Quante scatole nere

I nuovi protagonisti e le nuove logiche dei mercati finanziari, nella prospettiva della recente crisi estiva di Wall Street.

di Bryant Urstadt

Mercoledì 8 agosto 2007, poco dopo la chiusura della borsa, 200 tra gli esperti più brillanti di Wall Street si riunirono in una sala del Four World Financial Center, il grattacielo di 54 piani che ospita il quartier generale della Merril Lynch. Di solito agosto è un mese morto, ma i posti a sedere erano tutti occupati, e parecchi tecnici delle finanze con stipendi da favola se ne stavano in piedi in fondo alla sala, presso le finestre che davano su un parco di nere automobili da noleggio e più in là sul fiume Hudson. Non avevano affatto l’aspetto dei Padroni dell’Universo, parevano piuttosto i soci di un circolo scacchistico. Erano quant, o “tecnici quantitativi,” e avevano molte cose su cui discutere, perché la loro attività era alla radice di una delle estati di borsa più difficili da molti decenni a questa parte.

La riunione era stata organizzata dalla IAFE (International Association of Financial Engineers) e aveva per titolo la domanda “Il subprime è il canarino della miniera?” **NOTA I beneficiari dei mutui subprime sono acquirenti di immobili troppo deboli sotto il profilo creditizio per poter accedere ai tassi d’interesse del mercato. I prestiti concessi ai clienti subprime, che negli ultimi tempi avevano avuto un notevole incremento, erano quasi sempre a tasso d’interesse variabile. Al crescere del tasso, molti contraenti non erano più riusciti a pagare le rate del mutuo. A loro volta queste insolvenze avevano innescato problemi inattesi nel mercato di quegli strumenti finanziari noti come strumenti derivati.

I derivati sono prodotti negoziabili il cui valore è basato su, o “derivato” da, un titolo a garanzia. L’esempio classico di derivato è l’opzione per l’acquisto di un’azione nel futuro. In confronto, i derivati più recenti sono enormemente complessi e sono stati inventati da quant come quelli riuniti nel quartier generale della Merrill Lynch.

La situazione aveva cominciato a deteriorarsi in giugno, quando la debolezza del mercato dei subprime aveva provocato il collasso di due imponenti fondi della banca d’investimenti Bear Stearns, con una perdita di 1,6 miliardi di dollari per gli investitori. Quando i quant si riunirono in agosto, i più pessimisti tra loro immaginavano che il collasso del mercato dei subprime potesse provocare una penuria del credito bancario per colpa dei mancati incassi delle rate dei mutui. Ciò avrebbe raffreddato l’economia, causando una perdita di impieghi su scala mondiale, quindi ulteriori insolvenze, una contrazione dei consumi, ritiri dalle borse e da ultimo una recessione globale o peggio.

L’incontro era moderato da Leslie Rahl, laureata al Massachusetts Institute of Technology (MIT) e fondatrice del Capital Market Risk Advisors. La sua attività consiste nel fornire consulenza alle aziende sul rischio e nell’aiutarle a comprendere i prodotti inventati dai quant. Ma in agosto la comprensione era merce piuttosto scarsa. I prezzi di alcuni dei prodotti finanziari dei quant avevano subito un tracollo con conseguenze inattese in un altro settore finanziario: la contrattazione del capitale azionario.

In luglio il la borsa aveva subito un forte ribasso e in seguito si era comportata in modo aleatorio. Nelle settimane che seguirono l’incontro fu imbastita una sorta di spiegazione più o meno razionale, ma in quel momento il panorama economico dava il capogiro: nell’arco di una giornata la borsa scendeva a rotta di collo, per poi rimbalzare quasi al livello precedente negli ultimi tre quarti d’ora di contrattazione. Ancora più strano era che scendevano i blue chip, cioè i titoli con ottime tradizioni di gestione e buone prospettive, mentre di solito nei periodi d’incertezza essi salgono. All’opposto salivano certi titoli deboli e dal dubbio futuro, che di solito scendono a picco.

Nessuno sapeva ancora perché, ma si sarebbe scoperto che il bizzarro andamento del mercato era strettamente collegato all’attività dei quant. Oltre a creare prodotti finanziari arcani, i quant avevano continuato ad allargare le frontiere dei sistemi di contrattazione assistiti dai computer e troppi di quei sistemi non funzionavano come avrebbero dovuto o, per essere più precisi, il modo in cui avrebbero dovuto funzionare si rivelava controproducente in quei momenti così aleatori.

