Qualcosa non va nell’algoritmo di Stanford

L’ospedale universitario ha proposto un piano di distribuzione del vaccino che ha suscitato forti polemiche, soprattutto da parte di chi ha combattuto il virus rischiando ogni giorno la vita.

di Eileen Guo e Karen Hao

Quando i medici residenti presso lo Stanford Medical Center, molti dei quali lavorano in prima linea nella pandemia di covid-19, hanno scoperto che solo sette su oltre 1.300 di loro avevano ricevuto la priorità per le prime 5.000 dosi del vaccino, sono rimasti scioccati. Poi, quando hanno visto chi era nella lista, compresi gli amministratori e i medici che visitavano i pazienti a distanza da casa, si sono arrabbiati.

Il 18 dicembre, a un servizio fotografico per celebrare le prime vaccinazioni, almeno 100 residenti universitari si sono presentati per protestare. La leadership dell’ospedale si è scusata per non aver dato loro la priorità e ha attribuito gli errori a “un algoritmo molto complesso”. “Chiaramente non funzionava bene”, ha detto Tim Morrison, il direttore del team di assistenza ambulatoriale in un video pubblicato online.

Molti l’hanno interpretata come una scusa, soprattutto in considerazione del fatto che i dirigenti dell’ospedale erano stati informati del problema qualche giorno prima, quando solo cinque interni erano presenti nell’elenco e si sono limitati ad aggiungerne altri due per un totale di sette. 

“Una delle principali attrazioni degli algoritmi è che consentono ai potenti di incolpare una scatola nera per risultati politicamente insostenibili di cui sarebbero altrimenti responsabili”, ha scritto su Twitter Roger McNamee, un importante insider della Silicon Valley. “Ma sono le persone che hanno deciso chi avrebbe ricevuto il vaccino”, ha twittato Veena Dubal, professore di diritto presso l’Università della California, ad Hastings, che si occupa di ricerca tecnologica e società. “L’algoritmo ha eseguito la loro volontà.”

Diapositiva relativa al funzionamento dell’algoritmo.

Come funziona l’algoritmo

La diapositiva a fianco che descrive l’algoritmo proviene dai residenti all’interno dell’università che l’hanno ricevuta dal loro presidente del dipartimento. Non è un complesso algoritmo di apprendimento automatico (a cui spesso ci si riferisce come “scatole nere”), ma una formula basata su regole per calcolare chi deve ricevere il vaccino per primo a Stanford. Vengono prese in considerazione tre categorie: “variabili basate sui dipendenti”, che hanno a che fare con l’età, “variabili basate sul lavoro” e linee guida del Dipartimento della sanità pubblica della California. 

Per ogni categoria, il personale ha ricevuto un certo numero di punti, con un punteggio totale possibile di 3,48. Presumibilme, più alto è il punteggio, maggiore è la priorità della persona  Le variabili dei dipendenti aumentano il punteggio di una persona in modo lineare con l’età e i punti extra vengono aggiunti a quelli con più di 65 o meno di 25 anni. In tal modo si dà priorità al personale più anziano e più giovane, svantaggiando i residenti e altri lavoratori in prima linea che in genere nella gamma di mezza età.

Le variabili lavorative contribuiscono in maggior misura al punteggio complessivo. L’algoritmo conta la prevalenza di covid-19 tra i ruoli lavorativi e il dipartimento dei dipendenti in due modi diversi, ma la differenza tra loro non è del tutto chiara. Né i residenti né due esperti non affiliati a cui abbiamo chiesto di rivedere l’algoritmo hanno capito cosa significassero questi criteri e lo Stanford Medical Center non ha risposto a una richiesta di commento. E’ stata presa in considerazione anche la percentuale di test effettuati per ruolo lavorativo come percentuale del numero totale di test raccolti dal centro medico. 

Ciò che questi fattori non tengono in considerazione è l’esposizione a pazienti con covid-19, dicono i residenti. Ciò significa che l’algoritmo non distingue tra coloro che sono stati contagiati dai pazienti e coloro che hanno contratto il virus nella comunità più vasta, inclusi i dipendenti che lavoravano a distanza. E, come riportato per la prima volta da ProPublica, ai residenti è stato detto che poiché ruotano tra i dipartimenti invece di avere un unico incarico, hanno perso punti associati ai dipartimenti in cui lavoravano. 

La terza categoria dell’algoritmo si riferisce alle linee guida per l’assegnazione dei vaccini del Dipartimento della sanità pubblica della California (CDPH). Queste si concentrano sul rischio di esposizione come il singolo fattore più alto per concedere la priorità per il vaccino. Le linee guida sono destinate principalmente ai governi della contea e alle amministrazioni locali per decidere a quali categorie deve essere somministrato il vaccino, e non stabilire la priorità tra i dipartimenti di un ospedale.

