Sindrome da cannabinoidi, quello che sappiamo fino ad ora

Una sindrome, che si manifesta con vomito ininterrotto e colpisce soprattutto chi ha un consumo elevato e costante della sostanza, sta creando delle divisioni profonde tra il mondo della ricerca scientifica e quello degli influencer

Amanda Chicago Lewis

Alice Moon non riusciva a smettere di vomitare. Si era fatta un nome come influencer di cannabis online, ma dopo una cena a base di erba in una casa di Malibu nel 2018, ha trascorso più di due settimane a vomitare costantemente, incapace di trattenere cibo o acqua, al punto da diventare così debole da svenire. Ormai non aveva dubbi: era stata la marijuana a farla ammalare. 

È stata una svolta inaspettata degli eventi. Moon, che ora ha 33 anni, partecipava costantemente alle feste e ai sontuosi eventi di networking che hanno caratterizzato il periodo frenetico dopo l’iniziativa elettorale della California del novembre 2016 per legalizzare l’erba. Vestita in uno stile raver policromo, era passata dal lavorare nei dispensari di marijuana medica a scrivere recensioni su snack e infusi di erba e vendere corone di fiori su Etsy per nascondere una pipetta per poter fumare erba al Coachella Festival. 

Nel 2016, Moon aveva accumulato oltre 14.000 follower su Instagram. Poi ha iniziato a vomitare. All’inizio le succedeva ogni pochi mesi, infine ogni giorno. Nei primi mesi del 2018, sua madre le aveva fissato un appuntamento con uno specialista gastrointestinale che aveva suggerito, con orrore di Moon, che i suoi problemi digestivi potevano essere causati dalla quantità di cannabis che stava consumando, un raro disturbo chiamato sindrome iperemetica da cannabinoidi o CHS

“Ne avevo sentito parlare, ma non pensavo fosse reale”, ricorda Moon. Le sembrava senza senso, dal momento che uno degli usi terapeutici più noti dell’erba è alleviare i problemi di stomaco causati dalla chemioterapia: “Se è vero che l’erba aiuta con la nausea”, pensava,”perché dovrebbe causare vomito?”

Al momento della sua diagnosi, nella letteratura medica erano stati identificati solo poche centinaia di pazienti affetti da CHS e si sapeva molto poco di questa sindrome.  Non c’era un biomarcatore definitivo che indicasse che qualcuno avesse CHS, ma solo un insieme di sintomi. Coloro che ne soffrivano in genere erano forti consumatori di cannabis che avevano continue crisi di vomito che spesso li portavano in ospedale. I pazienti riferivano di un bisogno compulsivo di fare docce e bagni caldi, che in qualche modo alleviavano l’impulso di vomitare. Quando le è stata prospettata questa malattia, Moon ha pensato a qualcosa creato ad hoc per suscitare timori, qualcosa di simile alla Tide Pod Challenge, la stupida moda di mangiare detersivo. 

Alice Moon ha accumulato un grande seguito sui social media come influencer della cannabis. Poi si è ammalata di CHS. Fotografia: per gentile concessione di Alice Moon

Questo scetticismo era condiviso tra i consumatori di marijuana. Dopo aver visto per decenni il governo federale mettere alla gogna questa sostanza e ignorare le prove del potenziale medico della droga, molti consumatori di erba si fidano delle proprie osservazioni e non accettano l’idea istituzionale dei possibili danni. Quando si tratta di scienza della cannabis, può essere difficile sapere di chi fidarsi. Ognuno sembra avere un’agenda, o un prodotto da vendere. Nonostante il suo uso diffuso, c’è poca ricerca clinica sottoposta a revisione paritaria che coinvolga l’erba. È molto più probabile che gli studi finanziati e approvati dal governo americano supportino l’argomento secondo cui l’erba fa male, distorcendo le prove disponibili e fomentando dubbi, confusione e teorie del complotto. 

Di conseguenza, molto di ciò che la maggior parte delle persone sa della marijuana e dei suoi effetti sul corpo e sul cervello, positivi o negativi, equivale a poco più del sentito dire. In effetti, le indagini scientifiche sulla cannabis spesso fanno riferimento a tipi di documenti storici raramente menzionati in altri campi. Un articolo del 2007 pubblicato sulla rivista “Chemistry and Biodiversity” cita più fonti: un antico papiro egiziano consiglia cannabis e miele “per raffreddare l’utero” durante il parto; tavolette d’argilla assire suggeriscono la capacità dell’erba di contrastare o provocare ansia; alcune traduzioni del libro dell’Esodo 30:23, indicano che la cannabis potrebbe essere stata inclusa in una ricetta data a Mosè da Dio per un olio per la santa unzione.

