strade Camarones e Norte 73 nel nord-ovest di Città del Messico. Silveti aveva pagato il cognato per mandare in vacanza i suoi operai e aveva creato un buco in un muro esterno abbastanza grande da consentire il passaggio di un camion. I veicoli del comando della CIA gironzolavano fuori e i loro autisti controllavano l’eventuale presenza di agenti del KGB. 

Intanto in albergo era in corso la festa di addio. Secondo Silveti, i soldati sovietici “si sono intrattenuti con le prostitute americane e si sono ubriacati”. Il figlio di Zambernardi, Paul, mi ha detto che suo padre ha comprato LSD per metterli fuori gioco. Alle 19.30, gli ingegneri della CIA arrivarono al deposito di legname e iniziarono a lavorare.

Tra l’equipaggio c’era un tranquillo ufficiale della CIA di nome Sydney Wesley Finer. L’agenzia aveva reclutato Finer durante il suo ultimo anno a Yale: ora aveva 29 anni. “Studiava linguistica russa e parlava correntemente il russo”, mi ha detto sua figlia, Debbie Remillard. “Era un uomo molto, molto, molto intelligente … ma oggi lo definiremmo un geek”, ha detto, facendo riferimento ai suoi occhiali spessi e cerchiati di nero.

Mentre due uomini della CIA stavano in piedi in cima alla cassa facendo leva sulle assi, i lampioni illuminarono improvvisamente la scena. Gli agenti temevano che il KGB fosse arrivato e si bloccarono sul posto con in mano i loro strumenti. “Abbiamo avuto alcuni momenti di ansia finché non abbiamo appreso che non si trattava di un’imboscata, ma della normale illuminazione programmata per quell’ora”, scrisse in seguito Finer in un articolo declassificato sulla rivista della CIA “Studies in Intelligence”. 

Togliendosi le scarpe per evitare di lasciare impronte di stivali, gli ingegneri salirono sul tetto del camion, con tutta l’attrezzatura fotografica. Drappeggiarono un telo sul tetto per evitare che il flash della fotocamera illuminasse il cielo. 

Per ore gli uomini scattarono fotografie in silenzio. Riempirono un rullino con primi piani  e lo inviarono tramite una delle auto di pattuglia per l’elaborazione, per essere sicuri che la fotocamera funzionasse correttamente. Nel frattempo, Finer e l’altra metà del team lavorarono alla sezione di coda, cercando di entrare nel vano motore. Dopo una lunga ora passata a girare chiavi e rimuovere 130 bulloni a testa quadrata, l’equipaggio installò un’imbracatura di corda per spostare il tappo di metallo pesante da una parte. 

Il motore era stato rimosso, “ma le sue staffe di montaggio, così come i serbatoi del carburante e dell’ossidante, erano ancora al loro posto”, ha ricordato Finer. Fu allora che incontrarono un problema. L’unico modo per vedere all’interno del macchinario era rimuovere una presa elettrica a quattro vie, ma era racchiusa dietro un sigillo di plastica con un timbro sovietico. Il team doveva lasciare la sonda esattamente come l’aveva trovata. Ma se i sovietici avessero notato un sigillo mancante, il gioco sarebbe finito. Avrebbero potuto farne una copia nel cuore della notte?

Alle tre gli americani avevano sventrato il veicolo spaziale sovietico. “Tutto ciò che era rimovibile dal velivolo era stato rimosso”, ha detto Silveti al  quotidiano “Austin-American Statesman” nel 1987. “Parti di motori, componenti interni, raschiatura dalle alette del razzo, liquidi che pensavano potessero essere carburante avanzato”. Mentre rimontavano l’assemblaggio, l’auto della CIA tornò con all’interno un perfetto sigillo sovietico contraffatto. Ora potevano richiudere il pannello e nascondere quanto successo. 

Tra due ore, i sovietici si sarebbero svegliati con la testa dolorante e avrebbero iniziato a contare le loro casse alla stazione dei treni. Un minimo errore avrebbe fatto capire ai russi che era stata compiuta un’azione illegale e si sarebbe scatenato un incidente internazionale. Adesso era il momento di scappare. Ma fare retromarcia su un camion che trasporta un rimorchio richiede abilità, addestramento e spazio che gli agenti non avevano nell’angusto deposito di legname.  Gli uomini impiegarono quasi un’ora per allargare il buco nel muro del cortile, ma alle 5 del mattino il camion era di nuovo in strada. Arrivò davanti alla stazione dei treni mentre il sole sorgeva sulle strade vuote. Il vero autista era di nuovo alla guida nel camion.

