Microsoft’s Beijing Research Lab

Mentalità da startup, un vasto bacino di talenti dedicati. il Microsoft Research Lab di Pechino ha raggiunto frontiere nuove e inesplorate della tecnologia dei computer nonché dei futuri mercati globali dell’azienda americana.

A mezzo mondo di distanza dalla placida bellezza di Seattle e delle acque del Puget Sound, c’è un laboratorio dove il software diventa realtà. A Microsoft Research Asia la voglia di successo è intensa come il traffico che imperversa a pochi passi dalla porta di ingresso con furia caotica e incontrollata. Se tutte le altre strutture Microsoft sparse per il pianeta sembrano idilliache, questa di Pechino, in Cina, è pura figlia di strada. I grattacieli dei dintorni gareggiano in altezza con le ciminiere delle fabbriche. Edifici in pessime condizioni convivono con animati negozi di prodotti elettronici e con la Fabbrica di Satelliti di Pechino, dove i cinesi conducono le loro ricerche spaziali. Il mantra di Microsoft: lavora sodo per entrare dalla porta principale; lavora più sodo per sopravvivere; poi lavora ancora di più perché il vero lavoro – quello di un leader mondiale della tecnologia dell’informazione – è solo all’inizio.

Se pensate che restare fedeli a Microsoft sia difficile, non avete mai incontrato Harry Shum. Il direttore responsabile del laboratorio di Pechino è franco, coinvolgente e sorprendentemente giovane, appena trentenne. «Per la Cina questa è un nuovo tipo di attività industriale», dice mentre aspetta davanti al suo ufficio, sorridente. «Non solo scarpe, calze, passeggini. Oggi produciamo studenti del MIT, articoli scientifici e software». Hongjiang Zhang, vecchio collega di Shum, è di passaggio nel corridoio, ma si ferma per dichiararsi completamente d’accordo: «è il made in China su un altro livello», afferma. Zhang, un po’ più anziano e riservato di Shum, dirige il Centro Tecnologie Avanzate, una divisione creata lo scorso anno per accelerare l’introduzione di nuove tecnologie nelle linee di prodotto Microsoft.

«QUESTO È IL POSTO DEI FUTURI CAPI DI MICROSOFT. STIAMO ADDESTRANDO UNA NUOVA GENERAZIONE DI LEADER IN GRADO DI TRASCINARE UN’INTERA SQUADRA DI RICERCATORI VERSO IL PRODOTTO FINALE». HARRY SHUM

Insieme, Shum e Zhang guidano una organizzazione che assomiglia a uno dei tanti laboratori aziendali, ma funziona come una startup. A dispetto di cubicoli e computer, nel laboratorio serpeggia l’entusiasmo; tutta l’energia viene nientepopodimeno che dagli studenti. Arrivando a qualsiasi ora è possibile incontrarne legioni – il laboratorio sponsorizza duecento borsisti provenienti per lo più dalle università locali – impegnati in progetti che vengono supervisionati dai dirigenti Microsoft. Se si aggiunge il cicaleccio delle conversazioni in cinese mandarino, la distesa di Pechino vista dalle finestre e il fumo onnipresente delle sigarette, è impossibile dimenticare che siamo lontani da un’azienda degli Stati Uniti.

Malgrado il loro incarico dirigenziale, Shum e Zhang restano in cuor loro dei ricercatori. Percorrendo le lunghe file di postazioni computerizzate, mostrano le ultime performance con l’orgoglio di un genitore felice della propria creatura. Shum si ferma alla scrivania di una giovane presentandola come «studentessa numero uno» in informatica presso la Tsinghua University, una delle migliori scuole ingegneristiche cinesi. Sul suo schermo compaiono le fotografie di una cascata, di un lago sotto la pioggia e dell’erba di un prato. Un click del mouse e le fotografie si animano. L’acqua della cascata ricade tra mille spruzzi, le gocce di pioggia rompono la superficie dell’acqua e l’erba ondeggia al vento. è il computer a generare le scene animate: il software memorizza milioni di informazioni statistiche sul movimento dell’acqua o dell’erba e applica quello che ha imparato alle immagini statiche.

L’intera ambizione del laboratorio è primeggiare su scala mondiale nel rendere i computer più interattivi, divertenti e, in ultima analisi, più utili. Altre dimostrazioni riguardano gli algoritmi di compressione capaci di archiviare immagini ad altissima risoluzione con pochi bit; programmi di visione computerizzata in grado di individuare e riconoscere i volti delle persone; un sistema di sintesi vocale dal suono naturale; e le interfacce utente capaci di catturare e digitalizzare la scrittura corsiva (si veda La magica penna di Microsoft in «Technology Review», edizione italiana, n.5/2004). «La ricerca svolta è di alto livello», riconosce Victor Zue, condirettore del Laboratorio di informatica e intelligenza artificiale del MIT e componente del comitato di revisione del laboratorio di Pechino. E Raj Reddy, apprezzato esperto di interazione uomo-macchina della Carnegie Mellon University, definisce «straordinario» il ruolo del laboratorio e del suo serbatoio di talenti.

