Osservati nuovi neuroni svilupparsi nel cervello di individui adulti ed anziani

La crescita di nuovi neuroni è possibile almeno fino ai 90 anni.

di MIT Technology Review Italia

Nature medicine pubblica i risultati di una ricerca condotta da un gruppo di scienziati della Universidad Autonoma de Madrid sotto la guida di Maria Llorens-Martin, biologa molecolare.

La neurogenesi avviene per lo più durante lo sviluppo prenatale, ma ricercatori degli anni ’60 ne scoprirono traccia in mammiferi adulti.
La nuova ricerca è stata concentrata sullo studio dei meccanismi che controllano la neurogenesi nell’ippocampo in condizioni sia di salute che di malattia, con l’intenzione di determinare il potenziale terapeutico di un incremento della plasticità cerebrale in casi di malattie quali il morbo di Alzheimer. L’ippocampo, una regione del cervello cruciale per i processi mnemonici e di apprendimento, è particolarmente affetto da simili malattie.

I ricercatori hanno analizzato campioni di tessuto di una regione dell’ippocampo chiamata giro dentato (GD), ottenuti da 13 individui deceduti in età compresa tra i 43 e gli 87 anni neurologicamente sani. La presenza di processi di neurogenesi attivi in questi individui adulti è stata dimostrata dall’osservazione di migliaia di cellule chiamate neuroni doublecortina (DCX+), connesse alla neurogenesi, nonché dell’espressione di marcatori caratteristici di ogni fase della maturazione delle cellule.

Questi stessi fattori, ricercati in campioni di cervello di 45 individui affetti da Alzheimer e deceduti in età tra i 52 e i 97 anni d’età, sono risultati in progressivo declino in rapporto con il progredire del morbo. Per quanto il numero di cellule DCX+ sia marcatamente inferiore in individui affetti da Alzheimer rispetto a individui neurologicamente sani di qualunque età, i ricercatori hanno rimarcato come, in individui affetti dal morbo, il progredire dell’età sembri comportare un rallentamento del declino della neurogenesi adulta.

Questo dato sembrerebbe supportare l’idea che il morbo di Alzheimer non sia necessariamente correlato al processo dell’invecchiamento, per quanto l’invecchiamento stesso comporti una diminuzione della popolazione di cellule DCX+. Meccanismi neuropatologici indipendenti contribuirebbero alla decimazione di DCX+ che si accompagna all’Alzheimer sin dai primi stadi del morbo.

I ricercatori propongono la possibilità di sfruttare i risultati della ricerca per sviluppare un sistema di monitoraggio non invasivo capace di segnalare la presenza di biomarcatori associabili alle prime manifestazioni del morbo, nonché nuove terapie per combattere l’Alzheimer.

Immagine: Gruppo di ricerca Maria Llorens-martin, Universidad Autonoma de Madrid

(lo)

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