Serve un nuovo Protocollo di Montreal

L’accordo firmato nel 1987 è stato progettato per difendere lo strato di ozono, ma in realtà potrebbe aver evitato diversi gradi di riscaldamento in più e la scomparsa di foreste e terreni coltivati.

di James Temple

Il mondo si è già unito per promulgare un trattato internazionale che ha impedito un significativo riscaldamento globale in questo secolo, anche se non era questo l’obiettivo principale dell’accordo. Nel 1987, decine di nazioni hanno adottato il Protocollo di Montreal, accettando di eliminare gradualmente l’uso di clorofluorocarburi e altre sostanze chimiche utilizzate in refrigeranti, solventi e altri prodotti industriali che stavano distruggendo lo strato protettivo di ozono della Terra.

È stato un traguardo epocale, l’esempio di maggior successo di nazioni che si sono unite di fronte a una minaccia complessa e collettiva per l’ambiente. Tre decenni dopo, lo strato di ozono atmosferico si sta lentamente riprendendo, prevenendo livelli aggiuntivi di radiazioni ultraviolette che causano cancro, danni agli occhi e altri problemi di salute.

Ma i pregi dell’accordo, ratificato alla fine da tutti i paesi, sono più diffusi del suo impatto sul buco dell’ozono. Molte di queste sostanze chimiche sono anche potenti gas serra. Quindi, come importante vantaggio collaterale, la loro riduzione negli ultimi tre decenni ha già alleviato il riscaldamento e potrebbe ridurre fino a 1 °C le temperature medie mondiali entro il 2050.

Ora, un nuovo studio su “Nature” mette in evidenza un altro vantaggio cruciale, anche se involontario: ridurre l’influenza delle radiazioni ultraviolette del sole sulle piante, inibendo la fotosintesi e rallentando la crescita. Il Protocollo di Montreal ha evitato “una perdita catastrofica di foreste e terreni coltivati” che avrebbe aggiunto centinaia di miliardi di tonnellate di carbonio all’atmosfera, ha affermato in una e-mail Anna Harper, docente di scienze del clima dell’Università di Exeter e coautrice del documento.

Nello studio si è scoperto che se la produzione di sostanze che riducono l’ozono avesse continuato a salire del 3 per cento ogni anno, la radiazione UV aggiuntiva avrebbe ridotto la crescita di alberi, erbe, felci, fiori e colture in tutto il mondo, con una decrescita dell’assorbimento di anidride carbonica e con un rilascio di 645 miliardi di tonnellate di carbonio dalla terra all’atmosfera in questo secolo. Ciò avrebbe portato il riscaldamento globale fino a 1 °C in più nello stesso periodo e avrebbe avuto effetti devastanti sui raccolti agricoli e sulle scorte di cibo in tutto il mondo.

I ricercatori hanno scoperto che l’impatto dell’aumento dei livelli di CFC sulle piante, oltre al loro effetto di riscaldamento diretto nell’atmosfera, avrebbe spinto al rialzo le temperature di circa 2,5 °C in più in questo secolo. Tutto ciò in aggiunta alle terribili proiezioni sul riscaldamento per il 2100. “Mentre originariamente era inteso come un trattato sulla protezione dell’ozono, il Protocollo di Montreal è stato un trattato sul clima di grande successo”, afferma Paul Young, scienziato del clima della Lancaster University e coautore dell’articolo.

Tutto ciò pone una domanda: perché il mondo non può mettere in atto un trattato internazionale altrettanto aggressivo ed efficace progettato esplicitamente per affrontare il cambiamento climatico? Almeno alcuni studiosi pensano che ci siano lezioni cruciali, ma in gran parte trascurate nel successo del Protocollo di Montreal, che stanno diventando di nuova rilevanza man mano che il riscaldamento globale accelera e la prossima conferenza sul clima delle Nazioni Unite si avvicina.

Una prospettiva diversa

A questo punto, il pianeta continuerà a riscaldarsi per i prossimi decenni, qualunque cosa accada, come ha avvertito la scorsa settimana il rapporto sul clima delle Nazioni Unite. Ma il peggioramento dipenderà in larga misura dall’aggressività con cui il mondo ridurrà l’inquinamento climatico nei prossimi decenni. Ad oggi, le nazioni non sono riuscite, sia attraverso il Trattato di Kyoto che con l’accordo sul clima di Parigi, a mettere insieme un sistema con impegni sufficientemente ambiziosi e vincolanti per eliminare gradualmente le emissioni di gas serra. 