In effetti, con i suoi 150 ricercatori a tempo pieno e più di 80 milioni di dollari investiti dalla casa madre dalla data di inaugurazione, nel 1998, Microsoft Research Asia è diventata una centrale di R&S nel settore della tecnologia informatica. Superando in velocità le più ottimistiche aspettative dei grandi capi di Redmond, l’avamposto scientifico di Pechino sta già influendo sulle attività di Microsoft su scala globale. Più di settanta tecnologie sviluppate qui sono state integrate in prodotti Microsoft, come il software per i sistemi operativi Windows o la grafica dei giochi della console Xbox. Altre recenti scoperte del laboratorio verranno inserite nella nuova versione di Windows (nome in codice Longhorn), attesa per l’anno 2006.

Il laboratorio di Pechino rientra negli sforzi di Microsoft per assicurarsi un futuro grazie alla ricerca. «è interessante osservare quanta parte della ricerca mirata ai mercati asiatici finisca per essere utilizzabile anche altrove», dice Rick Rashid, vicepresidente di Microsoft Research, tra le cui responsabilità ricadono, insieme alla struttura principale di Redmond, anche i laboratori di San Francisco a Mountain View, in California, e Cambridge, in Inghilterra. «Spesso affrontano i problemi in modo diverso da quanto avverrebbe in Europa o negli Stati Uniti, perchè vengono da prospettive del tutto diverse. E spesso trovano soluzioni diverse: a volte diverso può significare migliore».

Bill Gates è dunque riuscito a «capire» la Cina? Il presidente di Microsoft non si sbilancia in tal senso e la sua azienda non è il solo colosso dell’information technology ad avere aperto in Cina un laboratorio (si veda Gli altri laboratori informatici aziendali americani in Cina a pag. 48). Ma quando parla della sua cornucopia cinese il volto si illumina. «Quando crei un laboratorio di solito parti dicendo, ok, tra cinque anni mi aspetto un contributo da voi», ha dichiarato Gates a «Technology Review». «Ma questa gente ha ottenuto con la compressione del video i risultati che avete visto, e in nove mesi di tempo». Sono risultati del genere a fare la differenza tra il laboratorio Microsoft e quelli dei suoi concorrenti, trasformando l’iniziativa in un caso da manuale di innovazione su scala globale. «Alla Cina faremmo bene a prestare molta attenzione», conclude Gates. «è un fenomeno, sotto tutti gli aspetti».

L’ANIMALE DELL’EST

Harry Shum è affamato. L’intero laboratorio è affamato. Davanti a un pranzo a base di vermicelli cinesi e pesce consegnato dal servizio di catering e consumato all’interno del suo ufficio, Shum spiega che cosa anima il suo staff. «Siamo partiti dal nulla. L’intero laboratorio si è sviluppato a partire da questa stanza. Non ho dovuto spostare alcunché, scherza, come se il maggior sviluppatore di software del mondo badasse a cose come il feng shui. Ma appena dieci anni fa l’area circostante era un terreno agricolo. Oggi Microsoft Research Asia occupa un piano e mezzo di un grande edificio di sei piani con un futuristico ingresso a vetrate. Il laboratorio simboleggia una città nel pieno della rivoluzione tecnologica.

Lo stesso Shum è una esplosiva miscela di elementi orientali e occidentali. Il suo inglese ha un forte accento, ma è molto chiaro. Nato e cresciuto vicino a Shangai, si è laureato alla Carnegie Mellon University (e dice di essere tutt’ora «un fan sfegatato dei Pittsburgh Steelers») ed è entrato in Microsoft Research a Redmond nel 1996. Laggiù è diventato uno degli astri nascenti dell’azienda, sviluppando grafica realistica tridimensionale e ambienti virtuali basati sui principi della visione computerizzata.

