Quale vero obiettivo per le bombe nordcoreane?

Come conseguenza delle risoluzioni dell’ ONU, dal gennaio 2013, le esportazioni di greggio cinese verso la Corea del Nord sono scese da circa 500 mila tonnellate/anno a zero, stando ai resoconti ufficiali.

di Luca Longo

Per la quarta volta, dopo il 2006, il 2009 ed il 2013, si è ripetuto il copione di un lancio di un razzo – ufficialmente per mandare in orbita un satellite artificiale – abbinato ad un test nucleare a poche settimane di distanza.

Le cose non sembrano essere andate proprio come dovevano. Nonostante le dichiarazioni ufficiali, e come avevamo anticipato qui solo poche ore dopo, la supposta bomba termonucleare si è rivelata o una bomba atomica più grossa del normale o una bomba a fusione-fissione e il NORAD ha verificato poche ore fa che il satellite Kwangmyongsong 4, portato in orbita il 7 febbraio, continua a capovolgersi su se stesso. Dunque è fuori controllo.

Il Senato degli Stati Uniti ha approvato poche ore fa (con voto di 96 a 0) un inasprimento delle sanzioni, focalizzate ad ostacolare la produzione di armi di distruzione di mazza, abusi dei diritti umani, attacchi informatici

Non è però detto che la raffica di sanzioni che colpiscono la Corea del Nord da 13 anni possano costringerla a trattare con il resto del mondo come è invece successo in Iran.

Finché il governo cinese non eserciterà lo stesso livello di vigilanza e controllo esercitato dalle altre nazioni le sanzioni risulteranno inefficaci e Pyongyang potrà continuare a acquistare tramite Pechino i materiali e gli equipaggiamenti necessari per i propri programmi missilistici e nucleari. Ma Pechino disapprova le risoluzioni ONU che impediscono l’esportazione di petrolio verso la Corea del Nord.

Dal gennaio 2013, le esportazioni di greggio cinese verso questo Paese sono scese da circa 500 mila tonnellate/anno a zero. Sono sostanzialmente falliti i tentativi di rimpiazzare il petrolio cinese con quello russo. E’ chiaro che la prima scelta in fatto di carburanti e derivati venga destinata a sostenere l’enorme esercito di Pyongyang, ma non si notano ripercussioni negli altri settori: il commercio, i trasporti, e persino il già basso tenore di vita della popolazione non paiono avere risentito della ipotetica mancata importazione di carburanti. Numerosi sono i segnali che confermano le intenzioni esclusivamente propagandistiche di Kim Yong-Un.

Per mostrarsi forte all’estero ha risposto minacciando la chiusura e l’esproprio delle attività nel complesso industriale di Kaesong: una zona franca al confine fra le due coree, dove 120 compagnie sudcoreane investono nella produzione di beni fabbricati da manodopera in prevalenza nordcoreana e che fornisce a Pyongyang un flusso di denaro stimato in 515 milioni di dollari da quando è stato aperto nel 2004.

(sa)

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