Sempre più vicini alla cura

Nuovi progressi nella ricerca di terapie per la fibrosi cistica, la malattia genetica più comune tra la popolazione di discendenza europea.

di MIT Technology Review Italia

La fibrosi cistica è la malattia genetica più comune tra gli individui di origine europea. Con una media di 100.000 persone affette al mondo, si tratta di una malattia genetica causata da una mutazione nel gene che codifica la produzione della proteina CFTR e si sviluppa quando un bambino eredita due copie del gene mutato.

La proteina CFTR regola il trasporto dei sali dentro e fuori le cellule. In forma mutata, il suo funzionamento viene alterato lo squilibrio tra liquidi e sali porta alla produzione di un muco denso e appiccicoso ostruisce le vie aeree e diviene l’habitat ideale per lo sviluppo di batteri infettivi. I polmoni non sono nemmeno gli unici organi a poter essere colpiti.

La cura della fibrosi cistica ha visto progressi così rapidi che il paziente medio ha probabilmente assistito ad una drammatica evoluzione nelle strategie di trattamento adottate nel corso della sua vita.

Se l’attenzione dei ricercatori si è concentrata molto sull’impatto del muco nei pazienti affetti da FC, molto è stato fatto per mantenere sotto controllo i livelli di infezione grazie a nuove terapie antimicrobiche, agenti mucolitici e osmotici e trattamenti antinfiammatori. Più recentemente, la ricerca ha studiato le mutazioni che causano la malattia e formulato metodi diagnostici sempre più precoci.

Ora, un gruppo di ricercatori guidati da rappresentanti della UNC School of Medicine ha dimostrato il potenziale di una innovativa strategia per il trattamento non solo della fibrosi cistica, ma potenzialmente anche di altre malattie. Lo studio è stato pubblicato su Nucleic Acids Research.

L’approccio fa uso di piccole molecole di acido nucleico chiamate oligonucleotidi, capaci di correggere alcuni dei difetti genetici alla base della CF derivati da un errore nello splicing, il processo che porta alla trascrizione dei geni in filamenti temporanei di RNA. La difficoltà sinora incontrata nella formulazione di terapie con gli oligonucleotidi è stata trovare il modo di introdurre questi elementi nelle cellule e nella corretta posizione.

“È stato particolarmente difficile ottenere concentrazioni significative di oligonucleotidi nei polmoni per colpire le malattie polmonari”, spiega Silvia Kreda, autrice senior e professoressa associata presso il Dipartimento di Medicina ed il Dipartimento di Biochimica e Biofisica dell’UNC. Kreda e il suo laboratorio hanno collaborato allo studio con un team guidato da Rudolph Juliano, professore emerito nel Dipartimento di Farmacologia dell’UNC.

Iniettati nel sangue, gli oligonucleotidi terapeutici devono superare una lunga serie di barriere biologiche progettate apposta per proteggere il corpo dagli intrusi, non ultime gli endosomi, vescicole preposte allo smistamento di macromolecole e corpuscoli in transito tra esterno ed interno della cellula.

La strategia sviluppata da Kreda, Juliano e colleghi supera tutti questi ostacoli arricchendo i oligonucleotidi con due nuove funzioni: in primo luogo, gli oligonucleotidi sono collegati a brevi molecole simili a proteine ​​chiamate peptidi progettate per aiutarli a distribuirsi nel corpo ed entrare nelle cellule; in secondo luogo, gli oligonucleotidi vengono trattati con piccole molecole chiamate OEC che li aiutano a sfuggire agli endosomi.

I ricercatori hanno dimostrato il nuovo approccio, in laboratorio, su cellule delle vie aeree di un paziente umano affetto da CF a causa di una comune mutazione nello splicing. Il test è stato condotto anche su di un modello murino affetto da una differente mutazione. Dai risultati ottenuti, la correzione del difetto è durata almeno tre settimane dopo ciascun singolo trattamento, a suggerire che i pazienti potrebbero non aver bisogno che di un dosaggio sporadico.

I ricercatori hanno in programma nuovi approfondimenti in preparazione di possibili studi clinici.

(lo)

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