Due anni dopo arriva la grande opportunità: Microsoft decide di aprire un laboratorio in Cina. L’obiettivo è attingere all’immenso serbatoio di studenti e scienziati di quella nazione, compresi coloro che erano emigrati in altri paesi, ma potevano essere incentivati a ritornare in patria. Trovarsi per giunta nella posizione di poter esplorare un mercato da un miliardo di consumatori in una economia in forte crescita industriale non sarebbe stato male. Per guidare la carica Microsoft coinvolse Kai-Fu Lee, noto esperto di riconoscimento vocale e multimedialità di Apple Computer e Silicon Graphics (si veda L’opinione del fondatore a pag. 46). Shum ricorda molto bene quel giorno. «Kai-Fu venne nel mio ufficio e disse, “Sto traslocando a Pechino, ma senza di te non parto”» racconta.

Aprire bottega in una città come Pechino per Microsoft Research era come penetrare in un territorio ignoto. Per prima cosa bisogna ottenere l’appoggio della comunità accademica locale. «Una delle preoccupazioni dei cinesi riguardava la solita grande azienda americana giunta per portar via alla Cina i suoi migliori cervelli e non restituirli più», ammette Rashid. La questione centrale che si poneva era se il laboratorio avrebbe svolto ricerche di base con risultati pubblicamente disponibili o se sarebbe stato un avamposto isolato, dedicato al mero sviluppo di prodotti. Per guadagnare la fiducia dei suoi ospiti – e attrarre i migliori specialisti in informatica della Cina – Microsoft doveva creare un ambiente aperto, in cui i ricercatori potessero pubblicare, incontrare l’università e solo in seconda battuta dare un contributo alla produzione interna.

Per far funzionare questo compromesso, Lee scelse uno per uno i componenti di un team di informatici che avessero familiarità con il mondo accademico locale e con la cultura aziendale americana. Shum, guru della grafica, conosceva Redmond a menadito. Hongjiang Zhang era un esperto di visione computerizzata e gestiva le ricerche nei laboratori Hewlett-Packard. E Ya-Qin Zhang, uno degli altri scienziati arruolati, era un enfant prodige della multimedialità, iscritto all’università a 12 anni, membro più giovane nella storia dell’IEEE (Institute of Electrical and Electronics Engineers) e alto dirigente del prestigioso istituto di ricerche Sarnoff.

Per prima cosa la squadra di Lee decise di dare al futuro laboratorio una cultura decisamente occidentale e aperta. Lee tenne dei seminari sul predominio dell’immediatezza sulla ricerca del significato nascosto delle cose, secondo le abitudini cinesi. Le sue lezioni sono diventate eventi imperdibili, in cui è difficile trovare posto a sedere a causa della folla di studenti schiacciati nell’auditorium del laboratorio. I ricercatori si rivolgono al loro direttore chiamandolo «Harry», non con il suo titolo ufficiale, come vorrebbe la cultura cinese. Le idee vengono prese sul serio, indipendentemente da chi le formula. E il personale ha la libertà di sperimentare approcci diversi, anche se il supervisore non è convinto dei possibili risultati.

Questa cultura ha permesso al laboratorio di competere a livello mondiale. «Metto i miei ragazzi davanti a una sfida», spiega Shum. «”Siete arrivati a questo punto”, dico loro? “Pensate che al MIT possano fare di meglio? Se sì, forse dovreste fare un passo in più”. Questa mentalità, essere sempre i migliori, è qualcosa di cui siamo molto orgogliosi». Al contempo, aggiunge Shum, i capi della ricerca non smettono di chiedersi se il loro lavoro sia o no importante per i prodotti dell’azienda.

Il laboratorio di Pechino sembra aver messo a frutto la durezza delle condizioni del sottoposto, trasformando la separazione geografica da Redmond – 16 fusi orari di differenza e 10 ore di aereo – in un vantaggio psicologico. «Proprio perché siamo un laboratorio di ricerca periferico, non possiamo parlare ogni volta che ci pare con chi si occupa dei prodotti. Non possiamo organizzare una semplice colazione di lavoro», dice Shum. «Vuol dire che dobbiamo faticare il doppio». I ricercatori arrivano a lavorare cento ore la settimana. Alcuni borsisti vivono in ufficio, tirando fuori le brande per dormire di notte durante l’estate, quando l’aria condizionata è rara. Neanche l’epidemia di SARS (severe acute respiratory syndrome) dell’anno scorso, con tutti gli avvisi di quarantena e i blocchi degli aeroporti, ha determinato la chiusura degli uffici. A causa del fattore isolamento, sostiene Shum, «Abbiamo lavorato di più».