L’autore di questo articolo è Ethan Russo, neurologo e psicofarmacologo. “Ethan ha più esperienza nella ricerca sui cannabinoidi di chiunque altro. Lo fa da decenni”, afferma Peter Grinspoon, medico al Massachusetts General Hospital e istruttore alla Harvard Medical School. Grinspoon descrive Russo come “un leader” nel campo, con “un’ampia conoscenza sia delle malattie sia della cannabis”. 

Il settantenne Russo si interessò per la prima volta alla marijuana negli anni 1990, quando notò il sollievo che molti dei suoi pazienti ricevevano dalla sostanza. Aveva intenzione di organizzare una sperimentazione clinica su erba ed emicrania, ma come molte delle persone ben intenzionate che hanno cercato di studiare gli effetti terapeutici della cannabis negli esseri umani, non è riuscito a ottenere l’approvazione del governo negli Stati Uniti. Ciò ha portato Russo alla GW Pharmaceuticals con sede nel Regno Unito, dove era più facile fare ricerca legale, e a una posizione di autorità che alla fine lo avrebbe messo in rotta di collisione con Moon. 

Moon e Russo non si sono mai incontrati di persona, ma hanno trascorso gli ultimi anni coinvolti in un’aspra battaglia online sul tentativo di Russo di fare ricerca sulla CHS. L’influencer e lo scienziato hanno poco in comune – Moon non si è mai diplomata e Russo non sa bene come usare Instagram – ma è comunque sorprendente vedere l’intensità del loro conflitto. Ci sono state accuse di truffa e sabotaggio, diffamazione sui social media e uno scontro aperto che ha portato centinaia di persone a ritirarsi da uno studio scientifico. Non è un’esagerazione dire che questi contrasti potrebbero aver impedito un confronto corretto sulla CHS, proprio mentre la sindrome sta diventando sempre più comune nei pronto soccorso di tutto il mondo.

Come giornalista che si occupa dell’industria della marijuana, conosco sia Moon che Russo da diversi anni ed entrambi mi hanno tenuta aggiornata sulle rispettive posizioni. La loro disputa personale sembra riproporre in microcosmo quanto sta accadendo nella società più in generale. Le gerarchie stabilite sono messe in discussione, particolarmente in ambito medico. 

La maggior parte delle malattie viene affrontata con una panoplia di interventi e opzioni: complicati rapporto costi-benefici, valutazioni accurate di vantaggi e miglioramenti incrementali rispetto agli effetti collaterali. L’intero sistema sanitario è distorto dalle richieste del mercato e trovare la strada giusta per garantire salute e sicurezza può sembrare addirittura impossibile.

Il percorso contorto della cannabis

La ricerca scientifica sulla cannabis è stata a lungo controversa. Nel 1937, l’American Medical Association si oppose a un giro di vite del Congresso sull’erba, affermando: “Dato che l’uso medicinale della cannabis non ha causato e non sta causando dipendenza, impedire l’uso della droga per scopi medicinali avrebbe poco senso”. I federali hanno comunque ceduto al mito di Reefer Madness, un film propagandistico asservito alla campagna anti marijuana, e sostanzialmente l’hanno resa illegale. 

Nel 1970 la marijuana è stata inserita nella Tabella I delle sostanze stupefacenti, il che significa che non ha applicazioni mediche, anche se i ricercatori del governo dell’Università del Mississippi erano a conoscenza che alcuni scienziati in Brasile avevano scoperto l’azione terapeutica della cannabis per fermare le convulsioni e che i ricercatori dell’UCLA sostenevano che era in grado di contrastare il glaucoma. 

Ora, proprio mentre le leggi sulla marijuana stanno cambiando e la ricerca pionieristica sulla pianta sta iniziando ad attrarre finanziamenti e legittimità, la nostra fede collettiva nella verità e nella scienza sta andando in pezzi. I social media pullulano di bufale, disinformazione sui vaccini e false verità di QAnon. Celebrità, da Gwyneth Paltrow ad Alex Jones, vendono discutibili prodotti sanitari per combattere “le tossine”, sfruttando le nostre insicurezze e paure. 