I quant che si erano riuniti alla Merril Lynch e i loro colleghi stavano affondando nei guai che minacciavano il sistema finanziario globale. A questo punto si pongono due belle domande: chi sono in realtà i quant? E che cosa fanno esattamente?

“Quant” è un termine elastico, il cui significato è cambiato nel corso del tempo. All’inizio, la parola indicava quei tecnici che stando dietro le quinte elaboravano analisi quantitative per assistere le banche nella vendita degli strumenti finanziari. L’uso del termine si estese negli anni 1980, quando un numero crescente di accademici, per lo più matematici e fisici, fecero il loro ingresso nel mondo finanziario. Fanatici dei metodi matematici e un po’ eccentrici, i nuovi venuti all’inizio furono trattati dall’aristocrazia finanziaria come immigranti di infimo livello. Emanuel Derman, che prima di entrare a far parte della Goldman Sachs nel 1985 era un fisico teorico alla Columbia University, nelle sue gradevoli memorie My Life as a Quant ricorda i tempi in cui “era di pessimo gusto che due adulti consenzienti parlassero di matematica o di Unix o di C in presenza di agenti, venditori o banchieri.” Ma il successo procurò credibilità ai quant: quello che era stato un termine spregiativo fu disinvoltamente adottato da coloro

che prima se ne dovevano sentire insultati. Da ultimo esso venne a indicare un ampio gruppo di persone, che comprendeva nel senso più ampio chiunque avesse a che fare con la matematica o con l’informatica finanziaria. In questo articolo il termine “quant” indica chiunque pratichi la finanza quantitativa, una vasta disciplina che comprende tra l’altro le tecniche per quotare gli strumenti finanziari, la valutazione del rischio e la ricerca di andamenti e tendenze sfruttabili nei dati di borsa.

Un quant vede il mondo finanziario attraverso la lente della matematica. Non è detto che ciò valga in genere per gli agenti o gli intermediari di Wall Street, il cui successo è spesso basato sull’intuizione e, forse più ancora, sulle conoscenze personali e sul carisma piuttosto che sulla comprensione del calcolo delle probabilità. Per darvi un’idea di quanto la mentalità di un quant sia lontana da quella di un tipico membro del mondo finanziario, il calcolo delle probabilità, la branca della matematica che ha a che fare con il caso, è spesso chiamata con irrisione dai quant “matematica popolare”. Il quant, a differenza dei suoi più astuti e disinvolti colleghi, cerca di comprendere il mercato borsistico e di trarne profitto su base puramente numerica. Per esempio Herbert Blank, un quant che allestisce algoritmi per valutare lo stato di salute finanziario delle aziende, afferma: “Se uno pensa di scoprire ciò che ha bisogno di sapere andando a vedere come un’azienda viene gestita, allora io non ho niente da dirgli.”

Se è un bel po’ che i quant, in una veste o nell’altra, sono sulla piazza, è anche vero che hanno già provocato dei guai. Per esempio il fondo a copertura (hedge fund) Long-Term Capital Management, che ebbe un tracollo nell’agosto del 1998, vantava tra i propri dirigenti e funzionari alcuni dei fondatori di questo settore. Nondimeno negli ultimi anni il numero e l’influenza dei quant sono aumentati. I derivati fuori listino, come quelli che sono alla radice della crisi dei subprime, si sono diffusi e alimentano un fortissimo incremento dei prestiti, che sono diventati più facili da vendere e comprare. Stando alle statistiche della Bank for International Settlements, il valore dei derivati fuori listino, che è un indice sommario dell’attività del mercato, è passato da 298 trilioni di dollari nel dicembre 2005 a 415 trilioni un anno dopo. Secondo certi criteri, la quantità di denaro investito in due tra i tipi più comuni dei fondi gestiti dai quant è cresciuta del 60 per cento negli ultimi due anni (calcolando sia l’apprezzamento degli investimenti precedenti sia i nuovi investimenti), e i fondi hanno generato profitti tra i più elevati dell’industria finanziaria.