Il bilancio del laboratorio? Settecentocinquanta pubblicazioni e centinaia di brevetti registrati negli ultimi cinque anni. Il segreto è rappresentato dalla miscela di leadership autorevole e giovani talenti, ritiene Ted Adelson, esperto di visione umana e computerizzata al MIT che ha avuto alcuni studenti del laboratorio pechinese tra i propri dottorandi. «Harry ha gusti eccellenti in materia di problemi e cervelli. Lui e il suo laboratorio stanno dando vita a uno dei migliori lavori del mondo», afferma Adelson. «Hanno accesso ai giovani migliori e più brillanti di tutta la Cina». Le giovani star si sentono attirate non solo dall’opportunità di lavorare con i più autorevoli scienziati, ma anche dall’elevato tenore di vita che un’assunzione di Microsoft comporta; la paga base di un ricercatore, inferiore a quelle corrisposte a Redmond, è molto alta per gli standard cinesi.

Lo staff guidato da Shum considera una grossa responsabilità dare un supporto ai borsisti e agli scienziati, attraverso compiti come tenere lezioni nelle università locali o scrivere articoli divulgativi sui giornali destinati al grande pubblico. «Per dei cinesi che si sono formati negli Stati Uniti e all’estero è una grande soddisfazione poter tornare nella madre patria e avere un tale impatto sulle generazioni più giovani», dice Shum.

A sua volta, il laboratorio di Pechino sta avendo un grosso impatto sulla dirigenza Microsoft. I due precedenti direttori del centro di ricerca, Lee e Ya-Qin Zhang, sono stati promossi a ruoli di vicepresidenza nella sede di Redmond; oggi contribuiscono a plasmare le strategie di prodotto dell’azienda, rispettivamente nel campo delle interfacce a sintesi vocale e dei dispositivi mobili senza fili, dando ancor più credibilità al loro laboratorio. «Questo è il posto dei futuri leader dell’azienda Microsoft», ribadisce Shum, che ne ha assunto il controllo a gennaio. «Stiamo addestrando una nuova generazione di dirigenti in grado di trascinare un’intera squadra di ricercatori nella definitiva fase di prodotto commerciale».

Gli obiettivi centrati dal laboratorio non fanno che incrementarne l’appetito. In una fredda notte invernale, i ricercatori si riuniscono per la cena in un ristorante della zona. è un’occasione particolare, con decine di piatti condivisi come si farebbe in famiglia, con tanto di tofu fatto in casa, un pesce intero e la carne con la verdura stufate nel brodo riscaldato con pietre roventi. La conversazione abbraccia le prossime conferenze, i viaggi a Redmond e la cultura cinese. Dopo la cena, molti dei ricercatori scelgono di tornare in ufficio, quando tutta Pechino dorme e Redmond si sta appena svegliando.

GIGANTI DELLA GRAFICA

Baining Guo ama l’azione più che le chiacchiere. Guo, ex ricercatore di Intel diventato responsabile delle ricerche in campo grafico qui a Microsoft Research Asia, non vuole sedersi a un tavolo per essere intervistato. Non ama la conversazione banale. Che si tratti di videogiochi, salvaschermo o cartoni animati personalizzati generati partendo da una fotografia, sostiene, la grafica è un business fondamentale: può essere bella o brutta. Il suo gruppo conta dodici ricercatori e, al momento, diciotto borsisti; per dare un’occhiata ai loro risultati più recenti Guo attraversa la sala, raggiungendo l’open space dove lavorano tutti insieme.

Uno dei problemi più pressanti della grafica computerizzata – tra le principali specialità del laboratorio – è riuscire a ottenere animazioni fotorealistiche del volto umano. Negli attuali videogiochi, dice Guo, «l’espressione dei personaggi sembra del tutto fasulla. I volti non si muovono in modo credibile o naturale». Ottenere intorno agli occhi e sulla fronte delle rughe realistiche, per esempio, è un compito molto complesso quando si usano le convenzionali tecniche di morphing per deformare le caratteristiche di base di una immagine. La squadra guidata da Guo mostra una possibile, rivoluzionaria alternativa. Per prima cosa effettuano 10 riprese fotografiche di un volto umano, tutte con espressioni diverse: il sopracciglio sollevato, il naso storto, la bocca aperta in una risata o chiusa in una smorfia e così via. Poi, dopo aver diviso il volto in 14 diverse «regioni» e in più di cento punti caratteristici (palpebre, punte dei sopraccigli, angoli della bocca), il loro software mescola diverse combinazioni delle foto per dar vita a una simulazione di nuove espressioni. Il software, inoltre, modula il passaggio da una espressione all’altra nell’arco di alcuni secondi. Il risultato è che il volto di una persona passa da un momento di sorpresa a uno di completo disgusto in modo molto più realistico, con tanto di rughe.

