Non è (più) un mondo per startup

Le grandi aziende stanno usando le tecnologie proprietarie per limitare il dinamismo economico e il ricambio della leadership. In passato, invece, sono state proprio le tecnologie a fare da volano alla crescita della concorrenza e dell’innovazione

di James Bessen

Nel 2005, anni prima che Siri di Apple e Alexa di Amazon entrassero in scena, due startup, ScanSoft e Nuance Communications, si unirono per perseguire una fiorente opportunità nel riconoscimento vocale. La collaborazione permise di sviluppare un potente software di elaborazione vocale che ha portato a una crescita costante del 27 per cento all’anno delle vendite. 

Poi improvvisamente, intorno al 2014, il meccanismo si è inceppato. I ricavi nel 2019 sono stati più o meno gli stessi del 2013. Nuance ha incontrato serie difficoltà, poiché le grandi aziende di computer che un tempo erano i suoi partner sono diventate delle concorrenti. 

La storia di Nuance è tutt’altro che unica. In tutti i principali settori industriali e tecnologici, le startup devono affrontare ostacoli senza precedenti. Nuove aziende stanno ancora nascendo per sfruttare opportunità innovative. E queste aziende possono ora attingere a una straordinaria ondata di capitale di rischio. Eppure non tutto va bene nell’economia delle startup.Le startup innovative stanno crescendo molto più lentamente di quanto non facessero in passato aziende dello stesso tipo

Sorprendentemente, uno dei principali colpevoli è la tecnologia, in particolare quella dell’informazione proprietaria nelle mani di grandi aziende che dominano i loro settori. Siamo abituati a pensare alla tecnologia come a una forma di innovazione che consente di sostituire progressivamente quelle più vecchie e meno produttive. Ma queste tecnologie proprietarie stanno ora colpendo il fatturato industriale, che è fortemente diminuito negli ultimi due decenni. 

Questa perdita di dinamismo ha ampie implicazioni negative per l’economia statunitense. Ha rallentato la crescita delle imprese innovative. E i ricercatori hanno collegato questa crescita più lenta a un incremento rallentato della produttività, che colpisce l’intera economia, fino ai redditi personali.

Nuance nasce nel 1994 come spin-off di SRI, un laboratorio di Stanford che aveva sviluppato una tecnologia di riconoscimento vocale per il governo degli Stati Uniti. ScanSoft era uno spin-off di Xerox. Prima che le due si unissero nel 2005, il riconoscimento vocale era limitato dalla potenza di elaborazione del computer. I sistemi riconoscevano solo vocabolari limitati, sebbene si dimostrassero comunque utili in applicazioni commerciali ristrette come i centri di assistenza telefonica per i clienti e la trascrizione di cartelle cliniche.

Alla fine degli anni 2000, la situazione era cambiata. Man mano che i computer diventavano più potenti, Nuance è stata in grado di sviluppare un’importante innovazione: il “riconoscimento vocale continuo con vocabolario ampio”. Con questa tecnologia, si può trascrivere accuratamente in tempo reale qualsiasi cosa. Nuance l’ha utilizzata in un’app chiamata Dragon Dictation, che Apple ha presentato con l’iPhone 3GS alla Worldwide Developers Conference del 2009. Una volta che Apple ha validato il prodotto, Samsung e tutti gli altri produttori di telefoni lo hanno voluto. 

Così hanno fatto Google, Amazon e Microsoft. Nuance è cresciuta rapidamente, sia arruolando questi importanti clienti sia attraverso milioni di singoli consumatori che hanno acquistato l’app per iPhone, che è diventata l’applicazione di produttività aziendale numero uno nell’iTunes Store. Nel 2011, Apple ha introdotto Siri, basata sulla tecnologia Nuance. I ricavi di Nuance sono cresciuti a 1,7 miliardi di dollari nel 2013.

Ma questa crescita ha avuta una breve durata. Nuance non è stata l’unica a rendersi conto che la voce era pronta a diventare un canale privilegiato per l’interazione umana con computer e servizi cloud. Il riconoscimento vocale non riguardava più solo la dettatura del testo, ma anche lo shopping, la ricerca di informazioni, la selezione di musica e intrattenimento video, il controllo degli elettrodomestici e molto altro ancora. Rispetto alla tastiera e al mouse, rappresentava un modo molto più naturale di comunicazione.