Quando si seguono istruzioni online per “fare le tue ricerche”, è facile cadere in un pozzo nero di consigli aneddotici. Gli influencer suggeriscono ivermectina, sostanze psichedeliche, adattogeni, oli essenziali. Se da una parte la scienza dettagliata e sottoposta a revisione paritaria, per esempio, sull’efficacia del vaccino covid-19 di Moderna è facilmente accessibile, dall’altra informazioni affidabili sulla marijuana rimangono molto difficili da trovare. Anche se l’erba è la sostanza illecita più comunemente usata al mondo, gli usi terapeutici della pianta non sono stati ampiamente studiati nei soggetti umani. 

Gli scienziati universitari si lamentano del fatto che l’ampia varietà di cannabis disponibile nei dispensari con licenza statale fa da contraltare alla scarsa qualità della sostanza legalmente disponibile per l’uso negli studi. Anche in Canada, dove la droga è completamente legale, le aziende di marijuana sono molto più interessate al marketing che alla scienza, in parte perché le formulazioni di cannabis sono così facilmente replicabili che qualsiasi scoperta probabilmente finirebbe per aiutare anche i concorrenti di un’azienda.

Ethan Russo studia la cannabis dagli anni 1990.
Fotografia: Credo Science

Ciò significa che i pazienti che cercano informazioni sulla cannabis medica o su una malattia come la CHS devono affrontare un panorama “del tutto ascientifico” e inondato di proposte di vendita mirabolanti. Secondo Hunter Land, l’ex capo della ricerca della più grande azienda di cannabis legale del Canada, Canopy Growth, abbiamo una mole indefinita di informazioni prontamente disponibili attraverso una varietà di punti vendita, ma come si fa a stabilirne l’accuratezza e a determinare di chi ci si può fidare?

La storia di Moon

Anche se non credeva del tutto a ciò che il gastroenterologo le aveva detto sulla CHS, Moon desiderava disperatamente smettere di vomitare senza sosta e, come test, decise di eliminare l’erba per tre mesi. Ma prima voleva festeggiare alla grande e a una cena per l’equinozio di primavera, in una tenuta affacciata sull’oceano, ha provato diverse varietà di cannabis. Alla fine di quella notte nel 2018, l’ho vista prendere il suo nuovo SUV e fermarsi più volte lungo la strada di montagna per vomitare.

Un mese dopo, mi ha inviato un’e-mail con un aggiornamento: 

Mi è stata diagnosticata la sindrome iperemetica da cannabinoidi… Quella cena è stata la mia ultima notte di consumo e me ne sono davvero pentita. Ho passato la notte a vomitare e poi per quasi 3 settimane ho continuato a rimettere violentemente tutto ciò che cercavo di mangiare o bere… Il mio peso è sceso a 47 kg. Apprezzo ancora l’erba, ma ora spero di far capire a tutti che l’iperemesi da cannabinoidi è qualcosa di reale da non ignorare… Nessuno deve sopportare l’inferno che ho passato io!

Moon è diventata rapidamente una figura di spicco nella comunità online dei pazienti affetti da CHS, il che spesso ha significato sopportare l’incredulità e le battute al vetriolo delle persone che considerava suoi amici. Alcuni l’hanno accusata di lavorare per il governo e di cercare di mantenere l’erba illegale. Dopotutto, non si è mai sentito dire che la cannabis uccidesse qualcuno in caso di sovradosaggio, anche se effettivamente i gravi problemi medici derivanti dalla CHS hanno causato qualche decesso. 

Decenni fa, lo zar della droga di Ronald Reagan ha sostenuto l’irrorazione di coltivazioni illegali di marijuana con l’erbicida tossico paraquat, provocando il terrore su “High Times”. Ora molti consumatori di cannabis hanno teorizzato su blog e bacheche di messaggi che CHS fosse un effetto collaterale occasionale, ma deliberatamente sopravvalutato di un pesticida usato per coltivare cannabis, inserendo Moon tra i mercenari della propaganda contro l’erba.

Le accuse erano demoralizzanti, ma Moon ha trovato conforto nello stabilire un contatto con altri utenti sui social media e cercare possibili rimedi alla CHS. Aveva letto su Internet degli effetti benefici della crema di capsaicina, a base di peperoncino, sullo stomaco; all’inizio bruciava la pelle, ma il caldo alleviava il vomito. Ha allora portato avanti un sondaggio con oltre 300 pazienti con CHS, per cercare di incanalare le loro esperienze collettive. Moon è rimasta sconvolta nell’apprendere che a molti di loro era stata erroneamente diagnosticata un’infiammazione della cistifellea, che era stata rimossa. 