Essi sono anche tra le istituzioni più misteriose del settore finanziario. Le imprese che mantengono segreti i loro metodi sono chiamate “scatole nere” e i fondi a copertura gestiti dai quant sono tra le scatole più nere di tutte. Non è raro che in queste imprese vengano investiti miliardi di dollari senza che ne trapeli molto all’infuori dei risultati. D’altra parte i risultati ottenuti in precedenza possono rappresentare un notevole incentivo per dare soldi a qualcuno che non ti dice quello che ne vuol fare. Un esempio tipico è quello della Renaissance Technology di James Simons, che ha guadagnato in media più del 30 per cento l’anno da quando è stata fondata, nel 1988. Come altri fondi gestiti dai quant, è circondata da una segretezza impenetrabile. Eppure tanti sono stati gli investitori che hanno dato fiducia a Simons che oggi i due fondi da lui gestiti ammontano a più di 30 miliardi di dollari. Nel solo 2006, la gestione del fondo ha fruttato 1,7 miliardi.

Spesso la stampa definisce Simons il quant più importante del mondo: matematico di statura internazionale, con un dottorato conseguito all’Università della California a Berkeley, ha trascorso anni nell’accademia, dando significativi contributi alla matematica. Ha condotto ricerche soprattutto in geometria, precisamente in quella branca chiamata geometria differenziale, e il suo risultato più importante è stata la teoria di Chern-Simons, una descrizione topologica del comportamento del campo quantistico che si è rivelata utile nella teoria delle corde. Molti dei suoi impiegati hanno compiuto studi in fisica, astronomia e matematica.

Parecchi quant della Renaissance Technologies avrebbero potuto avere una carriera accademica di tutto rispetto e ciò non è frequente. Tuttavia quant di livello meno insigne cominciano a pullulare nelle istituzioni finanziarie: nelle banche d’investimenti vi sono quant che progettano nuove forme di prestito; nei fondi a copertura vi sono quant che macinano dati borsistici di anni e anni per allestire algoritmi di contrattazione che i computer eseguono in pochi millisecondi; e nei fondi pensionistici lavora un numero crescente di quant che tentano di comprendere e valutare gli strumenti foggiati dai quant delle banche e i metodi dei quant investitori.

“Un tempo mandavamo i nostri laureati soprattutto nelle banche più grandi,” dice Andrew Lo, direttore del Laboratory for Financial Engineering del MIT, dove vengono preparati molti quant. “Adesso invece vanno ovunque, nei fondi pensionistici, nelle compagnie di assicurazioni e anche in aziende che non hanno nessun carattere finanziario.” Il laboratorio del MIT, fondato nel 1992, è una delle tante istituzioni accademiche sorte in questo settore nelle università degli Stati Uniti e di altri Paesi; una delle più recenti è un istituto dell’Università di Oxford. “I mercati finanziari e i processi d’investimento,” dice Lo, “sono sempre più quant in tutti i settori.”

Per capire chi erano e che cosa facessero, ho parlato con quant ed ex quant, a volte registrando e a volte no. Molti parlano volentieri e a lungo, altri con cautela, o pretendono l’anonimato, specie quelli che gestiscono le contrattazioni tramite metodi di analisi e algoritmi brevettati. Ho letto le memorie di alcuni quant, un genere che sta prendendo piede, e mi sono immerso in un testo introduttivo per quant, Paul Wilmott Introduces Quantitative Finance, un condensato di 722 pagine del poderoso trattato di 1500 pagine in tre volumi dello stesso autore, Paul Wilmott on Quantitative Finance. E ho preso parte a un ricevimento di quant nello scantinato di un pub vicino alla Grand Central Station. Era l’incontro di agosto della sezione di New York del Quantitative Work Alliance for Applied Finance, Education, and Wisdom, ovvero QWAFAFEW. Questo nome dimostra più di ogni altra cosa che nelle vene dei quant scorre più di una goccia di eccentricità professionale.

Benché in passato fossero più semplici di oggi, i derivati non sono mai stati semplicissimi. Il punto di svolta nella valutazione dei derivati in genere e delle opzioni in particolare si ebbe con il modello e la formula di Black-Scholes, proposti da Fischer Black e Myron Scholes negli anni 1970 e formalizzati da Robert Merton nel 1973 (Merton, come tanti dei quant migliori, non proveniva da Wall Street, ma dall’università e aveva conseguito un dottorato in economia al MIT nel 1970).