Big Tech ha iniziato a investire con convinzione in questo campo. Apple ha investito nello sviluppo dei propri sistemi, Amazon ha perseguito il suo assistente vocale Alexa e Google ha perseguito il suo Home Assistant. Queste aziende hanno “saccheggiato” il pool di talenti di Nuance, portandosi via i talenti. Amazon ora ha oltre 10.000 ingegneri che lavorano sui prodotti Alexa, più di 10 volte il numero di dipendenti del settore chiave di R&S che Nuance aveva al suo apice.

Oltre alle loro risorse finanziarie, le grandi aziende hanno anche il vantaggio di un’ampia base di clienti, prodotti complementari e grandi quantità di dati a loro disposizione, che consentono loro di migliorare continuamente i loro sistemi di riconoscimento vocale. Oggi sono installati 300 milioni di dispositivi Alexa.

Google gestisce in media 5,6 miliardi di ricerche ogni giorno e la metà dei suoi utenti segnala di utilizzare la voce per la ricerca. Amazon ha un fiorente ecosistema in cui sviluppatori di terze parti aggiungono nuove “abilità” ad Alexa, oltre 100.000, che vanno dalla riproduzione di stazioni radio specifiche al raccontare barzellette. Inoltre, Amazon ha concesso in licenza la tecnologia a distanza Alexa ai produttori di elettrodomestici, che la utilizzano per controllare lavastoviglie, lavatrici e asciugatrici e aspirapolvere. 

Nuance non poteva competere su questo campo di battaglia. Si è ritirata per concentrarsi su nicchie di mercato come l’assistenza sanitaria prima di essere acquisita da Microsoft nel 2021. Quello che è successo a Nuance non è solo una rivisitazione della vecchia storia delle grandi aziende che riassorbono le startup.

Una situazione diffusa

In una vasta gamma di settori, le aziende dominanti stanno impiegando sistemi informativi su larga scala per avere la meglio sui loro concorrenti, comprese le startup innovative. Stanno usando software proprietario per gestire meglio la complessità e quindi differenziarsi dalle aziende rivali. E questo ha permesso loro di aumentare il proprio dominio sul mercato ed evitare di essere superate dalle rivali.

Nella vendita al dettaglio, il software di gestione dell’inventario e della logistica di Walmart le consente di rifornire i suoi negozi con una selezione molto più ampia di prodotti a un costo inferiore, rispondendo rapidamente ai cambiamenti della domanda e ai prodotti emergenti. Utilizzando sistemi di dati di grandi dimensioni, le principali società finanziarie adattano carte di credito e prestiti per la casa ai singoli consumatori su vasta scala e quindi mirano alla commercializzazione di questi prodotti. 

Anche le principali società di gestione dei rifiuti e assicurazioni sanitarie stanno facendo grandi investimenti in software proprietario per battere la concorrenza. Complessivamente, le aziende (escluse quelle il cui prodotto è un software) ora investono oltre 240 miliardi di dollari nel loro software interno ogni anno, rispetto ai 19 miliardi di dollari del 1985. Le grandi aziende rappresentano la maggior parte di questo cambiamento. 

E questi investimenti hanno dato i loro frutti. Dagli anni 1980, le prime quattro aziende di ciascun settore hanno aumentato la propria quota di mercato dal 4 al 5 per cento nella maggior parte dei settori. La mia ricerca mostra che gli investimenti in software proprietario hanno causato la maggior parte di questo aumento. Questo predominio nel settore da parte delle migliori aziende è accompagnato da un corrispondente calo del rischio che il loro dominio venga interrotto, una prospettiva che ha ossessionato i manager aziendali sin da The Innovator’s Dilemma di Clayton Christensen, uscito nel 1997.

All’epoca in cui Christensen scrisse il suo libro, le probabilità di successo di un outsider erano in aumento, ma dal 2000 circa, quando le principali aziende hanno iniziato a investire in sistemi proprietari, questa tendenza è diminuita drasticamente. In un determinato settore, la possibilità che un’azienda di alto rango (misurata in base alle vendite) esca da uno dei primi quattro posti nel giro di quattro anni è scesa da oltre il 20 per cento a circa il 10 per cento. 

Anche in questo caso, gli investimenti delle imprese dominanti nei loro sistemi interni spiegano largamente il cambiamento. Mentre alcune nuove tecnologie mettono in crisi interi settori (si pensi alle conseguenze dello sviluppo di Internet per l’editoria o il comparto dei DVD), altre ora stanno garantendo la permanenza del dominio delle aziende più grandi.