Gran parte del lavoro si è svolto in un gruppo Facebook chiamato Cannabinoid Hyperemosis Recovery, nel quale migliaia di pazienti da tutto il mondo si sono confrontati sugli effetti deleteri della CHS: la disidratazione, la perdita di peso, le settimane in ospedale, gli interventi chirurgici inutili, i problemi renali, la lotta per smettere di fumare erba, e il sollievo che arrivava solo con docce calde o crema alla capsaicina. 

Alcune testimonianze sono rivelatrici della situazione:

Sono arrivato al punto che ero nella vasca da bagno con l’acqua che scorreva, sono svenuto e ho allagato l’intera casa per diverse ore prima di svegliarmi.

Alla fine i medici dissero che avevo l’endometriosi e l’unico modo per risolvere era sottopormi a un’isterectomia. Dopo l’intervento il mio medico mi ha informato che non c’era alcun segno di endometriosi. Allora ho provato a smettere di fumare erba per 60 giorni ed era come se fossi guarita al 100%.

Sto avendo un altro attacco di CHS perché sono un idiota e ho fumato di nuovo. 

Non sappiamo cosa fare per salvare nostro figlio.

Il gruppo è stato avviato da una paziente CHS di nome Erica, un’artista di 37 anni che aveva cercato online delle risorse dopo la sua diagnosi e, non trovando nulla, aveva deciso di creare “un blog del mio completo processo di guarigione”. Nel gruppo apparivano post in cui venivano raccomandati integratori di magnesio ed elencati sintomi di CHS meno noti, come convulsioni e “scromiting”, cioè urla e vomito allo stesso tempo. Prima di entrarne a far parte, i membri dovevano accettare una serie di regole, tra cui “nessun post di teorie o metodi non provati”. 

Erica e Moon sono diventate subito amiche, nonostante vivessero lontane. Man mano che il gruppo cresceva, accumulando fino a mille nuovi membri ogni mese, le due donne sentivano che stavano scoprendo informazioni cruciali su quali farmaci da prescrizione erano i migliori per questa sindrome e quali alimenti potevano scatenarla (cacao, rosmarino). “Anche gli articoli scritti dai medici sono in realtà sbagliati”, spiega Erica.
 
Alcuni di loro, per esempio, raccomandano ai pazienti affetti da CHS di utilizzare prodotti CBD non psicoattivi. Ma quando Moon ha provato a prendere le capsule di CBD, circa sei mesi dopo quella cena a Malibu, è finita al pronto soccorso, con tre ulcere, due ernie e un’infezione batterica. Ora lei ed Erica lavoravano per convincere i nuovi membri del gruppo che, per essere sani, dovevano abbandonare la cannabis per sempre. 

Nel settembre 2019, dopo aver parlato in una tavola rotonda a una conferenza medica sulla cannabis, Moon era entusiasta di sapere che un ricercatore di nome Ethan Russo era interessato a studiare la sindrome. Dal 1998 al 2014 Russo ha condotto ricerche per GW Pharmaceuticals, l’unica azienda con un farmaco a base di cannabis di origine vegetale approvato dalla FDA (Epidiolex, un trattamento per l’epilessia infantile che contiene il 98% di CBD). 

In uno studio del 2012, Russo aveva mostrato che pazienti come Moon stavano spendendo fino a 95.000 dollari in test e ricoveri prima di ricevere una diagnosi di CHS. Pensava che le teorie sulla CHS causata dai pesticidi fossero “cazzate” ed era curioso di sapere perché questa sindrome avesse colpito alcuni tossicodipendenti e non altri, ipotizzando che una mutazione genetica potesse esserne responsabile. Il neurologo riteneva che se avesse potuto confrontare i genomi di un grande gruppo di pazienti affetti da CHS con i genomi di un gruppo di controllo di consumatori d’erba che non avevano sviluppato CHS, sarebbe stato in grado di offrire sicurezze a pazienti e comunità scientifica.