Nella finanza quantitativa l’espressione formale data da Merton al modello Black-Scholes (BS) è così importante che tutto ciò che è venuto in seguito è considerato una “nota a piè di pagina.” Il modello BS ipotizza che il prezzo di un’azione vari in parte per ragioni prevedibili e in parte a causa di eventi aleatori; l’elemento aleatorio è chiamato “volatilità” dell’azione. Formalmente l’idea può essere espressa con un’equazione semplicissima:

dSt = mStdt + sStdWt

St è il prezzo dell’azione e dSt è la sua variazione. Il termine mStdt rappresenta la variazione prevedibile del titolo e sStdWt la sua volatilità. Quest’ultima combinazione cabalistica di simboli, dWt, è l’espressione matematica della casualità, nota come moto browniano o processo di Wiener. (In chimica il moto browniano è il movimento aleatorio delle particelle sospese in una soluzione, osservato dal botanico Robert Brown nel 1828 e descritto in termini formali dal grande matematico del MIT Norbert Wiener. Il modello BS possiede alcune proprietà dell’equazione di diffusione termica, che descrive eventi comunissimi come il flusso del calore e la dispersione delle popolazioni. Che alcuni processi fisici appaiano pertinenti alla finanza ha ispirato bizzarre ricerche d’ogni sorta, per esempio il tentativo di fare della relatività generale una teoria della finanza.) Il modello BS attribuisce un prezzo a un’opzione sulla base della quantità di aleatorietà presente nella quotazione dell’azione: maggiore è l’aleatorietà, più in alto potrebbe salire l’azione, quindi più costosa è l’opzione.

In seguito i quant hanno raffinato il modello BS e grazie all’accresciuta potenza dei computer hanno sviluppato altri metodi più elaborati per la valutazione dei derivati. Per esempio nelle analisi basate sul metodo Monte Carlo i calcolatori simulano milioni di volte l’andamento di un’azione e poi calcolano la media dei risultati. Mentre il modello BS, che è una sorta di scorciatoia matematica, assegna un valore costante alla volatilità di un’azione, nelle simulazioni alla Monte Carlo anche la volatilità è variabile. In teoria ciò fornisce un’approssimazione migliore delle fluttuazioni delle quotazioni della borsa reale. E i quant hanno ideato metodi ancora più arcani per assegnare un prezzo ai derivati. Alcuni modelli molto complicati tengono conto non solo del prezzo di un’azione, ma anche di altri fattori economici, per esempio della borsa nel suo complesso, o di fattori macroeconomici ancora più ampi.

Nell’ultimo decennio eseguire simulazioni come queste, che richiedono molta potenza di calcolo, è diventato assai più agevole. Gregg Berman, che nel 1993 abbandonò la carriera accademica di astrofisico sperimentale per il mondo della finanza, fa parte di quella che lui chiama “la pletora di dottori” della RiskMetrics, un’azienda che fornisce modelli, strumenti e dati a gran parte delle banche più importanti, alle ditte di intermediazione e ai fondi a copertura (tra l’altro, la RiskMetrics cerca di prevedere l’andamento di un derivato in svariate condizioni di mercato, per esempio come esso potrebbe reagire a un abbassamento dei tassi di cambio o a un aumento dei tassi d’interesse). Berman racconta che quanto entrò nell’azienda “le simulazioni complete [alla Monte Carlo] erano rare.” Ora invece che è facile collegare tra loro i calcolatori, Berman può metterne insieme anche un migliaio per eseguire “simulazioni dentro simulazioni,” ottenendo la misura del rischio di un prodotto come un titolo garantito da un mutuo ipotecario.

Il risultato ultimo di questa maggior capacità di assegnare un valore a derivati sempre più complessi è stata una vera e propria esplosione delle loro tipologie. Quindi ogni singolo investitore può scegliere un derivato adatto alla sua propensione per il rischio: di conseguenza, gli investitori si sono dimostrati sempre più inclini a investire nei derivati.

Negli ultimi tempi, tra questi nuovi strumenti si sono molto diffuse le obbligazioni garantite da debito (collateralized debt obligations o CDO). E’ importante sottolineare che le CDO sono il prodotto più strettamente legato allo sconquasso estivo dei subprime. Le CDO sono considerate il “derivato di un derivato” e, per aumentare la confusione, esistono CDO di CDO e perfino CDO di CDO di CDO. Una CDO combina titoli ad alto rischio e titoli a basso rischio che possono trarre il loro flusso di liquidità da mutui ipotecari, prestiti per l’acquisto di un’automobile o da fonti ancora più stravaganti, come redditi cinematografici o affitti di aerei. Chi investe in una CDO può acquistare i diritti su diversi livelli di profitto e di rischio associato, detti classi. In genere la classe con massimo rischio di una CDO fornisce il profitto più elevato. Create dai quant e quotate dai quant, le CDO sono diventate un mezzo molto diffuso con cui i fondi a copertura, i fondi pensionistici, le compagnie di assicurazione e altri investitori acquistano segmenti di settori ad alto rischio ma ad alto profitto, come i prestiti subprime. Secondo la Securities Industry and Financial Markets Association, tra il 2005 e il 2006 le emissioni annue di CDO su base mondiale sono raddoppiate, passando da 249,3 a 488,6 miliardi di dollari.

