Le imprese del passaggio al futuro

Cultura, etica, comunicazione e formazione sono le competenze umanistiche oggi decisive per un’impresa, anche in funzione dei significati che intende trasmettere all’interno e all’esterno.

di Mario Morcellini 

La prova della modernità non fa sconti a nessuno: individui, istituzioni, società civile e, ovviamente, imprese e organizzazioni. Mentre tutti i cambiamenti che la storia descrive sono appunto definiti come metamorfosi, lente modificazioni negli assetti di vita e dei valori, così blandi da non provocare, né alimentare, lo stress e il trauma, il “nuovo mondo” può essere tratteggiato pertinentemente con una celebre citazione tratta da Il Gattopardo: “una stupefacente accelerazione della storia”.

Il compito di affrontare le questioni relative alle nuove sfide delle organizzazioni complesse non è per niente facile ed esige il rigoroso recupero delle teorie sulla cultura organizzativa. Ripartendo dai classici, il ritratto delle imprese va ricomposto entro le nuove circostanze socio-culturali e politiche, proponendo modelli interpretativi più coerenti con gli scenari futuri.

Soprattutto, non dovrebbe mancare la consapevolezza che tutto muta velocemente, a partire dalle grandi categorie che hanno storicamente segnato l’esperienza umana (il tempo che accelera e lo spazio che si ridefinisce in termini di distanza e di flussi di informazione), con impressionanti trasformazioni tanto a livello di costume e di comportamento, che di relazioni comunicative e interindividuali. Come in uno spettacolo teatrale, si avvicendano la scena e la cornice stessa dell’azione umana. è un passaggio d’epoca.

Le metamorfosi delle organizzazioni complesse si ricompongono intorno all’azienda come “mondo vitale”: l’impresa, come ogni altro elemento sociale, è immersa nello scorrere del fiume della vita e della società. è qualcosa che si realizza “qui e ora” e che muta con la stessa rapidità con cui si evolve l’ambiente intorno a essa. Una concezione statica e “già data” della sua gestione non può condurre a risultati di qualità. Non è concettualmente possibile contenere qualcosa di fluido e mutevole dentro una “gabbia d’acciaio”, la stessa di cui parla Max Weber a proposito dell’organizzazione burocratica dell’inizio del secolo scorso. E, in un certo senso, il paragone potrebbe essere spinto all’estremo: esattamente come la burocrazia immobilizza e paralizza la gestione della “cosa pubblica”, così un management troppo attaccato all’iter scientifico può rendere statica e immobile l’organizzazione aziendale che, al contrario, è oggi chiamata a essere un corpo flessibile, in grado di adattarsi alle veloci trasformazioni dell’ambiente circostante.

La teoria delle organizzazioni come culture, un paradigma mutuato direttamente dalle scienze sociali (e quindi a centralità umanistica), invita a considerare ogni organizzazione come un insieme di norme, simboli, valori e credenze: di fatto, come portatrice di una specifica visione del mondo che fa perno sull’insieme di valori, storia, orientamento strategico espressi dall’organizzazione nel tempo. Una siffatta identità non può essere gestita se non da un management diverso, radicato nella tradizione, nella storia, nell’essenza vitale dell’azienda; deve provvedere a tramandare i valori, l’etica dell’organizzazione; deve fungere da traduttore di simboli, quindi di codici, e deve far in modo di farli apprendere, quindi formare.

Cultura, etica, comunicazione, formazione: competenze umanistiche oggi decisive per un’impresa che si ridisegna non più solo in base agli aspetti strutturali e di capitale, ma soprattutto in funzione dei significati che è in grado di trasmettere all’interno e all’esterno. Al punto che si può ormai delineare l’identikit del neo manager, il cui profilo è modellato soprattutto sulla nuova etica aziendale, sulla conoscenza delle persone e, quindi, sulla gestione dei valori, delle emozioni, del privato che possa sfociare nella proiezione dell’azienda “condivisa”.

Un riposizionamento profondo del concetto di profit, non più legato esclusivamente agli assetti economici e finanziari, ma a una visione più ampia, a un profitto vissuto sempre più in termini sociali e partecipativi. Un neo manager, quindi, ancorato a una solida base umanistica, sul piano degli interessi e della personalità culturale, che letteralmente si ispiri a uno straordinario motto della letteratura classica: “humani nihil a me alienum puto”. Attento alle dinamiche interne, alla valorizzazione delle persone che fanno l’impresa, e, contemporaneamente, sempre pronto a interpretare le trasformazioni e le richieste del territorio destinatario dell’agire dell’impresa.