«LA SFIDA PIÙ IMPORTANTE È RAPPRESENTATA DALLE PERSONE. DOBBIAMO PUNTARE SULLA GIUSTA MISCELA DI COLLABORAZIONE, CAMERATISMO E LEADERSHIP». ONGJIANG ZHANG

Diversamente dalle tecniche utilizzate in film di animazione computerizzata come Toy Story, l’approccio escogitato dai ricercatori cinesi non richiede il disegno manuale dei fotogrammi. Ciò significa che potrebbe essere utilizzato anche nei videogiochi, per generare in tempo reale volti dalle espressioni credibili. Con qualche aggiunta ulteriore potrebbe anche servire per mappare le espressioni sul volto dello stesso utente su quello di un personaggio virtuale, creando così avatar personalizzati che parteciperanno ai giochi di ruolo. Non solo: anche le immagini dei divi del cinema o di personaggi famosi potrebbero essere animate o rianimate. «Potremmo far dire ad Albert Einstein “Amo Windows”», suggerisce maliziosamente Guo. I suoi ragazzi preferiscono però obiettivi più ambiziosi, che alla fine potrebbero trasformare radicalmente il modo di fare del cinema: un software capace di generare attori virtuali, ma fotorealistici, in tempo reale. Questo genere di impegno sul fronte dell’informatica di base fa sì che il laboratorio si sia meritato il rispetto della comunità accademica. «Microsoft Research ha dato alla grafica il maggior contributo di ogni altra realtà aziendale. è una centrale di energia», afferma Paul Debevec, esperto di grafica dell’Institute for Creative Technologies presso l’Università della Southern California. Il laboratorio di Pechino in particolare ha ottenuto «risultati strabilianti», egli aggiunge. «Non si tratta solo di migliorare la console Xbox».

In effetti, una Xbox più potente fa parte degli obiettivi del laboratorio. I segnali che quello di Pechino è un affare, non un campo giochi per ricercatori, non mancano mai. Un corridoio laterale porta a una stanza con le finestre ricoperte di fogli di carta opaca. Sulla porta, un cartello avverte: «Xbox confidential». Guo stesso non è autorizzato a parlare di ciò che avviene all’interno di questa stanza. Si limita a dire che «qui dentro lavorano alcuni dei nostri migliori cervelli».

MAESTRI DELLA MULTIMEDIALITàEric Chang è uno dei sultani del riconoscimento vocale. Parla molto velocemente, fa un sacco di domande e sembra sempre conoscere la risposta prima di riceverla. All’inizio dà un po’ sui nervi, ma considerando la sua formazione, un dottorato in riconoscimento del linguaggio parlato al MIT, il quadro è compatibile. E visto che le tastiere dei computer hanno sempre grossi problemi con i simboli dei linguaggi asiatici – migliaia di caratteri al posto di poche decine di lettere – la motivazione che muove in parte il gruppo guidato da Chang, specializzato in sintesi del linguaggio parlato, consiste proprio nello sviluppo di nuove interfacce destinate agli utenti asiatici. I sistemi basati sul parlato, in alternativa ai comandi immessi con mouse e tastiera, rientrano tra i piani di Microsoft per un efficace allargamento degli strumenti di informazione e comunicazione a milioni e milioni di cinesi, tanto per cominciare.

Chang entra nell’ufficio di una giovane ricercatrice, Min Chu, e le chiede di attivare la sessione di dimostrazione del sintetizzatore di testi. Chu batte sulla tastiera una frase in cinese, farcendola però con termini in inglese, come potrebbe avvenire in un passaggio o in una conversazione tra tecnici. Dopo pochi secondi, il computer genera una naturalissima voce femminile, che sembra essere perfettamente bilingue mentre recita, attraverso una coppia di altoparlanti sulla scrivania, la frase appena scritta.

Il trucco consiste nell’ottenere che le inflessioni, le tempistiche e le transizioni da una parola all’altra abbiano il suono giusto, non quello delle monotone voci robotizzate. A differenza di altri sistemi di sintesi vocale, il software messo a punto da Chang e Chu spezza i testi in tanti pezzi – fonemi, sillabe o intere parole – di diversa lunghezza e utilizza un archivio di oltre 10.000 frasi parlate per individuare e mettere insieme i suoni più adatti. Questo sintetizzatore bilingue «è veramente di una spanna superiore a qualsiasi altro sistema da me conosciuto», ammette Zue, l’esperto del MIT di sistemi informatici basati sul parlato.