La domanda di partenza era se si poteva sviluppare un test diagnostico per la sindrome. “Se sarà possibile”, spiegava Russo. “un test genetico da 180 dollari potrà risparmiare sofferenze a molte persone. E forse potrebbe dare ai genitori dei tanti pazienti adolescenti e ventenni che si rifiutano di credere agli effetti negativi, più munizioni per dire ai figli: ‘non devi fumare erba'”.

Ha quindi deciso di collaborare con una società di test genetici chiamata Endocanna Health, che aveva utilizzato i suoi kit di DNA per offrire raccomandazioni personalizzate sulla cannabis basate sulla genetica di una persona. Russo, che non ama particolarmente la cannabis, ha fatto il test del DNA dell’azienda e ha affermato che le valutazioni su come il suo corpo fosse geneticamente predisposto a rispondere all’erba erano sorprendentemente accurate. Altri sono meno convinti. 

“Per quanto ne so, stiamo parlando di fantascienza”, afferma Vincenzo Di Marzo, un biochimico che studia cannabinoidi, genetica molecolare e microbioma all’Université Laval in Quebec. “Si basa solo su statistiche”, aggiunge, spiegando che l’approccio correlazionale e basato sui big data di Endocanna Health, che prevede l’associazione della presenza di determinati geni con determinate risposte alla cannabis, “non dice nulla sull’espressione e sulla funzione dei geni, che sono caratteristiche fondamentali per capire come qualcuno potrebbe rispondere a vari cannabinoidi.

La pianta di cannabis può contenere permutazioni di centinaia di composti, che sembrano funzionare in modo diverso a seconda delle persone e delle combinazioni. È noto che il THC dà a molte persone “la fame chimica”, per esempio, mentre un altro composto, il THC-V, sembra togliere l’appetito. Il successo dell’approccio di Endocanna riflette quanto i consumatori siano desiderosi di informazioni migliori sull’acquisto di erba adatta al loro stato di salute o alla sicurezza che il prodotto non li renderà troppo paranoici o ansiosi.

L’amministratore delegato di Endocanna Health, un ex fisioterapista di nome Len May, conosceva Moon dal circuito degli eventi sulla cannabis. Le ha parlato per chiederle di salire a bordo con loro: “Si lamentava che nessuno la prendeva sul serio e allora le ho detto: ‘se vuoi che ti ascoltino, affidati alla scienza'”. Moon ha concesso a May il permesso di utilizzare alcune delle domande del suo sondaggio sui pazienti affetti da CHS per aiutare lui e Russo nel loro processo di screening e, nel novembre del 2019, il Western Institutional Review Board ha approvato lo studio. Poche settimane dopo, Russo ha inviato un’e-mail a Moon.

Non credo che ci siamo mai incontrati. Ho capito che ha contatti con un certo numero di persone che hanno questa sindrome. Ci servirebbe il suo aiuto per indirizzare i pazienti con questa diagnosi o possibile diagnosi al seguente URL del sondaggio online.

Moon ha risposto due giorni dopo. 

Ho appena partecipato al sondaggio, ma ci sono alcune modifiche alla formulazione che devono essere apportate prima che io lo possa condividere, poiché alcune domande non sono abbastanza chiare e possono dare luogo a risposte confuse. Parliamone! 

Più o meno nello stesso periodo in cui Russo stava sviluppando il suo studio genetico, una farmacista ospedaliera di nome Alice Watt ha contattato Moon per farsi aiutare a scrivere un opuscolo informativo sulla CHS per l’Institute for Safe Medication Practices Canada, da distribuire nei pronto soccorso in tutto il paese. “Ho imparato così tanto da lei”, mi ha detto Watt. “È una specie di enciclopedia di tutto ciò che vuoi sapere sulla CHS. Ognuno le racconta la sua storia. Penso che sia davvero una risorsa da sfruttare”. 

Watt è stata attenta a incorporare il feedback di Moon su come rendere l’opuscolo “digeribile e non troppo difficile da leggere”. Ma Russo ha risposto che era troppo tardi per modificare la formulazione delle sue domande di screening, poiché lo studio era già stato approvato dall’Institutional Review Board. Nessun sondaggio è perfetto, ha scritto. Temo che dovrà rimanere così com’è.