Ma includono specificamente i residenti, insieme ai dipartimenti in cui lavorano, nel livello di priorità più alta. Il CDPH probabilmente concede ai residenti un punteggio più alto, ma non ancora abbastanza alto da contrastare gli altri criteri.

“Perché l’hanno fatto in questo modo?”

Stanford ha cercato di tenere in considerazione molte più variabili rispetto ad altre strutture mediche, ma Jeffrey Kahn, il direttore del Johns Hopkins Berkman Institute of Bioethics, afferma che l’approccio è troppo complicato. “Più ci sono pesi diversi per cose diverse, più diventa difficile capire: ‘Perché lo hanno fatto in questo modo?'”, si chiede.

Kahn, che faceva parte del comitato di 20 membri della Johns Hopkins per l’assegnazione dei vaccini, afferma che la sua università ha assegnato i vaccini in base semplicemente al lavoro e al rischio di esposizione a covid-19. Egli racconta che la decisione si è basata su discussioni che includevano intenzionalmente diverse prospettive, comprese quelle dei residenti, e in coordinamento con altri ospedali nel Maryland. 

Anche il piano dell’Università della California a San Francisco si affida a una valutazione simile del rischio di esposizione al virus. Il Mass General Brigham a Boston, a sua volta, classifica i dipendenti in quattro gruppi in base al dipartimento e alla posizione di lavoro, secondo un’e-mail interna esaminata da “MIT Technology Review”. “È davvero importante per qualsiasi approccio di questo tipo essere trasparente e pubblico … e non qualcosa di veramente difficile da capire”, spiega Kahn. “C’è così poca fiducia in giro e non possiamo sperperarla”.

Gli algoritmi sono comunemente usati nell’assistenza sanitaria per classificare i pazienti in base al livello di rischio nel tentativo di distribuire cure e risorse in modo più equo. Ma più variabili vengono utilizzate, più difficile è valutare eventuali errori nei calcoli. Per esempio, nel 2019, uno studio pubblicato su “Science” ha mostrato che 10 algoritmi ampiamente utilizzati per la distribuzione delle cure negli Stati Uniti hanno finito per favorire i pazienti bianchi rispetto a quelli neri. 

Il problema, si è scoperto, era che i progettisti degli algoritmi presumevano che i pazienti che spendevano di più per l’assistenza sanitaria fossero più malati e avessero bisogno di più aiuto. In realtà, chi spende di più è anche più ricco e probabilmente bianco. Di conseguenza, l’algoritmo ha assegnato meno cure ai pazienti neri con le stesse condizioni mediche di quelli bianchi.

Irene Chen, una dottoranda del MIT che studia l’uso di algoritmi equi nell’assistenza sanitaria, sospetta che la stessa cosa sia accaduta a Stanford: i progettisti hanno scelto variabili che credevano servissero come buone approssimazioni per il livello di rischio covid di un dato staff, ma non hanno verificato che portassero a risultati sensati, né hanno risposto in modo significativo alle critiche della comunità quando il piano vaccinale è venuto alla luce. “Il problema non è l’errore, ma la mancanza di un meccanismo per risolverlo”, conclude Chen.

Un canarino nella miniera di carbone?

Dopo le proteste, Stanford ha rilasciato scuse formali, dicendo che avrebbe rivisto il suo piano di distribuzione. I rappresentanti dell’ospedale non hanno risposto alle domande su chi avrebbero incluso nei nuovi processi di pianificazione o se l’algoritmo avrebbe continuato a essere utilizzato. Un’e-mail interna che riassume la risposta della scuola di medicina, condivisa con “MIT Technology Review”, afferma che né i responsabili del programma, i presidenti di dipartimento, i medici curanti né il personale infermieristico sono stati coinvolti nella progettazione dell’algoritmo originale. 

Ora, tuttavia, alcuni docenti stanno spingendo per avere un ruolo più importante, eliminando completamente i risultati degli algoritmi e dando invece ai capi divisione e ai presidenti l’autorità di prendere decisioni per i propri team. Altri presidenti di dipartimento hanno incoraggiato i residenti a farsi vaccinare prima. Alcuni hanno persino chiesto ai docenti di portare con sé i residenti quando vengono vaccinati o di dare la precedenza ad altri.

Alcuni residenti stanno aggirando completamente il sistema sanitario universitario. Nuriel Moghavem, interno al reparto di neurologia, che è stato il primo a pubblicizzare i problemi a Stanford, pochi giorni fa ha twittato che aveva finalmente ricevuto il suo vaccino, non a Stanford, ma in un ospedale pubblico della contea di Santa Clara County. “Oggi sono stato vaccinato per proteggere me stesso, la mia famiglia e i miei pazienti”, è scritto nel tweet,“ma ne ho avuto l’opportunità solo perché l’ospedale pubblico della contea ritiene che i residenti svolgano un ruolo fondamentale. Grazie”.

Immagine: Yichuan Cao / SIPA USA

(rp)

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