I quant che approntano questi derivati lavorano più o meno alla luce del giorno e l’oscurità del loro lavoro è dovuta soprattutto alla complessità delle tecniche. Per di più i grandi gestori di fondi come Renaissance Technologies contribuiscono con la loro riservatezza a occultare ulteriormente l’attività dei quant che progettano le strategie di mercato. Sono riuscito a parlare con alcuni operatori ,che mi hanno fornito un’idea generale dei loro metodi, e con alcuni ex operatori, che sono stati un pochino più espliciti.

Un metodo diffuso usato dai quant per individuare le opportunità del mercato è la contrattazione in coppia, che consiste nell’individuare titoli che crescono in tandem o che tendono a muoversi in direzioni opposte. Se questa relazione vacilla (se per esempio i valori di due azioni che viaggiano in tandem all’improvviso divergono), ciò può essere indizio che una delle due azioni è sopravvalutata o sottovalutata. Non ha importanza quale delle due: è probabile che un operatore che scommetta contemporaneamente che una andrà su e l’altra giù ci guadagnerà dei soldi. E’ una strategia che si presta all’uso del computer, con cui si possono analizzare enormi quantità di quotazioni correlate su periodi di molti anni, benché la decisione ultima di speculare sulle quotazioni relative delle azioni accoppiate spetti di solito ai gestori del fondo.

I quant hanno adottato anche un’altra strategia, detta “arbitraggio della struttura del capitale” in cui si cerca di sfruttare l’incongruenza delle quotazioni delle obbligazioni di una società rispetto alle sue azioni. Anche in questo caso la ricerca dei casi in cui per qualche motivo i titoli sono sfasati è affidata al computer.

Analogamente Max Kogler, un dirigente della neocostituita MM Capital di New York, impiega i computer per individuare le incongruenze tra la quotazione di un’opzione su un fondo indicizzato e le quotazioni delle opzioni sui titoli che compongono quell’indice. Kogler, che ha conseguito un master in matematica pura con indirizzo statistico all’Università di Cambridge, dice che il suo algoritmo cerca “panieri di opzioni che non fanno quello che dovrebbero fare.” Quando i suoi computer individuano uno di questi panieri, lui e i suoi soci discutono se comprare o no.

Kogler esegue il suo algoritmo su “one Linux box.” “Il nostro metodo è attraente,” mi ha scritto in un messaggio elettronico,” anche perché richiede una potenza di calcolo assai modesta. Comunque bisogna avere una macchina veloce con un orologio abbastanza rapido e un paio di unità centrali di elaborazione in parallelo.”

In quella che si chiama contrattazione non discrezionale, il computer rileva le incongruenze ed esegue le compravendite. Secondo le stime del Gruppo Aite, una ditta che si occupa di ricerche sui servizi finanziari, il 38 per cento circa di tutti i beni propri possono essere gestiti automaticamente e questa cifra potrebbe salire al 53 per cento nel giro di tre anni.

I calcolatori sono alla base di un altro settore di frontiera, la contrattazione ad alta frequenza, una forma estremamente spinta di contrattazione giornaliera: il computer cerca tratti particolari e incongruenze nell’arco non delle ore o dei giorni, ma dei minuti e dei secondi. Un algoritmo potrebbe per esempio cercare caratteristiche particolari delle compravendite quando i giapponesi sono a pranzo o negli istanti che precedono un annuncio importante. La quantità dei dati di questo genere da elaborare è enorme. La Olsen Financial Technologies, una ditta di Zurigo che vende dati, afferma di raccogliere ogni giorno qualcosa come un milione di aggiornamenti di quotazioni.