Moon ha risposto 17 minuti dopo. È un peccato. La domanda “stai provando nausea” mi ha davvero colpito in quanto non è affatto chiara. Non ho nausea ora, ma l’ho sperimentata per due anni. Ho risposto no perché ho smesso di usare la cannabis un anno fa. Questa è solo una delle tante domande formulate così male da poter essere interpretata erroneamente e portare a conclusioni sbagliate. Questa negligenza mi preoccupa per la validità del lavoro che seguirà questo studio e sono riluttante a incoraggiare chiunque a essere coinvolto. Una curiosità: perchè non sono stata consultata prima di presentare il sondaggio al comitato di revisione?

Un contrasto insanabile

Land, l’ex direttore della ricerca di Canopy Growth, mi ha detto che Russo, che considera un mentore, è una fonte affidabile perché “non è si è mai schierato con l’industria farmaceutica”. Ma per Moon, Russo rappresentava l’industria medica a scopo di lucro. “Dopo che mi hanno contattato per la prima volta”, ha scritto in seguito, “mi sono sentita a disagio. Tuttavia, malgrado le mie resistenze, ho riconsiderato la mia partecipazione e ho accettato di condividere la mia rete di contatti”. 

In poche settimane oltre 500 persone avevano risposto al sondaggio e un programma per computer ne ha selezionate casualmente 205 che soddisfacevano i criteri per i test genetici. Alla fine di gennaio 2020, Endocanna Health ha inviato un’e-mail a questi 205 pazienti affetti da CHS con i dettagli su come ricevere e completare i test del DNA.  Moon non ha ricevuto direttamente questa email, ma diverse persone gliela hanno inoltrata. Non l’ha presa bene e ha inviato un’e-mail a Russo e May:

Perché non sono stata inclusa nello studio? Ho detto qualcosa che non andava? Perché il mio nome non era nell’e-mail inviata? 

Moon ha anche sottolineato che “HIPAA”, la legge sulla protezione della privacy dei pazienti, era stata citata erroneamente come “HIPPA” e ha notato che l’e-mail includeva il linguaggio di marketing standard di Endocanna Health nel fornire alle persone raccomandazioni personalizzate sulla cannabis basate sul loro test del DNA.

Perché avete detto nell’e-mail che aiuterete i partecipanti a definire le dosi di cannabis adatta alle loro caratteristiche? Ha scritto a May e Russo. Sono molto delusa dal fatto che forniate alle persone false speranze… Questo è veramente poco professionale… Non sono più convinta che questo test sia stato ideato per aiutare i pazienti con sindrome iperemetica cannabinoide. Sono delusa dalla mancanza di rispetto.

May ha risposto spiegando che le selezioni erano anonime e casuali, quindi non avevano modo di sapere perché non era stata scelta.  Russo invece si è rammaricato del fatto che Endocanna Health avesse incluso nell’e-mail il suo linguaggio standard sulle raccomandazioni sulla cannabis: “È stato un errore. Non sapevo che avrebbero usato i normali kit”, ha spiegato. “Non stiamo cercando di dare cannabis a queste persone”.

Ma niente di ciò che lui o il suo team hanno detto potrebbe convincere Moon che il loro lavoro era destinato a sostenere pazienti come lei. Non ha aiutato il fatto che May abbia giustificato l’offerta di aiutare i pazienti a trovare la quantità giusta di cannabis da consumare. “Alcune persone hanno partecipato allo studio per sapere qualcosa sui loro genotipi specifici”, ha scritto a Moon. Nel frattempo, un’azienda canadese di cannabis quotata in borsa aveva acquisito una partecipazione del 30% in Endocanna Health. 

Moon ha postato su Facebook raccontando cosa era successo: Devo fare una dichiarazione sullo studio Endocannahealth che ho pubblicato chiedendovi di partecipare. Secondo loro non sarei qualificata per partecipare allo studio. IO! L’immagine simbolica di questa sindrome da oltre un anno. Stanno inviando ai partecipanti i risultati dei test che parlano delle dosi di cannabis che si possono usare. Sappiamo tutti per certo che l’uso continuato è sinonimo di sintomi costanti, quindi penso che lo “studio” potrebbe fare più male che bene. 

Dei 205 pazienti che si sono qualificati per i test genetici dello studio, solo 99 hanno accettato di ricevere i kit di test per posta. Di queste 99, solo 28 persone hanno effettivamente restituito un kit completo. “Ha dissuaso da sola un gran numero di persone dal restituire i loro kit”, afferma Nishi Whiteley, socio in affari di Russo. “28 è un numero molto basso”. 