è solo un esempio di come l’approccio culturale del laboratorio si sia rivelato fondamentale nella risoluzione dei vari problemi. Il primo obiettivo del progetto fu quello di sviluppare un sintetizzatore in cinese mandarino rivolto al mercato nazionale. «Nel 2001 abbiamo avuto la nostra prima recensione firmata “Bill G.”», racconta oggi Chang. «Il quale ci disse “bello, peccato che io non capisca il cinese”». La reazione del presidente di Microsoft spinse il gruppo di Chang ad applicare gli stessi modelli matematici anche alla lingua inglese. Dato che l’intonazione è importantissima per il cinese mandarino – un impercettibile mutamento di tono è l’unica distinzione tra due termini come «mamma» e «cavallo» – il sistema si dimostrò più efficace nel cogliere le inflessioni della lingua inglese e quelli di altri linguaggi. Secondo Chang, che recentemente è stato nominato vicedirettore dell’Advanced Technology Center del laboratorio, il sintetizzatore verrà integrato in molti prodotti commerciali da qui ai prossimi anni.

Il laboratorio di Pechino sta anche aiutando Microsoft a capire meglio il mercato asiatico in aree più propriamente «consumistiche» come la comunicazione multimediale tramite dispositivi mobili. Nella sola Cina si contano già più di 240 milioni di abbonati al telefonino. Abbonati che tendono ad aggiornare più frequentemente di un americano il tipo di servizi utilizzati e che sono generalmente molto più interessati ai gadget, avverte Shipeng Li, responsabile del gruppo Internet media del laboratorio e anche lui ex ricercatore della Sarnoff. «è come una moda», egli spiega.

Li veste in modo casual, indossa i blue jeans e ha uno stile più rilassato di molti altri colleghi. Il suo gruppo si focalizza sulla fluidità delle immagini video. Nella stanza accanto, una ventina di borsisti lavora alla dimostrazione di uno dei primi sistemi di videoconferenza per computer palmari mai sviluppati. Uno studente impugna il palmare – equipaggiato con videocamera, microfono, scheda per il collegamento wireless e software di comunicazione – e pronuncia una frase. Il suo volto compare sullo schermo di un vicino computer da tavolo, dotato più o meno delle stesse estensioni. Le immagini vengono codificate a una frequenza di dieci quadri al secondo, un tasso sufficiente per un video fluido e senza scatti, mentre l’audio ha un ritardo di circa mezzo secondo sulle immagini dei due ricercatori impegnati nella conversazione. Complessivamente la qualità è inferiore a quella di un video normale, precisa Li, ma è di gran lunga superiore a quella ottenibile da altre tecnologie palmari.

Il passo in avanti più significativo in questo caso è il software che su ciascun dispositivo sorveglia le condizioni dei canali di trasmissione dati, tiene conto di quali servizi vengono utilizzati e comprime il flusso video per minimizzare il numero di bit necessari. Già 50.000 persone hanno prelevato dal sito Web Microsoft la versione preliminare di questo software. Se si riuscirà a ridurre i ritardi trasmissivi, afferma Li, i videotelefoni palmari potrebbero prendere piede sui mercati asiatici entro tre anni.

Non mancano tuttavia applicazioni a più breve termine. Un esempio è il prelievo di contenuti multimediali dai siti Web. I ricercatori del gruppo guidato da Li stanno lavorando sulle tecniche per il trasferimento di filmati verso i computer dei navigatori senza le pause e gli scatti tipici delle immagini visualizzate oggi su Internet. I sistemi sviluppati da Li effettuano questi trasferimenti cercando di adattare la trasmissione alla qualità dei collegamenti. Li si serve di una semplice analogia per spiegare i progressi compiuti da Microsoft. Immaginiamo il contenuto mediatico come «un certo volume di merce da trasportare», egli dice. Al posto dell’attuale strategia, che impiega per trasportarlo un unico grande camion che rischia di restare imbottigliato nel traffico, i suoi tecnici lo frantumano in tanti pacchetti caricati a bordo di veicoli più piccoli, assegnando una priorità più elevata ai bit marchiati inizialmente come più importanti. Anche se qualche pacchetto rimane indietro o va definitivamente perduto, i pezzi più importanti – quelli che descrivono l’immagine fondamentale e le sue trasformazioni – arriveranno a destinazione.

Il risultato finale è un filmato più scorrevole e affidabile. Con questa tecnologia Li dimostra la proiezione di un videoclip con Christina Aguilera; sulla destra del filmato viene visualizzato lo stesso contenuto trasmesso con l’attuale versione del software di riproduzione Microsoft. La nuova versione procede con meno scossoni e non è interrotta da continui salti. Secondo Li, il prossimo rilascio del media player per Windows utilizzerà la tecnica escogitata nei laboratori di Pechino.

UN IMPERO SENZA FINE?