I paesi si riuniranno alla prossima conferenza delle Nazioni Unite a Glasgow all’inizio di novembre, con l’obiettivo esplicito di rafforzare tali obiettivi nell’ambito dell’accordo di Parigi. Gli studiosi hanno scritto lunghi documenti e interi libri che esaminano le lezioni del Protocollo di Montreal e le somiglianze e differenze riguardanti i rispettivi tentativi di limitare i CFC e i gas serra. Tutti sono d’accordo nel dire che i CFC erano un problema molto più semplice da risolvere perché erano prodotti da un singolo settore, principalmente da alcune grandi aziende come DuPont, e utilizzati in un insieme limitato di applicazioni.

D’altra parte, quasi ogni componente di ogni settore delle singole nazioni emette gas serra. I combustibili fossili sono la fonte di energia che guida l’economia globale e la maggior parte delle nostre macchine e infrastrutture fisiche sono progettate intorno a loro. Ma Edward Parson, professore di diritto ambientale all’Università della California, a Los Angeles, sostiene che è tempo di dare una nuova occhiata alle lezioni del Protocollo di Montreal.

Questo perché man mano che i pericoli del cambiamento climatico diventano più evidenti e preoccupanti, sempre più paesi spingono per regole più severe e le aziende passano dal contestare fermamente i risultati scientifici all’accettazione a malincuore che nuove regole sono inevitabili. In altre parole, stiamo raggiungendo un punto in cui l’adozione di regole più restrittive può essere fattibile, quindi è fondamentale sfruttare l’opportunità per crearne di efficaci.

Regole rigorose, applicate in modo coerente

Parson è l’autore di Protecting the Ozone Layer: Science and Strategy, una storia approfondita del Protocollo di Montreal pubblicata nel 2003. Nel suo libro evidenzia che l’eliminazione graduale dei composti che riducono lo strato di ozono era un problema più complesso di quanto spesso si ritenga, perché una frazione considerevole dell’economia mondiale si basava su di loro in un modo o nell’altro.

A suo parere, uno dei malintesi persistenti sull’accordo è l’idea che l’industria avesse già sviluppato prodotti alternativi commercialmente comparabili e quindi fosse più disposta a rispettare integralmente l’accordo. Al contrario, lo sviluppo di alternative è avvenuto dopo l’entrata in vigore dei regolamenti. La rapida innovazione è continuata mentre le regole si sono inasprite e l’industria, gli esperti e gli organismi tecnici hanno analizzato quanti progressi si potevano ottenere e quanto velocemente. Ciò ha prodotto alternative sempre più numerose e migliori “in un feedback positivo”, afferma Parson.

A dire il vero, anche la prospettiva di nuovi mercati redditizi ha aiutato.”La decisione di DuPoint di appoggiare il divieto di CFC si basava sulla convinzione che avrebbe potuto ottenere un significativo vantaggio competitivo attraverso la vendita di nuovi sostituti chimici grazie alle sue comprovate capacità di ricerca e sviluppo per sviluppare prodotti chimici, i suoi (limitati) progressi già compiuti nello sviluppo di sostituti e il potenziale per maggiori profitti”, ha scritto una coppia di ricercatori del MIT in un’analisi alla fine degli anni 1990.

Tutto ciò suggerisce che il mondo non dovrebbe aspettare innovazioni che renderanno più economico e più facile affrontare il cambiamento climatico. I paesi devono implementare regole che riducano sempre più le emissioni, costringendo le industrie a trovare modi più puliti per generare energia, coltivare cibo, produrre prodotti e spostare merci e persone in tutto il mondo.

Un’altra lezione è quella di adottare regole di settore che costringano tutte le aziende di tutti i paesi a rispettare le stesse normative, evitando il cosiddetto problema del free-rider. Questo potrebbe essere particolarmente importante per le aziende ad alte emissioni con una forte concorrenza internazionale. Per l’acciaio, il cemento e altri settori industriali, lo sviluppo e il passaggio a nuovi prodotti all’inizio quasi inevitabilmente aumenterà i costi.

Tuttavia, dice Parson, ci sono limiti ai confronti, in quanto il settore del petrolio e del gas non è nella stessa posizione di DuPont, vale a dire in grado di riprogettare prodotti sostituibili e mantenere in gran parte intatti le sue attività e i suoi mercati.

Il settore dei combustibili fossili afferma di poter continuare in modi rispettosi del climacon riferimento a mezzi per catturare le emissioni delle centrali elettriche, bilanciare l’inquinamento attraverso progetti di riforestazione e altri tipi di compensazione, o succhiare carbonio dall’atmosfera.

Ma, come gli studi  dimostrano, è difficile garantire che le aziende operino in modo affidabile, verificabile e di lunga durata. Tuttavia, il Protocollo di Montreal ci ricorda che le regole internazionali che vincolano il comportamento globale delle aziende e che regolano i loro prodotti funzionano, se applicate in modo rigoroso e coerente. Le aziende si adatteranno per sopravvivere, e se possibile prosperare.

(rp)

*foto: Soy field lit by early morning sun. Soy agriculture. Getty

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