Nanotech …e altro

Entro tre-cinque anni, i nuovi materiali su scala nanometrica apriranno la strada
a prodotti commerciali per l’elettronica, l’energia e la medicina.

di Gregory T. Huang

Chiedete a Stephen Empedocles, direttore dello sviluppo commerciale a Nanosys, a Palo Alto, in California, di ricapitolare lo stato del mercato emergente della nanotecnologia, ed egli risponderà con una sola parola: «confuso». Oggi esistono migliaia di gruppi universitari che si occupano di nanotecnologia e oltre un centinaio di aziende ha il prefisso «nano» all’interno del nome.

Tuttavia, a parte qualche articolo particolare come i pantaloni che non si macchiano e le palline da tennis supertese, ci sono solo pochi prodotti commerciali, e non particolarmente significativi, basati sulla nanotecnologia. Ma la situazione potrebbe cambiare. Gli innovatori della categoria «nanotech e altro» di TR100, che include materiali, energia e trasporti, lavorano in aree diverse come l’elettronica, le pile a combustibile e la modellazione del traffico. Ma al momento è la nanotecnologia a suscitare il maggiore interesse e all’interno della disciplina in continua crescita TR100 ha puntato l’attenzione sulla trasformazione delle curiosità di laboratorio in tecnologie commercialmente valide.

Se tutto andrà bene, i nanomateriali prodotti in massa saranno subito usati per realizzare apparecchi che riconfigureranno i mercati esistenti in aree distanti come l’energia, la medicina e l’informatica. «Dobbiamo mostrare al mondo che in realtà la nanotecnologia non è costituita da nanorobot che attraverseranno e ripuliranno le nostre arterie», afferma Empedocles. «è una tecnologia concreta, valida che sarà a nostra disposizione nei prossimi tre-cinque anni».

Da parte sua, Empedocles è alla guida di un tentativo di Nanosys di commercializzare nanocelle solari efficienti e a bassissimo costo che possono funzionare quasi dovunque. I materiali sono realizzati mescolando polimeri conduttori di elettricità con cristalli semiconduttori inorganici grandi dai 10 ai 60 nanometri. I materiali convertono l’energia solare in elettricità con lo stesso livello di efficienza delle attuali celle solari al silicio, ma a un decimo dei costi di produzione. Inoltre, le nanocelle solari potrebbero essere inserite nelle coperture dei tetti – o addirittura nella vernice per esterni – per fornire elettricità alle case, agli uffici e ai sistemi di trasporto pubblico. Nanosys sta unendo le proprie forze a quelle di Matsushita Electric Works, un grande produttore giapponese di materiali per costruzione, per realizzare il prodotto. Le nanocelle solari nelle coperture dei tetti dovrebbero fare la loro comparsa sul mercato per la fine del 2006, dice Empedocles.

Ovviamente Nanosys non è la sola a voler essere la prima a uscire sul mercato con prodotti nanotecnologici importanti. Due anni fa, l’ingegnere Colin Bulthaup ha cofondato Kovio, con sede a Sunnyvale, in California, per commercializzare elettronica stampabile basata su un processo di nanofabbricazione che egli ha sviluppato quando era studente del MIT. La tecnica utilizza inchiostri speciali fatti di particelle di metallo o di semiconduttore grandi da uno a cinque nanometri, ricoperte da uno strato di molecole organiche e dissolte in un solvente. L’inchiostro è stampato su un sostrato plastico e riscaldato per far emergere le particelle, che si fondono in schemi che producono circuiti integrati. Poiché ogni strato dei nuovi chip può essere realizzato in un unico passaggio, senza incisione o fotolitografia, il tempo di produzione e i costi possono essere un decimo di quelli dei tradizionali circuiti al silicio. «Non stiamo necessariamente cercando di competere con Intel, ma vogliamo ugualmente arrivarle il più vicino possibile», afferma Bulthaup. L’obiettivo principale, egli spiega, è irrompere sul mercato entro tre anni con un tipo di elettronica austera, leggera ed economica che andrà a formare le dorsali elaborative dei display dei portatili, delle etichette d’identificazione in radiofrequenza e dei PDA.