Alle sette i cancelli si aprirono sbattendo. I soldati sovietici tempestarono di domande l’autista che raccontò loro di essere arrivato poco dopo la chiusura della stazione, subito dopo che i soldati si erano ritirati in albergo per festeggiare, e di aver trascorso la notte ad aspettare diligentemente con il carico. Dalla loro macchina, Silveti e Dean guardarono i sovietici che facevano cenno al camion di entrare nella stazione, senza controllo. 

Di ritorno all’ambasciata degli Stati Uniti, Zambernardi ebbe la conferma che i sovietici non sapevano nulla del dirottamento. Infilò i disegni e le foto rubate all’interno di una borsa diplomatica e la consegnò a un autista, che si diresse a un piccolo aeroporto dove, secondo Zambernardi, l’ambasciatore statunitense Robert Hill trasportò il bottino su un jet privato diretto in Texas. 

Poco dopo, racconta Silveti, lui e Dean visitarono Gómez Huerta, il generale messicano che aveva benedetto la missione. Gli presentarono un rapporto dettagliato dell’operazione, un modello in scala di Luna e alcune fotografie. Più tardi, quando fu di ritorno a Washington, Wesley Finer della CIA scrisse un rapporto sugli eventi della notte. “Non c’è stata alcuna indicazione che i sovietici abbiano mai scoperto che il Lunik fosse stato sequestrato quella notte”, ha scritto. 

Madison Ketcham

Prove documentate

Nell’ottobre 2019, la CIA ha risposto a una richiesta del Freedom of Information Act per ulteriori prove sul “Sequestro del Lunik” e ha declassificato diversi documenti che hanno rivelato ulteriori dettagli sulla missione. Tuttavia, durante una conversazione telefonica, l’agenzia ha rifiutato di confermare che la missione sia avvenuta in Messico, citando la protezione di “fonti e metodi”. Uno storico della CIA mi ha detto che preferiscono descrivere la rapina come un “prestito”. 

I documenti contenevano alcuni dettagli sui segreti raccolti dalla missione: “Di nascosto, siamo stati in grado di acquisire dati dettagliati sullo stadio superiore del veicolo a razzo … lo stadio Lunik che si accoppia direttamente con l’ICBM sovietico”. Dopo aver scoperto i pesi dei serbatoi di propellente e del carico utile, gli Stati Uniti erano in grado di decodificare la capacità di prestazione del veicolo.

Non è ancora chiaro quale sonda spaziale si trovasse esattamente nel deposito di legname quella notte. Silveti pensava di aver sequestrato Luna 3, l’astronave che ha fotografato il lato più lontano della luna. Ma questo è fisicamente impossibile: la navicella non è stata costruita per resistere al rientro nell’atmosfera. Secondo Gunter Krebs, uno storico e fisico dei voli spaziali, al momento del sequestro, Luna 3 stava probabilmente ruotando intorno alla Terra a una distanza di 310.000 miglia, venendo gradualmente trascinata nell’atmosfera terrestre. Secondo Jonathan McDowell, l’astrofisico di Harvard, quello che molto probabilmente era stato “preso in prestito” era uno dei velivoli di Luna 2. 

Le informazioni rubate arrivarono al momento giusto. Pochi mesi dopo il sequestro di Luna, gli Stati Uniti hanno orbitato con successo 17 volte intorno alla Terra con il satellite spia CORONA. “Alla fine, dopo molti fallimenti, ha funzionato”, dice McDowell. “È stato un progresso enorme che ha completamente trasformato la storia della corsa agli armamenti”. Il 19 agosto 1960, un altro satellite CORONA ha inviato una capsula sulla Terra, dove un aereo dell’Aeronautica Militare statunitense l’ha afferrata in una manovra a metà volo chiamata air snatch.

All’interno della sonda c’era una bobina da 9 kg di pellicola Kodak con le foto di 1,65 milioni di miglia quadrate di territorio sovietico, comprese le immagini delle basi aeree sovietiche. Le immagini di CORONA erano a bassa risoluzione, dice McDowell, quindi l’accesso a Luna ha aiutato la CIA a sapere esattamente quali missili prendere in considerazione. 

Sapere che i sovietici avevano una potenza missilistica molto inferiore a quella che la CIA immaginava, ha eliminato la paranoia americana. La Guerra Fredda è andata avanti per decenni, a volte portando l’America sull’orlo di una guerra nucleare, ma gli Stati Uniti hanno rapidamente preso il comando nella corsa alla luna. Il 5 maggio 1961, la NASA ha lanciato la sua navicella spaziale Freedom 7, inviando nello spazio il primo astronauta americano, Alan Shepard. Il figlio adottivo di Winston Scott, Michael, mi ha detto che non aveva mai capito come mai suo padre avesse una fotografia firmata da Shepard.