Un operatore di un fondo a copertura da 10 miliardi di dollari con sede a New York mi ha detto che il suo computer esegue da 1000 a 1500 transazioni ogni giorno (sottolineando tuttavia che non erano quelle che lui chiamava transazioni “intragiornaliere”). Anche se obbedendo a una clausola del suo contratto di assunzione (un librone spesso tre dita) mi ha proibito di fare il suo nome, l’operatore mi ha un po’ illustrato il suo metodo: “Il nostro sistema ha un tocco di teoria genetica e un briciolo di fisica.” Teoria genetica perché il computer genera algoritmi a caso, proprio come mutano a caso i geni. Poi gli algoritmi vengono confrontati con le serie storiche di dati per vedere se funzionano. A lui piace molto cimentarsi in un compito difficile com’è quello di decifrare il comportamento di un sistema complesso qual è il mercato: “E’ come se cercassi di calcolare l’universo,” dice. Come la maggior parte dei quant, il nostro si esprimeva con sufficienza nei confronti del “sesto senso” dell’operatore tradizionale, come pure dell’analista all’antica che perde tempo a intervistare i dirigenti e a valutare la “storia” di un’azienda.

E’ probabile che le transazioni ad alta frequenza saranno sempre più frequenti via via che la Borsa di New York tenderà a diventare un sistema completamente automatico. Già 1500 transazioni al giorno è una cifra piuttosto bassa: i computer di alcuni operatori ad alta frequenza eseguono centinaia di migliaia di transazioni al giorno.

Collegata agli scambi ad alta frequenza è l’elaborazione degli eventi, una scienza in via di sviluppo per cui il calcolatore legge e interpreta le notizie e agisce in base ad esse. Per esempio un’operazione di borsa in risposta a un annuncio della Food and Drug Administration potrebbe essere eseguita in pochi millisecondi. Approfittando di questa opportunità, la Reuters ha introdotto di recente un servizio, detto Reuters NewScope Archive, che contrassegna gli articoli redatti dalla stessa Reuters con identificativi digitali, in modo che nel giro di pochi istanti si possa scaricare un articolo, cercarvi le informazioni utili e usarle per agire.

Tutto ciò funziona benissimo, finché funziona. “Ma quando si ha a che fare con un evento singolare tutto va a rotoli,” dice l’operatore del fondo da 10 miliardi di dollari, usando il termine con cui gli statistici indicano gli eventi di probabilità bassissima. “E’ facile sbagliare nel giudicare i risultati quando tutto va bene. Quegli eventi di probabilità pari a uno su cento possono benissimo capitare due volte in un anno.”

Quelli di agosto erano eventi singolari ed erano dovuti all’operato dei quant (ma alcuni contestano questa ipotesi, vedi “Sui quant” a pag.??). Tanto per cominciare i quant erano indirettamente responsabili del forte incremento dei prestiti immobiliari concessi a soggetti deboli.

I derivati consentono alle banche di vendere e comprare i mutui ipotecari come figurine e la separazione tra il titolare di un prestito e il venditore del prestito tendeva a generare una categoria di funzionari molto generosi nella concessione dei prestiti. Le banche, a loro volta, erano attratte dall’enorme mercato dei derivati come le CDO, mercato che era alimentato dalla propensione manifestata dai fondi a copertura verso prodotti un po’ più rischiosi e quindi suscettibili di rendimenti più elevati. E i quant specializzati nella valutazione dei rischi spingevano per l’acquisto delle CDO perché ipotizzavano che il mercato del credito avrebbe beneficiato di nove anni all’incirca di volatilità relativamente benevola.

Era un’ipotesi perfettamente ragionevole, solo che era sbagliata. Matthew Rothman, analista capo di strategie quantitative della Lehman Brothers, descrisse l’estate scorsa come un periodo di “andamento segnatamente anormale”: secondo i suoi calcoli era la più strana da 45 anni. Nella prima settimana di agosto il fondo della Renaissance Technology di James Simons scese dell’8,7 per cento e in una lettera indirizzata ai suoi investitori Simons parlò di “periodo quanto mai insolito”. Andrew Lo disse: “Purtroppo la vita è diventata davvero interessante.” Il Wall Street Journal parlò di “imboscata d’agosto.”

Ben presto il danno si estese al di fuori del mercato degli strumenti di debito di bassa qualità. Era come se il mondo finanziario fosse diventato un mercato riservato quasi solo alle deviazioni standard, termine con cui gli statistici indicano la dispersione dei valori di una variabile intorno al valor medio. Anzi, si potrebbe dire che l’estate fu un periodo in cui troppi investitori avevano acquistato deviazioni standard troppo elevate per i loro mezzi.