In una parte dell’edificio opposta alla stanza delle dimostrazioni di Li, un’ondata di marea di curricula vitae minaccia di inghiottire la scrivania di Hongjiang Zhang. Ne sono arrivati diecimila negli ultimi sei mesi, egli racconta, e si riferiscono a nuove posizioni creatisi nell’ambito del Centro Tecnologie Avanzate che è stato chiamato a dirigere. Per riuscire a scremare la massa di candidati il personale a disposizione di Zhang ha dovuto ricorrere allo strumento delle prove di esame scritte, organizzate in undici diverse città della Cina. «La sfida più importante è rappresentata dalle persone», dice Zhang. «Dobbiamo puntare sulla giusta miscela di collaborazione, cameratismo e leadership».

L’Advanced Technology Center – riconoscibile per il marchio in simboli in grassetto – è in rapida espansione, con un personale cresciuto dai 20 elementi dello scorso inverno ai 70 della successiva primavera. Rappresenta la seconda fase del laboratorio, quella che prevede tempi di trasformazione in prodotto più rapidi e diretti per i risultati ottenuti qui a Pechino. Lo scopo è di accelerare l’intero processo di trasferimento delle nuove tecnologie verso la casa madre.

Il centro è la vera creatura di Zhang. Come ricercatore, lo scienziato aveva sviluppato un software in grado di distinguere da solo tra contenuti visivamente importanti e contenuti da scartare, particolarmente utile per il trattamento automatico dei filmati. Oggi, lasciatosi alle spalle le proprie ricerche, Zhang guarda all’immagine più complessa del laboratorio e cerca di identificare le tecnologie più promettenti per le varie linee di prodotto di Microsoft. «Quali sono i ritorni dell’investimento in ricerca di lungo termine?», egli si chiede. «La missione del centro è dare una risposta a questo interrogativo».

Parlando delle attività del Centro, varato nel novembre del 2003 in occasione del quinto anniversario della creazione di Microsoft Research Asia, Zhang tradisce una punta di nostalgia. Durante la cerimonia di inaugurazione, egli racconta, il responsabile aziendale delle ricerche Rick Rashid aveva ripercorso le tappe raggiunte dal laboratorio facendo a tutti, davanti ai grandi capi di Redmond, le più calde congratulazioni. «Tutti nella stanza avevano le lacrime agli occhi», egli precisa. «Pensavamo che un grande sogno era diventato realtà. Che avevamo fatto storia».

Ma ora, prosegue Zhang, bisogna cominciare a costruire il futuro dell’azienda, sviluppando nuovi prodotti che verranno utilizzati da fette ancora più vaste della società. Invece di spedire i responsabili delle ricerche dall’altra parte dell’oceano Pacifico per farli incontrare con i responsabili dei prodotti – un processo che per Zhang «rischia di diventare troppo complesso» – il personale dell’Advanced Technology Center gestirà la prima fase dello sviluppo direttamente a Pechino. La loro prossimità con le squadre di ricercatori renderà più facile riconoscere le tecnologie più mature. Al tempo stesso, i periodici incontri con i dirigenti di Redmond continueranno a esserci, mantenendo così uno stretto contatto con le squadre addette alla creazione dei prodotti, che potranno fornire ai ricercatori consigli sulle questioni pertinenti al mercato. Ecco un modo di «generare valore con la ricerca», spiega Henry Chesbrough, esperto di strategie e gestione delle tecnologie presso l’Università della California, a Berkeley.

La questione per Microsoft è stabilire se il laboratorio di Pechino sia in grado di mantenere elevati i livelli di concentrazione dei suoi ricercatori senza rallentare i piani di sviluppo a breve termine dei prodotti. Nessuno ritiene che questa equilibristica impresa sia facile. «Una parte del prezzo da pagare è il fatto che la gente comincia a chiederti di raccogliere anche i frutti sui rami più bassi», afferma Zue, del MIT. «Il successo può diventare una autentica maledizione se tutti ti chiedono qualcosa entro una scadenza di sei mesi al massimo».

Se fossimo negli Stati Uniti, questo potrebbe essere l’ostacolo più grosso che il laboratorio ha affrontato nella sua storia. Ma siamo in Cina. Per mantenere i propri livelli di produttività, Microsoft Research Asia dovrà favorire le sue relazioni con le autorità di governo e con il mondo accademico, in modo da garantire un vantaggio non solo a Microsoft, ma anche alla nazione ospitante. Queste relazioni rappresentano però una possibile fonte di attrito. I giovani laureati locali dichiarano che il loro sogno è lavorare per Microsoft. Ma, interrogando i gradini più alti della gerarchia universitaria cinese, emerge il lato oscuro della medaglia. «è una vergogna che il governo e le autorità accademiche consentano un simile spreco di talenti», afferma Hongfei Wang, docente dell’Istituto di chimica dell’Accademia Cinese delle Scienze. «Questi poveri laureati non hanno in effetti una alternativa migliore. Ma, lavorando su progetti di natura aziendale, le loro opportunità di crescita intellettuale diminuiscono enormemente».