Anche con solo 28 pazienti affetti da CHS nello studio e un gruppo di controllo di altri 12 consumatori abituali che hanno accettato di sottoporsi a test genetici, Russo ha deciso che la sua ipotesi era corretta. Mi ha contattata nell’estate del 2020 per farmi sapere che ha scoperto che il 96% dei pazienti con CHS che avevano testato aveva una mutazione genetica presente solo nello 0,004% della popolazione generale. “Ovviamente significa qualcosa”, ha detto. “E ovviamente ci sono implicazioni commerciali”. 

Allo stesso tempo, Russo stava cercando di capire come convincere più pazienti a restituire i loro kit per il test del DNA, in modo da avere più dati prima di provare a pubblicare i suoi risultati e sviluppare un test diagnostico CHS. “Odio dirlo, ma sembra che molti dei nostri pazienti con CHS, siano davvero ai limiti della pazzia”, mi ha detto. “La paranoia in questo gruppo ha raggiunto livelli incredibili”. 

Lui e May hanno creato un articolato video di 29 minuti su YouTube cercando di rispondere a tutte le preoccupazioni di Moon, ma senza grandi risultati. Quindi ha deciso di contattarla direttamente. 

Volevo farle sapere che lo studio sulla sindrome iperemetica cannabinoide (CHS) che sto portando avanti con EndocannaHealth ha identificato un potenziale segnale chiave per diagnosticare e curare rapidamente la CHS… Tuttavia, abbiamo bisogno del suo aiuto … La sua critica pubblica a questo studio sui social media, in particolare nei gruppi CHS di Facebook, ha interferito direttamente e profondamente con l’andamento dello studio… Il suo sostegno ufficiale è una necessità a questo punto …Le chiedo di intraprendere le seguenti azioni entro 10 giorni: 1. Pubblicare una ritrattazione delle sue dichiarazioni nei forum online e incoraggiare i pazienti a partecipare allo studio. 2. Contattare tutte le persone con cui ha avuto altre comunicazioni, verbali, elettroniche o scritte allo stesso scopo per ripristinare il dialogo. 3. Confermare entro 10 giorni di aver eseguito questi passaggi.

 “Quando ho visto l’e-mail”, mi ha detto Whiteley, “ho capito subito che non avrebbe risposto”. In effetti, Moon ha interpretato questa e-mail come una minaccia. “Non capisco. Loro hanno un’agenda finalizzata ad aiutare l’azienda Endocanna”.  Lei ed Erica si sono coordinate per bloccare qualsiasi menzione dello studio nei loro gruppi su Facebook, convinte che il motivo principale di Russo fosse di ordine economico. 

Queste accuse hanno fatto infuriare Whiteley. Avevamo investito oltre 50.000 dollari nello studio CHS, mi ha detto, “per lo più i risparmi di una vita di Ethan”. Ha spiegato che Russo voleva che il test diagnostico CHS che stavano sviluppando fosse il più conveniente possibile e che alla fine avrebbero dovuto vendere almeno un migliaio di test diagnostici per pareggiare il costo totale della ricerca. “Non siamo gli avidi bastardi che vogliono farci credere”, ha detto. “Non c’è niente di sbagliato in una società a scopo di lucro che fa ricerca. Non c’è alternativa”. 

Man mano che ciascuna parte si radicalizzava nelle proprie convinzioni, mi è venuta in mente una conversazione che avevo avuto con Russo nell’estate del 2019, quando mi sono fermata a casa sua su una splendida isola al largo di Seattle. Ha cercato di spiegarmi le difficoltà di capire cosa studiare con così tante incognite sulla cannabis e pochi soldi disponibili per finanziare una buona ricerca.

Da poco aveva avviato la sua attività con Whiteley, non molto tempo dopo aver lasciato un’azienda di cui avevo parlato in modo critico perché stava acquisendo ampi brevetti di utilità su molti ceppi diversi di piante di cannabis. Mi chiedevo se la mia indagine lo avesse fatto sentire eticamente compromesso, se avesse smesso perché pensava di essere stato accusato di voler pianificare la Monsanto dell’erba. 

Russo mi ha detto che non era ancora tempo per lui di farsi da parte perché non era affatto convinto di aver dato tutto quello che poteva sul lavoro, nonostante i riconoscimenti ottenuti. Come avrebbe potuto bilanciare al meglio le esigenze dei pazienti con le realtà del mercato? A cosa si sarebbe potuto dedicare per realizzare un prodotto? La risposta era CHS. 