Una delle cose che abbiamo imparato dalla lezione di agosto è che forse esiste solo un numero finito di strategie d’investimento praticabili, un sospetto confermato dalla caduta stranamente sincrona, l’estate scorsa, di molti dei fondi allestiti dai quant, compreso quello della Renaissance Technologies di Simons. Il bizzarro comportamento del mercato in agosto, secondo Rothman e altri, fu probabilmente la conseguenza della ricerca di liquidità da parte di qualche grande fondo a copertura, che, per soddisfare gli obblighi verso i creditori nel momento in cui le sue CDO scendevano, mise in vendita i titoli più facili da liquidare, soprattutto azioni. (E quali fondi? Sembra che nessuno lo sappia o voglia dirlo, e ciò conferma la riservatezza dei gestori dei fondi).

Secondo la maggior parte di coloro con cui ho parlato, quest’estate è accaduto qualcosa del genere: condizionati dalle loro abitudini di lavoro, i quant avevano negoziato “a corto” molte azioni. Il corto è un accordo per cui un investitore prende a prestito un’azione da un intermediario, e garantisce il prestito con beni depositati in quello che si chiama conto a margine. L’investitore vende subito l’azione presa in prestito. Se essa scende di prezzo la ricompra e intasca la differenza quando la restituisce al mediatore. Se invece il prezzo dell’azione aumenta inaspettatamente, anche se per un breve intervallo di tempo, l’investitore deve o depositare altri beni a garanzia nel conto a margine per coprire la differenza oppure ricomprare il titolo corto e restituirlo al mediatore.

I quant avevano usato le CDO come beni garanzia sulle loro posizioni corte. Ma quando gli scricchiolii dei subprime cominciarono a seminare il panico nei mercati finanziari, il valore di quelle CDO scese, obbligando i quant o ad aggiungere beni garanzia nei conti a margine o a ricomprare i titoli corti. In entrambi i casi, per incrementare le loro garanzie sempre più esigue, i fondi dei quant furono obbligati a vendere le forti azioni delle blue-chip, i cui prezzi quindi scesero. Allo stesso tempo, via via che i quant ricompravano le azioni corte, i prezzi di queste azioni aumentavano, obbligandoli a depositare nei conti a margine altri beni a garanzia proprio nel momento in cui il valore delle CDO era in sofferenza. Che tutti i quant possedessero in abbondanza le stesse azioni forti e avessero penuria delle stesse azioni deboli era il risultato di un alcune strategie, tra cui la contrattazione a coppia.

Un’altra spiegazione del tracollo di agosto è che quando le condizioni dei mercato cambiarono all’improvviso i modelli dei quant semplicemente smisero di rispecchiare la realtà. In fin del conti un algoritmo di compravendita non può essere migliore del modello su cui si basa. Purtroppo per i quant, il periodo di validità di un algoritmo è sempre più breve. Prima di entrare nella RiskMetrics, Gregg Berman ideava sistemi per il commercio delle materie prime al Mint Investment Management Group. Verso la metà degli anni 1990, dice Berman, un buon algoritmo poteva funzionare bene per tre o quattro anni. Ma il periodo di validità si accorcia a mano a mano che aumenta il numero dei quant che entrano nel mercato, a mano a mano che i computer diventano più veloci e potenti nell’elaborazione dei dati e a mano a mano che aumentano i dati a disposizione. Berman pensa che ora come ora il limite sia di due o tre mesi e che sia destinato a diminuire ancora.

Richard Bookstaber, un quant che ha gestito fondi a copertura e compiuto analisi del rischio per compagnie quali la Salomon Brothers e la Morgan Stanley, dice che il tracollo di agosto ha dimostrato la fondatezza delle preoccupazioni che nutriva da tempo. Bookstaber faceva parte della tavola rotonda promossa dalla IAFE, e in questi giorni lo si incontra un po’ dappertutto. In aprile ha pubblicato un libro, A Demon of Our Own Design, che gli ha richiesto otto anni di lavoro e che contiene alcune previsioni molto azzeccate.