La continuità della presenza di Microsoft in Cina dipende in ultima analisi dalla capacità, da parte della azienda di Bill Gates, di creare nuove opportunità per il cittadino cinese in generale. Rafforzare il sistema educativo, dare ai giovani una formazione tecnica, favorire lo sviluppo delle aziende software locali e promuovere la crescita economica sono azioni che rappresentano un buon punto di partenza – e un buon affare – per quella che un giorno potrebbe essere ricordata come la dinastia Gates.

Al termine di un’altra lunga giornata di lavoro, Harry Shum sale a bordo dell’auto aziendale che lo riporterà a casa, alla periferia di Pechino. Il responsabile del laboratorio controlla gli ultimi messaggi di posta su un palmare senza fili e usa lo stesso dispositivo per una telefonata alla famiglia che sta per incontrare a cena. Per la prima volta in questo mese non ha fatto gli straordinari. Di sera Pechino è una città tranquilla, silenziosa. Ma le cose stanno cambiando in fretta. «Cinque anni fa questa autostrada non esisteva neppure», ricorda Shum. Guardando scorrere la nuova strada sta già pensando a domani, al traffico del mattino, ai progressi che il suo laboratorio dovrà realizzare.

Gregory T. Huang è redattore associato di «Technology Review», edizione americana.

L’OPINIONE DEL FONDATORE

KAI-FU LEE ha fondato il laboratorio di ricerca Microsoft di Pechino nel 1998.

Diventato successivamente vicepresidente di Microsoft e trasferitosi a Redmond, Lee contribuisce a delineare le strategie di prodotto della società nel campo delle interfacce utente avanzate. Lee spiega come funziona – per entrambe le partiin gioco – una iniziativa scientifica impiantata all’estero da un’azienda straniera.

Dove sta il segreto del successo del laboratorio di Pechino?

Per avere successo in Cina devi essere sincero su ciò che è positivo non solo per la tua azienda, ma anche per la Cina. Devi dimostrare la tua serietà, la tua sincerità, di essere degno della fiducia che il governo nutre in te. Per noi ci sono voluti due anni. Inizialmente, quando assumevamo i migliori studenti, molti professori non erano affatto contenti. Ma col tempo, accorgendosi che i loro pupilli non si perdevano in una stanza buia dietro ad attività segrete, ma tornavano spesso in visita alla loro facoltà – portando con sé finanziamenti, pubblicazioni scientifiche, nuovi borsisti – hanno capito che i guadagni erano superiori alle perdite.

Qual è l’impatto del laboratorio sulle strategie

di business globali di Microsoft?

Non c’è vicepresidente Microsoft che non sia al corrente delle fantastiche ricerche in corso a Pechino. Non c’è divisione aziendale che non utilizzi una parte delle tecnologie sviluppate dal laboratorio. Ma essere una azienda globale non è abbastanza, devi anche agire localmente. Non è giusto pensare a una nazione come a un posto dove andare a vendere dei prodotti e fare altro denaro. Vogliamo vendere i nostri prodotti, certo, ma vogliamo anche essere cittadini responsabili, non a furia di slogan e travestimenti, ma in tutta sincerità. Questo vale per tutti gli altri paesi, come l’India, la Russia, il Brasile.

Alla luce dell’attuale frenesia di outsourcing

e delocalizzazione, quale eredità Microsoft lascerà alla Cina?

L’outsourcing dello sviluppo o del testing intesi in chiave convenzionale non ha nulla a che fare con Microsoft Research. Intendiamo assumere i migliori cervelli d’Asia che vogliono realizzare i propri sogni professionali senza costringerli a emigrare negli Stati Uniti. Il mio personale sogno è che il successo del laboratorio di Pechino aiuti Microsoft nella sua interezza a diventare partner della Cina, con estremo successo per entrambi, e che Microsoft finisca per andare ben oltre la ricerca, entrando nella produzione e contribuendo a potenziare a livello locale il sistema scolastico e l’ecosistema del software. Tra le università cinesi e le migliori università del mondo c’è ancora un divario sostanziale. Per cento laureati con dottorato di ricerca la cui carriera abbiamo contribuito ad accelerare, altre decine di migliaia rimangono escluse. Ritengo che una maggiore accelerazione del sistema formativo possa aiutare moltissime persone a realizzare i propri potenziali.

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