In tempi rapidi, la prima ondata di prodotti nanotecnologici influenzerà anche le biotecnologie, sostengono i giovani selezionati da TR100. A partire dalla sua tesi di laurea alla Cornell University, Stephen Turner, cofondatore e responsabile scientifico di Nanofluidics, con sede a Ithaca, New York, sta sviluppando un apparecchio nanotech che blocca e analizza direttamente singoli filamenti di DNA.

La tecnologia consentirà ai ricercatori di fare la sequenza genica almeno un migliaio di volte più rapidamente dei metodi tradizionali che richiedono campioni estesi e una scrupolosa preparazione. Tutto ciò potrebbe anche voler dire analisi del sangue più economiche e veloci e screening dei contaminanti. «Le nanostrutture sono realmente una tecnologia che migliora la biotecnologia», dice Turner. Egli prevede che biochip sensibili e sufficientemente accurati per diverse applicazioni commerciali, comprese le analisi del sangue, saranno disponibili entro 5 anni.

Oltre al tentativo di commercializzare i primi prodotti nanotecnologici, i ricercatori di TR100 stanno anche ponendo le basi per apparecchi del tutto nuovi. Peidong Yang, un ricercatore di chimica dell’Università della California, a Berkeley, sta realizzando nanofili a semiconduttore che potrebbero aprire la strada a comunicazioni ottiche a velocità ultra-alte, all’elaborazione superveloce e alla memoria di dati ultradensa nei chip per computer. Yang sta anche sviluppando nanomateriali termoelettrici da usare per raffreddare specifiche aree del chip, un’applicazione che diventa sempre più importante con i circuiti integrati che rimpiccioliscono progressivamente. In effetti, i tipi di materiali con cui lavora Yang – realizzati in nanoscala e, teoricamente, capaci di autoassemblarsi quasi senza intervento umano – potrebbero trasformare l’industria dei semiconduttori favorendo la produzione generalizzata di elettronica con prestazioni di altissimo livello.

Ma ci vorrà ancora del tempo e nel frattempo nessuno sottovaluta le difficoltà legate alla commercializzazione di nanoprodotti, particolarmente nell’elettronica di consumo. «In un laboratorio è facile dimostrare il buon funzionamento di un transistor. è quando si arriva alla fase di produzione su larga scala che i problemi si moltiplicano», sostiene Zhenan Bao, scienziata dei materiali ai Bell Labs di Lucent Technologies. Bao sta lavorando a nuovi tipi di semiconduttori organici per produrre display e sensori flessibili a basso costo. I problemi più frequenti, ella dice, includono la stratificazione di diversi materiali in modo che quando si deposita uno strato non si degradi quello sottostante; la scelta di molecole da organizzare in schemi utili, affidabili e riproducibili; la connessione di queste strutture al mondo macroscopico.

Nel lungo periodo, il nodo dell’interfacciamento potrebbe rappresentare la più impegnativa sfida tecnica per la nanotecnologia. «Bisogna fare di più che arrivare allo schema con dei transistor», puntualizza il fisico Jordan Katine, che sta sviluppando nanomateriali magnetici per sistemi di memoria dei computer a Hitachi Global Storage Technologies, a San Jose, in California. «è necessario indirizzarli, collegarli in modo verificabile e gestire l’informazione in entrata e in uscita».

In mezzo alla confusione che regna nella nanotecnologia, i giovani innovatori di TR100 dicono comunque una cosa chiara: stiamo vivendo un momento cruciale per il futuro commerciale della nanotecnologia. «Questa industria è legata a doppio filo con la capacità di qualche azienda di esprimere una tecnologia concreta», dice Empedocles. è anche probabile che i leader di queste aziende diventeranno i nuovi esperti industriali. E ciò che loro porteranno a termine nei prossimi anni potrebbe determinare il futuro non solo della nanotecnologia e della scienza dei materiali, ma anche dell’energia, dell’informatica, dei trasporti e della biotecnologia.

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