Una faida infinita

All’inizio del 2021 Russo mi ha inviato un’e-mail con un aggiornamento: c’era stato un errore. I 28 pazienti CHS non condividevano una mutazione ultra rara. I risultati sono significativi, ma non quanto pensavamo in precedenza a causa di un problema tecnico del software sui risultati preliminari, ha scritto. In realtà, confrontando i dati genetici dei 28 pazienti con CHS e dei 12 controlli, lo studio ha trovato cinque geni con significatività statistica, incluso uno riscontrato nel 71,5% dei pazienti con CHS che era associato a dolore, calore e motilità intestinale. 

A marzo dello stesso anno, Russo ha presentato lo studio al “Journal of American Medical Association”, ma il giornale lo ha respinto in quanto aveva solo dati genetici da 28 dei 205 pazienti con CHS che si sono qualificati per il test. Alla fine è stato pubblicato su “Cannabis and Cannabinoid Research“, una rivista di cui è anche membro del comitato editoriale (il caporedattore della rivista, professore Daniele Piomelli dell’Università della California a Irvine, mi ha scritto in una mail che i membri del comitato editoriale “non ricevono un trattamento speciale” e i loro articoli “vengono esaminati come tutti gli altri da revisori indipendenti”). Russo ha anche convinto Whiteley che avrebbero dovuto spendere 3.200 dollari per rendere pubblico lo studio, invece del semplice pagamento di 35 dollari. 

All’inizio del 2022, il test da 199 dollari di Russo per “identificare se si possiedono i marcatori genetici associati alla CHS” era in vendita. Moon, che cerca regolarmente parole chiave relative a CHS, lo ha notato quasi immediatamente e ha pubblicato su Facebook: Non esiste un test del DNA legittimo che può accertare se si ha la sindrome iperemetica da cannabinoidi e quanta erba si può consumare. Non fatevi ingannare dalle aziende che depredano chi soffre di questa sindrome. E’ una truffa.  

Al telefono, mi ha detto che non poteva credere che Russo stesse vendendo un test diagnostico basato sul DNA di soli 28 pazienti. “Non hanno dati validi per stabilire se questa è una condizione genetica o meno”, ha detto. “È preoccupante”. Di Marzo, il biochimico esperto di cannabinoidi del Quebec, è d’accordo. “Per convalidarlo servono dati molto più rappresentativi”, ha detto. “Ethan è un valido scienziato che sa molto di cannabinoidi, ma forse conosce un po’ meno la genetica”. 

Sono stati un paio di anni difficili per Moon, soprattutto con l’isolamento della pandemia, ma la sua salute fisica è molto migliorata: non ha più episodi di vomito dal 2019. Di recente ha tenuto un discorso in collaborazione con l’UCLA Cannabis Research Initiative, chiedendo ulteriori ricerche su questa sindrome. Ma alcune persone nell’industria della cannabis rimangono diffidenti nei confronti di Moon e delle sue motivazioni. 
 
Liz Blaz, che lavora con la cannabis e ha anche la CHS, ha assistito allo svolgersi della controversia sullo studio con grande interesse. È una delle 28 pazienti che hanno accettato di inviare un test genetico. E a differenza di Moon, Blaz è in grado di fumare di nuovo erba senza vomitare, anche se usa solo cannabis coltivata in modo rigenerativo. Ora pensa di poter consumare in tranquillità l’erba perché è intervenuta su aspetti che crede siano correlati alla CHS, tra cui dieta, idratazione, ormoni, salute dentale e un muscolo psoas stretto, che lei fa risalire a stress e ansia. 

Nella faida tra Moon e Russo, Blaz ha una posizione intermedia. Simpatizza con Moon: “ha avuto coraggio a parlare di qualcosa che è davvero impopolare”. Ma alla fine, se dovesse scegliere, si schiererebbe con Russo. Tuttavia, “non si tratta di stabilire chi abbia ragione o torto”, dice. “Non c’è una risposta corretta. “Tutti operano con informazioni limitate su questa sindrome e sulla cannabis in generale”, spiega. La scienza non è un monarca che chiede obbedienza, o una religione che chiede fede. La ricerca è pensata per essere iterativa, per esplorare nuove possibilità, per trovare risultati contrastanti, per correre rischi e fallire, in modo che qualcun altro possa arrivare e vedere tutto in un modo nuovo. 

Photo by Kimzy Nanney on Unsplash

(rp)

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