Perché questo fenomeno accade e sembra influenzare così tanto l’economia? La risposta è che questi sistemi aziendali colmano una grave lacuna del capitalismo moderno. A partire dalla fine del XIX secolo, le aziende innovative scoprirono che spesso potevano ottenere notevoli risparmi sui costi producendo su larga scala. Il cambiamento ha ridotto drasticamente i prezzi al consumo, ma c’era un compromesso: affinché le aziende potessero raggiungere quei grandi volumi, i prodotti e i servizi dovevano essere standardizzati. 

Henry Ford disse che gli acquirenti potevano avere “un auto di qualsiasi colore purché fosse nera”. Le catene di vendita al dettaglio hanno raggiunto la loro efficienza fornendo una serie limitata di prodotti alle loro migliaia di negozi. Le società finanziarie hanno offerto mutui e prestiti standard. Di conseguenza, i prodotti avevano set di funzionalità limitati. I negozi avevano una selezione ristretta ed erano lenti a rispondere al cambiamento della domanda e molti consumatori non potevano ottenere credito o averlo solo a condizioni onerose e poco rispondenti alle loro esigenze.

Il software cambia l’equazione, superando in parte queste limitazioni. Questo perché riduce i costi di gestione della complessità. Con i dati giusti e un’adeguata organizzazione, il software consente alle aziende di personalizzare prodotti e servizi in base alle esigenze individuali, offrendo una maggiore varietà o una più ampia funzionalità del prodotto. In questo modo si domina il mercato. I negozi Walmart offrono una selezione molto più ampia rispetto ai negozi Sears o Kmart e rispondono più rapidamente alle mutevoli esigenze dei clienti. 

Sears, a lungo il re della vendita al dettaglio, è stata spodestata da WalmartToyota produce rapidamente nuovi modelli quando rileva nuove tendenze di consumo mentre le aziende automobilistiche più piccole non possono permettersi i miliardi di dollari necessari per farlo. Allo stesso modo, solo Boeing e Airbus possono riuscire a costruire nuovi jumbo jet altamente complessi. Le prime quattro società di carte di credito dispongono dei dati e dei sistemi per indirizzare efficacemente le offerte ai singoli consumatori, ottenendo il massimo profitto e la più alta quota di mercato.

Queste piattaforme abilitate al software hanno consentito alle migliori aziende di consolidare il loro dominio e hanno anche rallentato la crescita dei rivali, comprese le startup innovative. Una varietà di dati supporta l’idea che la crescita delle startup sia notevolmente rallentata. Un segnale preciso è quanto tempo impiegano le startup a essere finanziate con capitale di rischio: dal 2006 al 2020, il periodo medio di una startup nella fase di raccolta del finanziamento è aumentato da 0,9 a 2,5 anni. 

L’età media di una startup in fase avanzata è passata da 6,8 anni a 8,1 anni nello stesso periodo. Tra le aziende acquisite, il tempo medio dal primo finanziamento all’acquisizione è triplicato, da poco più di due anni nel 2000 a 6,1 anni nel 2021. La storia è stata simile per le aziende quotate in borsa. Ma la prova più evidente di un rallentamento è ciò che accade quando le imprese diventano più produttive.

Le startup non prendono il volo

La caratteristica fondamentale delle economie dinamiche, quella che l’economista Joseph Schumpeter ha chiamato “distruzione creativa”, è che le imprese più produttive – quelle con prodotti migliori o costi inferiori o modelli di business migliori – crescono più velocemente di operatori storici meno produttivi, finendo per soppiantarle. Ma dopo il 2000, in media, la crescita della produttività delle nuove imprese è stato solo la metà rispetto a quelle con lo stesso livello di produttività negli anni 1980 e 1990. In altre parole, la produttività ha un effetto minore sulla crescita rispetto al passato. 

E quando le aziende produttive crescono più lentamente, è meno probabile che “scavalchino” i leader del settore e li rimpiazzino, il segno distintivo della rottura. L’anno scorso, la ricerca che ho condotto con il mio collega Erich Denkha direttamente collegato l’impatto calante del miglioramento della produttività al maggiore predominio nel settore delle grandi aziende e ai loro investimenti in software e altri beni immateriali.

Nel 2020, un altro documento del Subcommittee on Antitrust Commercial and Administrative Law of the Committee on the Judicairy attribuisce il calo del dinamismo economico a un’altra fonte: l’indebolimento della politica antitrust del governo a partire dagli anni 1980. In questo conto, alle grandi imprese è stato permesso di acquisire i loro rivali, riducendo la concorrenza. Le acquisizioni hanno reso queste aziende più dominanti, specialmente nella Big Tech, portando a un calo sia all’emergere di nuove aziende tecnologiche che al finanziamento di capitali di rischio per le aziende in fase iniziale. 

