Potrebbe esistere vita in un universo in 2D

E’ convinzione di vecchia data che la vita possa esistere solo in un universo come il nostro, con tre dimensioni spaziali ed una temporale. Potrebbe essere ora di cambiare idea.

di ArXiv

Negli ultimi decenni, i fisici hanno esplorato la possibilità dell’esistenza di forme di vita complesse in universi diversi dal nostro, non caratterizzati da 3 dimensioni spaziali ed una temporale, a partire dallo studio delle proprietà associate a combinazioni alternative al 3+1. Secondo le loro conclusioni, non possono esistere forme di vita complesse in universi dotati da 4 dimensioni spaziali, né in universi con più di una dimensione temporale. La nostra presenza in un universo caratterizzato da 3+1-dimensioni, dunque, è inevitabile. Si tratta del principio antropico, l’idea che l’universo debba avere le proprietà necessarie alla sopravvivenza dell’osservatore.

Per quanto riguarda universi più semplici, per esempio a 2+1 dimensioni, i fisici hanno supposto che due dimensioni spaziali fossero insufficienti a supportare il genere di complessità alla base della vita, né tantomeno a generare gravità, escludendo quindi la possibilità dell’esistenza di oggetti come il sistema solare.

Eppure, James Scargill della University of California, è riuscito a dimostrare, contro ogni aspettativa, che un universo a 2+1-dimensioni sarebbe capace sia di generare sia gravità che supportare la complessità necessaria alla vita.

Una delle grandi curiosità della fisica è il fatto che le sue leggi sembrano essere pensate apposta per permettere la vita. Per esempio, il valore numerico della costante di struttura fine appare arbitrario (circa 1/137), eppure, svariati fisici hanno fatto osservare come atomi ed oggetti più complessi non potrebbero formarsi se variasse anche solo di poco, rendendo impossibile la vita. Nelle parole del principio antropico: se la costante di struttura fine avesse un altro valore, non potrebbe esistere un osservatore capace di misurarla. Ecco perchè ha esattamente quel valore.

Negli anni 90, Max Tegmark, ora fisico attivo al MIT, sviluppò una teoria simile per il numero di dimensioni dell’universo, sostenendo che un numero di dimensioni temporali superiore a uno non permetterebbe alle leggi della fisica di garantire la presenza di osservatori e quindi di forme di vita. In universi dotati di quattro dimensioni, le leggi del moto di Newton sarebbero sensibili ad ogni minima perturbazione, rendendo impossibile, per esempio, l’esistenza di orbite stabili, ovvero niente atomi e niente sistemi solari.

Per quanto riguarda eventuali universi con un numero di dimensioni inferiore al nostro, James Scargill ha dimostrato la possibilità di esistere di campi gravitazionali più semplici, puramente scalari a due dimensioni. L’esistenza della gravità per mette l’esistenza di orbite stabili e di una cosmologia ragionevole. Scargill, però, ha soprattutto dimostrato la possibilità che 2 +1 dimensioni possano supportare la complessità necessaria alle forme di vita.

Scargill è partito dal punto di vista di una rete neurale, mettendo in evidenza il fatto che la complessità di tali reti può essere caratterizzata da proprietà particolari riproducibili in sistemi a 2D. Tra queste c’è la proprietà del “piccolo mondo”, una rete di connessioni che permette l’attraversamento di una rete complessa in pochi passi. Un’altra proprietà delle reti cerebrali è la capacità di operare un delicato equilibrio in un regime di transizioni tra elevata e bassa attività. Questo regime prende il nome di criticità. Tutto questo è possibile solo in reti dotate di una gerarchia modulare, dove piccole sotto-reti si combinano per formare reti più grandi.

Scargill si è chiesto se esistano reti in 2D dotate di tutte queste caratteristiche: proprietà del piccolo mondo, gerarchia modulare e comportamento critico. È riuscito a dimostrare che una rete in 2D può essere costruita in maniera modulare e che i questi grafici sono dotati di qualche proprietà da piccolo mondo. Non solo, ha anche dimostrato come queste reti siano capaci di operare al punto di transizione tra due tipi di comportamento, ovvero, sono dotate di criticità.

Il suo studio suggerisce la possibilità che reti in 2D possano supportare comportamenti sorprendentemente complessi. Indubbiamente, ciò non significa necessariamente che la vita in 2D possa esistere, ma smentisce almeno l’idea che sia impossibile. I promotori del principio antropico dovranno sforzarsi un po’ di più.

Per approfondire: Can Life Exist in 2 + 1 Dimensions?

(lo)

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