Per quanto riguarda Luna 3, non si sa bene che fine abbia fatto, mi ha scritto Krebs, lo storico dello spazio, in una e-mail. Poco prima del 1962, ha aggiunto, sarebbe rientrata nell’atmosfera terrestre e si sarebbe sciolta in un’enorme palla di fuoco.

A un certo punto i sovietici scoprirono cosa era successo al loro prezioso razzo. Forse hanno individuato il sigillo contraffatto o hanno aperto il motore per scoprire che mancavano tutte le valvole. O forse c’era un doppio agente che lavorava per il DFS, o anche per la CIA. Nel 1964, la presidenza del Messico passò da López Mateos a Gustavo Díaz Ordaz, che, secondo l’ “Austin American-Statesman “, etichettò Silveti come un traditore per essersi venduto alla CIA. La spia fuggì dal Messico con la sua segretaria, Estela. Secondo il libro di Silveti, si erano innamorati dopo la morte della moglie e si erano trasferiti in Texas, non lontano dal centro spaziale della NASA a Houston. 

Nel dicembre del 1962, Dean lasciò Città del Messico per prendere il comando della CIA in Ecuador. Winston Scott morì nel 1971, dopo aver ricevuto uno dei più alti riconoscimenti dell’agenzia, la Distinguished Intelligence Medal. Zambernardi, nel frattempo, ha goduto di una lunga carriera nella CIA. “Era coinvolto nel colpo di stato cileno”, mi ha detto suo figlio Paul, aggiungendo che suo padre conosceva il famigerato trafficante di droga Barry Seal. Ha anche affermato che Zambernardi ha scattato fotografie di Lee Harvey Oswald che entrava nell’ambasciata cubana a Città del Messico prima dell’assassinio di JFK.

Il Messico ha sciolto il DFS nel 1985, a seguito di accuse di traffico di droga, tortura e un giro di furti d’auto USA-Messico multimilionario. Due anni dopo, Silveti pubblicò il suo libro, perché voleva che “i cittadini degli Stati Uniti e del Messico si rendessero conto della spinta che il programma spaziale americano ha ricevuto da questo sequestro”. Per loro natura le spie sono fonti inaffidabili, ma il racconto di Silveti è stato confermato da Albert Wheelon, ex vicedirettore della CIA per la scienza e la tecnologia. Nel 2005, Wheelon ha parlato con Telemundo, ringraziando la spia messicana. 

Ma non tutti sono rimasti contenti della sua rivisitazione: quando Warren Dean ha visto Silveti in televisione , era sconvolto, mi ha detto suo figlio. Dean rimarcava che Silveti aveva esagerato con il suo ruolo. “Il suo compito era solo di stare nel gruppo che ha trasferito il camion al comando locale. E questo è tutto quello che ha fatto”, mi ha detto Dean Jr. Il padre di Dean è morto nel 2007, dopo aver ricevuto la medaglia Career Intelligence della CIA. Zambernardi è morto nel 2010.

Con mia grande sorpresa, ho scoperto che Silveti, ora 91enne, vive tranquillamente nel nord della California. Ho parlato con lui per telefono due volte, nell’ottobre del 2019 e nel dicembre del 2020, chiedendogli di verificare aspetti della sua vita e delle sue imprese di oltre 60 anni fa. Estela ha risposto al telefono quando ho chiamato. Mi ha detto che erano appena tornati da una visita medica perchè Silveti stava male.

Parlando in spagnolo, Silveti si è rifiutato di parlare della missione e ha rinnegato il suo libro, Secuestro, accennando a problemi con il suo ghostwriter, ma ha ribadito l’affermazione di aver salvato gli Stati Uniti. Silveti sembrava felice di aver ingannato i sovietici. “Sono stati colti talmente di sorpresa che quando hanno finalmente scoperto cosa è successo, non sapevano nemmeno con quale paese protestare”, si è vantato nella sua intervista con l’ “Austin American-Statesman”. 

“Alla fine del 1963, mentre camminavo in aeroporto, ci siamo imbattuti in Boris Kolomyakov”, ha dichiarato a “Tercer Milenio”. “E lui mi si è avvicinato dicendo: ‘Non perdo la speranza di vederti impiccato nella piazza principale di Mosca’.  Gli ho fatto un saluto ironico e ho risposto: ‘Grazie, signore!'”.


(rp)

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