Ma in realtà, il tasso di ingresso di nuove aziende tecnologiche nel mercato è solo leggermente inferiore rispetto all’eccezionale ondata del boom delle dot-com e il finanziamento di capitale di rischio nella fase iniziale è a livelli record, con il doppio dei finanziamenti oggi rispetto al 2006 e quattro volte l’importo investito. Il problema non è che le grandi aziende impediscano alle startup di entrare nei mercati o di ottenere finanziamenti, ma che stanno impiegando tecnologie su larga scala che rendono più difficile la crescita delle startup

Inoltre, le grandi aziende come Walmart e Amazon sono cresciute principalmente adottando modelli di business superiori, non acquistando rivali. In effetti, il tasso di acquisizioni da parte di imprese dominanti è diminuito dal 2000. Naturalmente, tali acquisizioni a volte influiscono sul panorama delle startup. Alcuni ricercatori hanno identificato le cosiddette “zone calde”, in cui le Big Tech effettuano acquisizioni per bloccare la concorrenza e il capitale di rischio diventa difficile da trovare. 

Ma altri ricercatori evidenziano che le startup spesso rispondono spostando la loro attività innovativa in un’applicazione diversa. Inoltre, la prospettiva di acquisizione da parte di una grande azienda spesso incentiva le persone a fondare startup. Infatti, nonostante quanto accaduto a Nuance, il numero di startup di riconoscimento vocale e di elaborazione del linguaggio naturale che entrano nel mercato è quadruplicato dal 2005 e il 55 per cento di queste startup ha ricevuto investimenti di capitale di rischio.

Il rallentamento nella crescita delle startup innovative non è un problema solo per poche migliaia di aziende del settore tech. I venti contrari che soffiano contro aziende come Nuance sono responsabili di problemi che influiscono sulla salute dell’intera economia.

I ricercatori dell’US Census Bureau hanno dimostrato che la crescita più lenta delle imprese produttive spiega gran parte del rallentamento della crescita della produttività aggregata, una cifra che misura la quantità di produzione che l’economia produce pro capite e funge da indice approssimativo del benessere economico. Sono convinto, come il mio lavoro ha dimostrato, che svolga un ruolo nella crescente disuguaglianza economica, nella maggiore divisione sociale e nella diminuzione dell’efficacia del governo.

Cosa servirà per invertire la tendenza?

Una stretta dell’antitrust potrebbe aiutare, ma i cambiamenti nel dinamismo economico sono guidati più dalle nuove tecnologie che da fusioni e acquisizioni. Un problema fondamentale è che le nuove tecnologie più importanti sono proprietarie, accessibili solo a un piccolo numero di grandi aziende. In passato, le nuove tecnologie si sono ampiamente diffuse, sia attraverso licenze sia come alternative sviluppate da aziende in modo indipendente;, consentendo una maggiore concorrenza e innovazione. 

Il governo a volte ha aiutato questo processo. Bell Labs ha sviluppato il transistor, ma è stata costretta dalle autorità antitrust a concedere in licenza la tecnologia, creando l’industria dei semiconduttori. Allo stesso modo, IBM ha favorito la crescita della moderna industria del software quando, in risposta alle pressioni dell’antitrust, ha iniziato a vendere software separatamente dall’hardware del computer. 

Oggi stiamo assistendo ad alcuni sviluppi simili anche senza l’azione del governo. Amazon, per esempio, ha aperto la sua infrastruttura IT proprietaria per creare il settore del cloud, che ha notevolmente migliorato le prospettive di molte piccole startup. Ma la politica antitrust può essere utilizzata per incoraggiare o costringere le aziende più grandi ad aprire le loro piattaforme proprietarie. Anche l’allentamento delle restrizioni che i patti di non concorrenza e i diritti di proprietà intellettuale impongono alla mobilità dei dipendenti può favorire una maggiore diffusione della tecnologia. 

Trovare il giusto equilibrio tra le politiche sarà difficile e ci vorrà del tempo: non vogliamo ridurre gli incentivi all’innovazione. Ma il punto di partenza è riconoscere che nell’economia odierna la tecnologia ha invertito il suo ruolo da forza che guidava il cambiamento e la concorrenza a freno.

James Bessen è docente della Boston University School of Law e autore del libro di prossima uscita The new Goliaths: how corporations use software to dominate industries, kill innovation and undermine regulation, da cui è stato tratto questo articolo.

(rp)

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