Il paradigma socio-culturale considera l’organizzazione come una cultura caratterizzata da valori, simboli, competenze e relazioni che la rendono unica. Ciò in opposizione al paradigma meccanico razionalista, volto invece a concepire tutte le organizzazioni, sia pubbliche sia private, come macchine, e gli uomini e le donne che lavoravano al loro interno come ingranaggi.

Certamente, in fasi di sviluppo economico e societario caratterizzate dalla centralità della produzione di massa, la risposta meccanico-razionale possedeva una propria plausibilità e utilità operativa: all’indomani della seconda rivoluzione industriale e nella fase di consolidamento della democrazia di massa, l’impresa e l’amministrazione potevano essere viste e organizzate come macchine. Ma oggi, nell’era della produzione post-industriale e dei bisogni post-materialisti, tutto questo non ha più senso.

In una società sempre più differenziata e individualizzata, l’elemento che emerge in primo piano è la soggettività delle persone: liberatosi di tutte le antiche appartenenze (comunitarie, religiose, di classe), il soggetto contemporaneo può vivere un’esperienza che, in altri tempi, restava prerogativa delle ristrette élite dominanti. In accordo con questa sensibilità, la prospettiva socio-culturale attribuisce la massima importanza alla soggettività e ai valori degli attori che agiscono all’interno dell’organizzazione. Questo è un altro punto focale e fondamentale della nuova concezione aziendale: la centralità dell’elemento umano, ma anche di quella delle reti e relazioni intersoggettive quale sostanza del funzionamento e della reputazione pubblica di un’organizzazione.

In questo contesto, l’attore sociale, anche entro le filiere sempre più complesse di appartenenza organizzativa, deve continuamente rinegoziare le proprie dimensioni di ambientazione sociale, riscoprire se stesso e le modalità di relazionarsi con il mondo, per poter dominare la continua transizione in cui si vede coinvolto. E la magia che concilia il soggetto con i tempi moderni è la comunicazione. Essa è contenuto, parola, interazione, esplorazione, narrazione, produzione di miti, suoni, immagini: è tutto ciò che i soggetti si scambiano, il punto di incontro fra privato e pubblico. I messaggi diventano pezzi della nostra personalità (una dimensione spesso dimenticata dal pensiero scientifico) e vivono una sorta di nuovo “rinascimento”.

Sta emergendo, quindi, una forma di neo-umanesimo basato sulla rinascita di una cultura dello spirito, della natura, della verità, della ricerca della felicità anche in contesti a lungo considerati tutt’altro che spiritualizzati, come per esempio quelli dell’organizzazione e della gestione aziendale.

Fondamentale diventa, allora, per il management possedere doti e capacità che, accanto alle strategie tradizionali di gestione, mettano in moto la vivacità intellettuale, l’apertura al mondo, la capacità di leggere e comprendere scenari e situazioni oscure per la maggior parte delle persone, in modo da assecondare i cambiamenti improvvisi e momentanei del proprio ambiente; la dote di saper gestire i rapporti interpersonali in modo tale da costruire veri e propri “sistemi”: vere e proprie “reti” in cui ogni nodo è fondamentale, ma nello stesso tempo non necessario (in opposizione proprio alla concezione della catena di montaggio di vecchio stampo fordista).

L’oggetto dell’attività manageriale rimane sempre un’organizzazione, piccola o grande, pubblica o privata. Quel che cambia è la sua essenza: non più l’applicazione di ricette di gestione che portino verso un profitto economico, ma una continua ricerca del soggetto, delle sue specificità, dei suoi bisogni di auto-realizzazione. L’azienda, quindi, alla conquista di un mercato diverso: un vero e proprio spazio cognitivo che si realizza attivando processi di comprensione dei rapporti fra uomini e uomini, fra uomini e natura, fra uomini e tecnologia.

Solo in questi termini è possibile comprendere le nuove sfide che le organizzazioni sono chiamate oggi ad affrontare. E l’aspetto più interessante che si evince è la rilevanza strategica delle professionalità comunicative nell’impresa del XXI secolo: la gestione intelligente della crisi, l’utilizzo delle tecnologie tradizionali e innovative come strumento di knowledge management, l’attenzione alla corporate reputation, l’investimento nella ricerca, nell’ascolto e nel monitoraggio della customer satisfaction rappresentano tutti settori in cui il management si deve avvalere di sensibilità e competenze culturali aggiornate.

Anche la formazione, dunque, è un tratto essenziale dell’attività manageriale in quanto valorizzazione del soggetto, interno o esterno all’organizzazione: un decisivo strumento per la tessitura delle rete di valori e significati in grado di orientare la stessa risposta organizzativa a situazioni di complessità e di crisi ambientale, del resto sempre più frequenti e fisiologiche. E proprio al rischio e all’instabilità dell’oggi si deve la principale lezione di quanto l’intuizione del tempo e del mutamento siano le vere dimensioni della sfida.

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