Bookstaber è un tipo tranquillo e posato, con penetranti occhi color nocciola e lo sguardo vigile. Ha studiato con Merton al MIT negli anni 1970, conseguendo un dottorato in economia. Oggi è molto preoccupato per gli strumenti e per i metodi impiegati dei quant, in particolare lo preoccupa la complessità e ciò che lui chiama “accoppiamento stretto”, un termine ingegneristico che indica quei sistemi in cui errori anche piccoli possono ingigantirsi rapidamente, come accade nelle centrali nucleari. Egli ritiene che gli strumenti dei quant siano diventati così complicati da sfuggire di mano ai loro creatori: “Siamo arrivati a un punto in cui neppure i professionisti a volte capiscono gli strumenti. Per Bookstaber, ciò è stato dimostrato senz’ombra di dubbio quest’estate, quando i problemi dei subprime innescarono una reazione a catena di vendite di titoli e beni che nominalmente sembrerebbero tra loro slegati o, come si dice a Wall Street, “incorrelati”.

E aggiunge: “Nessuno poteva sapere che quanto avveniva nel mercato dei subprime potesse influire sull’andamento dei fondi azionari dei quant. C’è troppa complessità, troppa innovazione sui derivati. Queste persone sono le più brillanti sulla piazza e se è capitato a loro potrebbe capitare a chiunque. Nessuno avrebbe potuto prevedere la connessione.”

La connessione è uno dei temi preferiti di Bookstaber, il quale ritiene che gli strumenti dei quant abbiano “connesso tra loro mercati che normalmente non sarebbero connessi,” e che queste connessioni siano pericolose perché non sono prevedibili.

Berman e altri con cui ho parlato condividono molte delle preoccupazioni di Bookstaber. “La complessità dei prodotti sta crescendo di un ordine di grandezza,” dice Berman. “Le cose cambiano un pochino e subito si presentano correlate mentre poco prima non lo erano.” Oppure, un po’ meno sentenziosamente: “Senza capire non puoi fare certe cose, però puoi comprarle.”

Dietro tutto ciò pulsa il grande sogno dei quant: cioè che il mondo della finanza possa essere compreso in termini matematici. Essi hanno tentato di scoprire le strutture soggiacenti ai mercati finanziari, così come avevano risolto i misteri del mondo fisico quand’erano all’università. Eppure, più cose i quant apprendono più una teoria unificata della finanza appare lontana. Il comportamento umano, così come si manifesta nei mercati finanziari, resiste alla quantificazione. Almeno per il momento.

Emanuel Derman sognava la teoria unificata della finanza nei primi anni 1990, poco dopo aver fatto il salto dall’università a Wall Street. Ma quei sogni, dice, sono svaniti. “In superficie,” osserva, “la finanza quantitativa somiglia alla fisica, ma la sua efficacia è molto inferiore. In fisica si possono fare operazioni con 10 cifre significative e ottenere la risposta giusta, in finanza siamo fortunati se riusciamo a distinguere i rialzi dai ribassi.”

L’estate scorsa i rialzi si erano scambiati con i ribassi. Bookstaber e altri sperano che si tratti di un avvertimento da non trascurare più che del principio di una grave crisi del sistema.

Allora, la crisi dei subprime è stata o no il canarino della miniera? A questa domanda i partecipanti alla tavola rotonda dell’agosto scorso al Four World Financial Center cominciano appena ora a dare risposta. Per esempio Leslie Rahl, in una e-mail speditami dopo il nostro incontro, ha scritto, con molta cautela, che “sempre più pare che la risposta sia positiva.” Sono molti i segnali che lo confermerebbero, dalla perdita di posti di lavoro a una perdurante penuria creditizia all’indebolimento del dollaro; ma questa storia è ancora tutta da scrivere.

In apertura della discussione, la Rahl aveva chiesto ai partecipanti se prevedevano che nei mesi successivi i differenziali del credito sarebbero aumentati o diminuiti. Si riferiva alla differenza tra il prezzo di un’obbligazione del tesoro e il prezzo di un’obbligazione societaria, più rischiosa, differenza che è un criterio impiegato normalmente a Wall Street per misurare lo stato di salute dell’economia. Un aumento del differenziale in genere s’interpreta come un segno d’incertezza, mentre una diminuzione induce all’ottimismo.

“Quanti ritengono che i differenziali aumenteranno?” chiese la Rahl.

Circa la metà degli esperti più brillanti di Wall Street alzarono la mano.

“E quanti pensano che diminuiranno?”

L’altra metà dei presenti, esperti altrettanto brillanti, alzarono la mano.

“Be’,” commentò lei, “ecco come nasce il mercato.”

Se non lo sapevano loro, non poteva saperlo nessuno.

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